Dal fiume al mare, chi ci potrà perdonare?

From the River to the Sea è uno slogan che rivendica il diritto del popolo palestinese ad una Palestina libera e unita dal fiume al mare: dal Fiume Giordano al Mar Mediterraneo. Sei parole sono sufficienti e necessarie a ricordare che da oltre settantasei anni l’odio antisemita agisce come motore genocidiario nei confronti dei palestinesi. From the River to the Sea è un’espressione con cui è impossibile non essere entrati in contatto. Uno slogan polarizzato che assume un senso diverso a seconda di chi lo pronuncia. Quando viene declamato dagli israeliani e dai sostenitori dello Stato di Israele, From the River to the Sea rappresenta la minaccia di un regime coloniale determinato a esercitare una pulizia etnica. Inversamente, From the River to the Sea, Palestine will be free è l’appello che invoca il diritto all’autodeterminazione del popolo palestinese e la fine della violenza egemonica israeliana su tutto il territorio storico della Palestina.

Aob (Amal Basir), Ti scrivo una lettera, performance, Naba, Milano, 2024.

L’occupazione israeliana della Palestina, della Cisgiordania, di Gerusalemme Est e della Striscia di Gaza, ritenuta illegale dalla risoluzione n.242 delle Nazioni Unite del novembre 1967, costituisce, insieme al trattamento riservato ai palestinesi all’interno dei confini del 1948, un crudele sistema di apartheid e un crimine contro l’umanità. Sosteniamo e condividiamo il desiderio di una patria unificata e libera, in cui i palestinesi possano vivere con pieni diritti nella propria terra.

Che cosa fa l’Occidente di fronte ad un regime di apartheid e di occupazione genocidiaria sotto le finte spoglie di una democrazia? Dov’è l’umanità quando migliaia di persone innocenti vengono uccise dalle bombe finanziate proprio da noi stessi? Dove sono gli Stati arabi mentre il loro popolo viene sterminato? Dov’è il diritto internazionale che deve riconoscere la libertà e sovranità di ciascun popolo? Come fa ad esistere un campo di concentramento a cielo aperto sotto gli occhi di tutti? Le guardie di un campo di concentramento hanno il diritto di difendersi? Come può essere riconosciuto come Stato un esercito di coloni? Quale può essere la nostra reazione agli atti di resistenza di un popolo imprigionato nel corrispettivo di un ghetto nazista? Cosa ci impedisce di salvarli e sentirne il pianto? Come difendersi dal proprio occupante se non con la violenza con cui ti stermina? Com’è possibile condannare un popolo che tenta di liberarsi? Ma soprattutto è necessario chiedersi: dove siamo stati noi per settantasei anni? Chi ci potrà mai perdonare?

Rebecca Momoli e Alessandro Macciardi,Dal Fiume al Mare, 2024.

From the River to the Sea ha riportato la causa palestinese sotto gli occhi di tutto il mondo. Prendendo coscienza della posizione dei nostri governi, finanziatori diretti di questo genocidio, bisogna domandarsi: noi cosa possiamo fare? Da che parte vogliamo stare? In un periodo storico in cui la destra dilagante ci governa, il nostro cuore deve essere libero dal dominio del colonialismo e la nostra mente deve immaginare un futuro in cui nella dimensione ecologica tutti i popoli possano autodeterminarsi e vivere liberamente. Dobbiamo schierarci affinché il processo di colonizzazione venga fermato per sempre. La differenza fra un ghetto nazista e Gaza è che possiamo ancora intervenire per salvarli. Possiamo ancora stare dalla parte giusta della storia. E dobbiamo farlo.

Dal Fiume al Mare, Performance con Amal Basir, di Rebecca Momoli e Alessandro Macciardi, Naba, Milano, 2024.
Dal Fiume al Mare, Performance con Amal Basir, di Rebecca Momoli e Alessandro Macciardi, Naba, Milano, 2024.

Le studentesse e gli studenti di tutto il mondo hanno alzato la voce. Hanno interrotto le lezioni e protestato. Hanno occupato con le tende i campus delle università. Hanno invaso gli atenei per manifestare sostegno alla causa palestinese. Nello stato delle cose in cui tutto è concesso, le forze dell’ordine sono intervenute per fermarli. Li hanno malmenati, picchiati e arrestati. Dove si pongono le nostre coscienze quando il futuro insorge? Come reagiscono le istituzioni se il presente si ribella?  

In un sistema culturale eurocentrico in cui l’Occidente si distanzia dalle proprie colpe e contraddice sé stesso, quali sono le crepe da mettere in luce oggi? Quale sistema glorifica e condanna il proprio stesso colonialismo? Come si può definire decoloniale l’ennesima esposizione internazionale  di arte europea e modernista? A chi si rivolge e a cosa serve aprire una biennale durante un genocidio in corso? A cosa serve l’arte oggi e che ruolo hanno gli artisti?

Dal Fiume al Mare, Performance con Amal Basir, di Rebecca Momoli e Alessandro Macciardi, Naba, Milano, 2024.

Gli artisti hanno coscienza del loro posto nel mondo e hanno consapevolezza del potere dell’arte. Gli artisti che si fanno guidare dall’urgenza e non dal profitto capitalistico, agiscono per portare luce sulle forze che muovono il mondo. Proprio per questo motivo è nato Anga Alliance (Art Not Genocide Alliance),una comunità firmataria di artisti da tutto il mondo che a gran voce chiede l’esclusione di Israele dalla Biennale di Venezia.

I rapporti di potere possono essere svelati solo da chi il potere non ce l’ha. È così che gli artisti, come gli studenti, i liberi giornalisti, le comunità marginalizzate e le giovani generazioni, si schierano contro il potere e a sostegno della Palestina. In quanto artisti e in quanto studenti, desideriamo fortemente contribuire al canto corale di rivolta che si erge per la liberazione della Palestina contro il genocidio messo in atto da Israele.

Dal Fiume al Mare, Performance con Amal Basir, di Rebecca Momoli e Alessandro Macciardi, Naba, Milano, 2024.

Dal Fiume al Mare si interfaccia direttamente con l’istituzione dell’Università. Si tratta di una performance site-specific, pensata all’interno dell’evento Sabotare la Biennale: istruzioni per l’uso, per il corso di Museologia, ideata dagli artisti Rebecca Momoli e Alessandro Macciardi e messa in atto da Amal Ottavia Basir, nell’atrio del cortile centrale di Naba – Nuova Accademia di Belle Arti di Milano.

Dal Fiume al Mare è la traduzione italiana del celebre slogan From the River to the Sea e invita gli spettatori a una riflessione sulla nostra complicità in merito alle politiche di apartheid e genocidiarie esercitate dallo stato israeliano verso il popolo palestinese. Il led wall dell’istituto accoglie gli spettatori con lo slogan: Dal fiume al mare, chi ci potrà perdonare?

Da una finestra aperta, situata nella stanza al di sopra del monitor, l’artista italo-palestinese Amal Basir, impugna un microfono e inizia a leggere. Basir recita quattro poesie, interpretando ognuna in due lingue: arabo e italiano. La sua voce si diffonde nel campus, riunisce studenti e docenti, crea una piccola folla sotto le finestre. Al termine della lettura, un’altra finestra si apre. Da lì, Momoli e Macciardi lanciano sulle persone oltre mille volantini, che riportano le poesie lette da Basir. I volantini, stampati su fogli bianchi, rossi, verdi e neri, rappresentativi della bandiera palestinese, creano una coreografia di colori visibile dagli spettatori.

Cosa cade dal cielo? Cosa rimane a terra?

Dal Fiume al Mare, Performance con Amal Basir, di Rebecca Momoli e Alessandro Macciardi, Naba, Milano, 2024.

I colori della Palestina rivestono il pavimento grigio. Non è più possibile ignorare i resti di un popolo che soffre e viene ucciso. Per ignorarlo, bisogna calpestarne le tracce. Dal cielo si scagliano le parole di poeti e poetesse palestinesi che attraverso la poesia hanno combattuto per la libertà del loro popolo.

Ghassan Kanafani, Fadwa Tuqan, Hiba Abu Nada e Rafaat Alareer: voci resilienti che hanno fatto resistenza militando con le parole e non solo, figure emblematiche della letteratura e della resistenza palestinese, ognuno con una propria voce unica che riflette la lotta e le speranze del popolo palestinese.

Ghassan Kanafani (1936-1972) è stato un importante scrittore, giornalista e attivista palestinese, noto per le sue opere che esplorano le esperienze del popolo palestinese durante l’esilio e la lotta contro l’occupazione.

Rebecca Momoli e Alessandro Macciardi, Dal Fiume al Mare, 2024.

Oltre alla sua produzione letteraria, Kanafani è stato un attivo membro del Fronte Popolare per la Liberazione della Palestina (FPLP) e ha utilizzato la sua scrittura come strumento di resistenza politica. La sua morte, avvenuta in un attentato a Beirut nel 1972, è stata attribuita al Mossad, l’agenzia di intelligence israeliana e ha segnato una perdita significativa per la letteratura e la causa palestinese.

Rebecca Momoli e Alessandro Macciardi, Dal Fiume al Mare, 2024.

Fadwa Tuqan (1917-2003) è stata una delle poetesse più importanti e influenti del mondo arabo, nota per la sua poesia evocativa che esplora temi di identità, resistenza e condizione femminile in una società patriarcale. La sua poesia ha ottenuto riconoscimenti a livello internazionale e Tuqan è spesso celebrata come una pioniera della letteratura araba moderna.

Hiba Abu Nada (1991-2023) è stata una giovane poetessa palestinese, nota per la sua poesia potente e innovativa. Nata e cresciuta nella Striscia di Gaza, Abu Nada ha vissuto in prima persona le dure realtà dell’occupazione e del conflitto, esperienze che hanno fortemente influenzato la sua scrittura.

Rebecca Momoli e Alessandro Macciardi, Dal Fiume al Mare, 2024.

Durante la sua breve ma importante carriera, Hiba Abu Nada ha lasciato un’impronta significativa per la letteratura palestinese. Partecipando a numerosi festival letterari internazionali, ha condiviso la sua visione e la sua esperienza, contribuendo a sensibilizzare l’opinione pubblica mondiale sulla causa palestinese. È stata uccisa in un bombardamento israeliano il 20 ottobre 2023.

Rafaat Alareer (1979-2023) è stato un noto scrittore, poeta e accademico palestinese, nato e cresciuto nella Striscia di Gaza. Professore di letteratura inglese e comparata presso l’Università Islamica di Gaza, é conosciuto sia per la sua opera letteraria sia per il suo impegno come editore e curatore di raccolte che mettono in luce le voci palestinesi.

Rebecca Momoli e Alessandro Macciardi, Dal Fiume al Mare, 2024.

Una delle sue opere più significative è la raccolta Gaza Writes Back (2014), che ha curato, composta da racconti brevi scritti da giovani autori di Gaza. Questa raccolta offre una prospettiva unica sulla vita quotidiana nella Striscia di Gaza e rappresenta un potente atto di resistenza culturale, dando voce a chi vive in uno dei luoghi più contesi e devastati del mondo. Rafaat Alareer è stato ucciso dalle bombe israeliane il 6 dicembre 2023. Insieme, questi autori rappresentano diverse generazioni di scrittori che, attraverso le loro opere, mantengono viva la memoria e la lotta del popolo palestinese. Ciò che li accomuna oggi, è che tutte e tutti loro, non scriveranno mai più.

La poesia è un linguaggio non teorico, non razionale e non accademico che permette di arrivare a un sentire profondo, che collega alla libertà a cui aspiriamo in quanto esseri viventi. Tale pratica si configura come mezzo che i soggetti subalterni hanno usato per esprimere loro stessi e l’ambizione intrinseca alle loro lotte. La poesia e la poesia visiva sono linguaggi con cui i soggetti oppressi e le comunità minoritarie hanno un rapporto privilegiato e prezioso poiché spesso sono stati gli unici mezzi per esprimersi al di fuori dei linguaggi dominanti. È così anche nel caso della cultura e del mondo palestinese, in cui la poesia è una delle pratiche più dense di significato. Espressione di forma popolare, la poesia palestinese affonda le proprie radici nell’antichità; trasformandosi all’interno del tessuto sociale e adattandosi a seconda delle epoche storiche, per giungere, tramandata sotto forma scritta o orale, fino ai giorni nostri.

Aob (Amal Basir), Ti scrivo una lettera, performance, Naba, Milano, 2024.

La lingua della poesia palestinese è ricca e varia, presenta infatti influenze provenienti tanto dalla tradizione classica araba quanto da contaminazioni moderne e internazionali. I poeti palestinesi utilizzano una gamma di stili, dal verso libero alla metrica tradizionale e spesso integrano riferimenti storici e culturali che conferiscono profondità alle loro composizioni. La lingua araba, con la sua ricchezza e musicalità, diventa un veicolo per esprimere non solo il dolore e la resistenza, ma anche la speranza e la bellezza.

Dal 1948, anno della Nakba, la grande catastrofe, per il popolo palestinese la poesia assume il ruolo di una forma di vera e propria resistenza. Grazie alla partecipazione ai primi festival di poesia, una nuova generazione di poeti palestinesi come: Tawfiq Zayyad (1929-1994), Samih al-Qasim (1939-2014), Mahmoud Darwish (1941-2008), Salim Gubran (1941-2011) e Rashid Hussein (1936-1977), tutti di origine proletaria e per questo molto vicini a tematiche sociali, riesce a farsi conoscere dal grande pubblico. Narrando tematiche legate alla condizione oppressiva e brutale subita per mano del regime israeliano, la poesia palestinese racconta sogni di indipendenza, gesti di speranza, tentativi di resistenza, e spirito di rivalsa verso l’oppressione, ma anche sentimenti di disperazione legati all’espropriazione dalla propria terra e alla violenza fisica e ideologica subita. È proprio Ghassan Kanafani a coniare il termine “letteratura della resistenza” e a restituire agli autori palestinesi il ruolo di poeti partigiani.

La poesia palestinese è da considerarsi profondamente politica e intenzionata a scardinare sistemi oppressivi e genocidari attraverso l’uso della parola. Dagli anni ‘70 in poi, la risonanza della poesia palestinese assume un livello di rilevanza internazionale, creando un corpus letterario che riflette le esperienze di esilio e di vita in terre straniere. Nel narrare la Nakba, i giovani poeti palestinesi raccontano di una catastrofe che si estende a livello globale, che unifica tutti i popoli sottomessi allo stesso destino, e li accomuna nella necessità di un nuovo sguardo sulle politiche governative future. Dall’ottobre 2023, la poesia palestinese vive un nuovo stato di terrore e di perdita. Fra le vittime estirpate dall’esercito israeliano di assassini di massa, ci sono anche i più brillanti fiori della resistenza.

Dal Fiume al Mare, Performance con Amal Basir, di Rebecca Momoli e Alessandro Macciardi, Naba, Milano, 2024.

In seguito ad aver dato vita a Dal Fiume al Mare, AOB mette in atto la sua performance Ti scrivo una lettera. Dopo aver interrotto le lezioni nella sua università per portarla davanti alla sua classe, questa è la seconda volta che la esegue. Ti scrivo una lettera è la rappresentazione vivente del Giornale del dissenso, una creazione artistica di Basir, attraverso la quale la giovane artista vuol far riflettere su come le notizie vengano proposte dai giornali, diventando vere fake news. Perché non si fanno parlare le persone che vivono una guerra ma solo chi comanda? Come sarebbe un giornale con le parole di chi soffre e piange? Partendo da queste domande, Ti scrivo una lettera restituisce la dimensione drammatica in cui i palestinesi sono costretti a sopravvivere o morire.

È impossibile non essere coinvolti dalla lettura commovente di Basir, che ancora una volta tramite l’arte, testimonia la perpetua resilienza palestinese nel resistere per esistere.

Testo di Rebecca Momoli e Alessandro Macciardi.

Dal Fiume al Mare, Performance con Amal Basir, di Rebecca Momoli e Alessandro Macciardi, Naba, Milano, 2024.

Amal Ottavia Basir, in arte AOB, è una regista, musicista, attrice e scrittrice italo-palestinese. Laurenda in Scenografia Arti Drammatiche e Performative a Brescia, nasce a Forlì dove si è diplomata in Economia Turistica. La passione per le arti l’ha sempre accompagnata, prima con lo studio del flauto traverso e del canto corale al Conservatorio Verdi di Ravenna, poi con lo studio delle arti drammatiche alla LABA di Brescia. Attraverso la sua ricerca, Basir lotta per la causa palestinese, le minoranze e le questioni di genere.

Rebecca Momoli è un’artista multidisciplinare che spazia fra le arti visive, la poesia e la ricerca teorica. Lavora in particolare con la parola, la scultura, la fotografia e l’installazione. Abbracciando il pensiero e le pratiche dei femminismi, la sua ricerca artistica affronta le questioni di genere, la storia politica e culturale delle donne, la violenza contro le soggettività femminili, le relazioni di potere fra maschile e femminile. Strettamente interconnessa all’attivismo, la sua arte ha l’obiettivo di edificare nuovi paradigmi culturali e contribuire all’urgenza politica per una rivoluzione totale e femminista della società.

Alessandro Macciardi è un artista visivo, fotografo e performer che vive e lavora a Milano. La sua ricerca è incentrata sul rapporto tra l’essere umano e la complessità del sistema sociale e politico contemporaneo. La sua analisi ruota intorno alla produzione iconografica e l’insieme di immagini create dall’uomo nel suo tempo, la cui chiave di accesso è costituita dall’esperienza dell’essere umano come una cosa che sente propria.

I contributi sono stati elaborati come momento conclusivo del corso di Museologia tenuto da Elvira Vannini con gli artisti e curatori del 2^ anno del Biennio in Arti Visive e Studi Curatoriali di Naba, Nuova Accademia di Belle Arti di Milano.

What Language Should I Speak in So That The World Hears Us? Performance collettiva di Alice Pettorazzi, Noemi Simonti, Hanming Feng, Ruizi Gao, Huang Yushuang, Naba, Milano, 2024.

                           

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