In memoria di Giovanni Rubino (1938-2021). Un artista radicale, animato da un sentimento di prossimità. Un perturbatore e agitatore. In tempi algidi di crisi politica, sociale e culturale, aprì a quella coscienza transatlantica che oltrepassò – annullandole – le frontiere fisiche, geografiche e identitarie.
In nome della solidarietà.
E perché la storia deve sempre ricominciare, affinché possa continuare a rimare.
Giovanni Rubino e Gigliola Rovasino, foto di Fabrizio Garghetti. Courtesy Gigliola Rovasino.
DECENTRALIZZARE LE NARRAZIONI
La storia che sto per raccontarvi è recente e rientra in una nuova prospettiva di ricerca che si propone di ripensare le narrazioni storico-artistiche del XX e del XXI secolo. Questo riesame storiografico deriva dalla consapevolezza dell’incompletezza della storia dell’arte scritta dallo sguardo occidentale, che basandosi su una politica di differenziazione ha stabilito una linea divisoria d’inclusione ed esclusione, di prossimità e lontananza, di centri e margini.
Bisogna chiedersi: quando è emersa la necessità di interrogare la linearità imposta dalla narrazione unilaterale di matrice occidentale?
Still dal documentario Murales di Michele Sambin e Sergio Ballini, Biennale di Venezia 1974 – Libertà per il Cile
È noto che la realtà globale subisce una svolta dopo il 1989, una data cruciale che segna la perdita dell’egemonia culturale dell’Europa e degli Stati Uniti e l’entrata in una nuova fase sia artistica che geopolitica. L’apertura democratica voluta dalla globalizzazione si è rivelata una mera illusione, così come le promesse di pace, libertà, uguaglianza, progresso e solidarietà. A questo proposito, gli storici dell’arte – specialisti di arte latinoamericana – Andrea Giunta e George F. Flaherty affermano quanto segue: “Tuttavia, invece di apportare un’ampia omogeneizzazione, la globalizzazione ha prodotto paradossalmente strutture ancora più complesse di integrazione, differenziazione e gerarchie, alcune visibili e altre oscure” [ii]. Possiamo sostenere che gli anni ’80 e ’90 costituiscono il punto nodale di questa revisione. Nel caso specifico dell’America Latina, i due storici dell’arte sopra citati, affermano che l’apertura democratica negli anni ‘80 ha favorito la liberazione degli archivi, così come una riconsiderazione dei programmi di studio, fino a quel momento sotto il rigido controllo dei governi autoritari. Queste transizioni hanno portato a quella che è stata definita “la svolta storiografica nella storia dell’arte latinoamericana” [iii], un cambiamento di rotta ancora in corso e che intende sovvertire le genealogie storiche dell’arte globale al di là dell’eurocentrismo.
Nell’ambito del progetto “Grounds for Comparison: Neo-Vanguards and Latin American/U.S. Latino Art, 1960-90”, sostenuto dall’iniziativa Connecting Art Histories della Getty Foundation, Andrea Giunta e George F. Flaherty hanno condiviso le loro intenzioni: “Stiamo testando modelli basati sia sulle relazioni tra metropoli europee e latinoamericane che sulla complicazione delle storie nazionali”[iv]. In questa riflessione emerge il concetto teorico di simultaneidad (simultaneità), una sonda teorica per l’analisi dell’arte globale del secondo dopoguerra, “un modello in cui l’arte latinoamericana non è più inscritta come periferica, ma è simultanea alle neo-avanguardie internazionali” [v].
D’altra parte, gli anni ’80 sono anche lo scenario che schiude alle interferenze tra il pensiero del decentramento (decostruzione, teorie postcoloniali, studi culturali) e i discorsi artistici. Questi incontri transdisciplinari costituiscono un campo di battaglia essenziale per demolire le dicotomie create dalla modernità occidentale che ancora oggi dominano i nostri immaginari culturali.
Gli ultimi decenni appena trascorsi testimoniano dunque dell’articolazione di nuovi strumenti teorici, metodologici ed epistemologici che permettono di continuare a interrogare le narrazioni storico-artistiche. La prospettiva che ci interessa in questo contesto riguarda gli scambi, i dialoghi e le influenze: vettori in movimento, trasferimenti che decentrano il canone stabilito, stimolando un approccio transnazionale [vi] – detto anche connesso o globale [vii].
L’insularità del Cile è una condizione geografica dovuta alla sua posizione intermedia tra l’oceano Pacifico a ovest e la cordigliera delle Ande a est, e tra la pampa di salnitro al nord e la Patagonia al sud. Dal 1970, un momento storico segnato da profonde ricodificazioni ideologiche, questa dimensione fisico-geografica si dissolve per lasciare l’immagine del Cile rivelarsi al resto del mondo.
L’Unità 6 settembre 1970.
Il cammino democratico verso il socialismo intrapreso dal presidente Salvador Allende Gossens ha rappresentato un’esperienza senza precedenti per le rivoluzioni socialiste del XX secolo [viii], tanto da essere osservata con grande entusiasmo da diversi paesi, data la situazione particolare che la sinistra viveva [ix]. Per gli Stati Uniti, che agivano dal fronte ideologico imperialista della guerra fredda, il programma politico del presidente cileno rappresentava una minaccia per i suoi obiettivi strategici globali [x]. Il colpo di stato dell’11 settembre del 1973, guidato dal generale Augusto Pinochet, è stata la tragica fine della breve esperienza promossa da Salvador Allende, neutralizzando i sogni di giustizia e democrazia e le aspettative rivoluzionarie di una parte del nostro mondo.
Rinascita n°36, 11 settembre 1970. Biblioteca Gino Bianco.
Nella misura in cui proviene da una storia di espropriazione e diaspora, la produzione artistica cilena del periodo dittatoriale rivela l’esistenza di una rete globale di interconnessioni in tutte le direzioni, così come l’emergere di una comunità affettiva che permette di decostruire le gerarchie tra paesi, grazie alle relazioni culturali basate sui principi di solidarietà e resistenza.
Come altri paesi, l’Italia ha svolto un ruolo centrale nell’appoggiare il progetto politico di Salvador Allende e, successivamente, nella denuncia del colpo di stato militare. Il caso studio che consideriamo, La Mostra Incessante per il Cile, ha avuto luogo nella città di Milano dall’ottobre del 1973 al maggio del 1977 e si inserisce in una rete di mobilitazioni che, provenienti dall’ambito culturale sia indipendente che istituzionale, hanno agito a favore di una cultura antifascista. Inoltre, il fatto che la scintilla si sia accesa in Cile è una dimostrazione di come questa manifestazione – negli studi sui movimenti di solidarietà contro il neoimperialismo della guerra fredda – si collochi in una linea di influenza “sud-nord”, più trascurata rispetto al vettore opposto “nord-sud”[xi].
Prima pagina de l’Unità del 12 settembre 1973.
Quali sono le ragioni per cui un evento avvenuto dall’altra parte dell’oceano ha colpito le coscienze di un gruppo di artisti basati a Milano? Si può parlare dell’emergere di un'”etica della solidarietà” nelle pratiche artistiche contro il neoimperialismo della guerra fredda?
Le risposte a queste domande sembrano situarsi all’intersezione dei legami e delle affinità artistico-politiche tra Cile e Italia. In primo luogo, l’analogia tra il clima che ha segnato il contesto storico-politico di entrambi i paesi in quegli anni. Come ha affermato l’artista Gianfranco Baruchello: “Dobbiamo ricordare lo stato d’animo generale che abbiamo vissuto qui in Italia nel 1973, 1974 e 1975 […] tutti vivevano allora nell’aria di un possibile golpe fascista”[xii]. In secondo luogo, come segnala lo storico Alessandro Santoni, la memoria della Unidad Popular (Unità Popolare) era “un vero e proprio mito politico” che si radicò profondamente “nell’immaginario collettivo dei militanti della sinistra italiana”[xiii]. Queste analogie e influenze storico-politiche sono quindi il seme da cui è nata La Mostra Incessante per il Cile.
LA GALLERIA DI PORTA TICINESE. LA MOSTRA INCESSANTE PER IL CILE (1973-1977)
In Italia, il periodo che va dall’utopia al dissenso (dagli anni ’60 agli anni ’70), è segnato in campo artistico dalla nascita di nuovi spazi, di nuove forme di relazione con il pubblico, le istituzioni e il contesto sociale e urbano e, al contempo, dalla ricerca di una nuova coscienza e responsabilità per affrontare la crisi culturale e di struttura in atto in quegli anni. La città di Milano rappresenta un terreno fertile per osservare come le istanze artistiche e politiche si sono intersecate in un dialogo di confronto e scontro.
La Galleria di Porta Ticinese rientrava in una costellazione di esperienze sperimentali che, mosse dall’urgenza del reale, reclamavano la necessità di un cambiamento profondo e radicale nel rapporto tra la pratica artistica e la realtà sociale e politica. Il piccolo spazio indipendente era gestito da Gigliola Rovasino che nei primi anni ’70 decise di uscire dal circuito delle gallerie private per avvicinarsi ai “veri momenti di lotta e di dibattito politico”. La rinnovata posizione della galleria inaugurò nel 1973 con l’apertura de La Mostra Incessante per il Cile, la cui organizzazione si deve principalmente agli artisti Giovanni Rubino e Corrado Costa. Sin dal titolo, l’aggettivo “incessante” indicava l’intensità dell’urgenza di lasciarsi perturbare dai fatti cileni, annullando così qualsiasi distanza spaziale in nome della solidarietà internazionale. Le intenzioni iniziali erano che la mostra durasse fino al ritorno della democrazia in Cile, invece rimase attiva fino al 1977.
La cronaca completa di questo percorso è riassunta e sistematizzata dall’evento finale tenutosi dall’1 al 15 maggio del 1977 presso la Rotonda di Via Besana a Milano, di cui oggi si conserva il catalogo. Per tornare alle intenzioni della galleria, nelle prime pagine del catalogo leggiamo:
«Durante la stagione artistica 1973/74 diventa operativa la proposta che la Galleria di Porta Ticinese aveva già avanzato a partire dal 1971, modificando la propria attività rispetto a quella di una normale galleria d’arte privata, di aprire uno spazio alternativo a giovani artisti, operatori estetici politicamente impegnati per raggiungere un livello di confronto con esperienze anche diverse, soprattutto in senso culturale, ma aventi per specifico campo d’azione il raggiungimento di comuni obiettivi di crescita politica, di identificazione con determinate problematiche di classe [xiv]».
Mostra incessante per il Cile, catalogo. Rotonda di Via Besana, Milano, 1-15 maggio 1977.
Più avanti:
«Viene scelta come ideale modello di unificazione delle varie esperienze e di identificazione morale, la tragedia del popolo cileno, sia per la sua bruciante attualità, sia per la sua stessa struttura, che la rende esempio vivente della feroce repressione fascista e dei suoi metodi, tristemente simili in tutti i paesi in cui si verifichi.
La “mostra incessante” che ha luogo durante l’intera stagione artistica non è tuttavia solo un gesto solidale, ma un tentativo di studio di certi meccanismi e, soprattutto un tentativo di divulgazione e di sensibilizzazione che aiuti e sostenga una presa di coscienza del pubblico sulle modalità e sulle matrici del golpe [xv]».
Il concept della “mostra incessante” rispondeva dunque a un desiderio collettivo di sperimentazione e cambiamento. Artisti, collettivi, spesso in collaborazione con associazioni e gruppi militanti, realizzarono interventi dentro e fuori la galleria, creando un tessuto sociale che oltrepassò i limiti fisici e concettuali dello spazio espositivo – soprattutto a partire dalla seconda stagione del 1974/1975. I promotori di questo risveglio collettivo furono principalmente Giovanni Rubino e Corrado Costa, con Gigliola Rovasino, un piccolo gruppo che in seguito si allargò includendo altri partecipanti.
Il primo evento inaugurale si svolse dal 18 ottobre al 5 novembre del 1973 negli spazi della galleria e prevedeva interventi di Rubino, Costa ed Emilio Villa su Cartoons for the Cause, un catalogo di illustrazioni politiche dell’artista dell’Ottocento inglese Walter Crane. Nello specifico, si trattava di un lavoro collettivo a sei mani: i fotomontaggi di Rubino e i contributi scritti di Costa e del poeta e critico d’arte Emilio Villa. L’artista Mario Borgese afferma che “agli artisti è stato chiesto di creare un’opera ispirata ai Cartoons for the Cause“. Pertanto, data la varietà dei linguaggi formali degli artisti coinvolti, solo in alcuni casi è stata seguita la proposta iniziale.
L’8 febbraio del 1974 il gruppo B7 – un collettivo di studenti dell’Accademia di Belle Arti di Brera a Milano – realizzò un intervento su una bandiera da portare durante le manifestazioni e il cui titolo era “Una bandiera per il popolo cileno in lotta”. Oltre alla bandiera, era presente un volantino stampato (di cui non abbiamo traccia). L’azione di intervenire l’emblema per eccellenza della nazione cilena, occupata da un ordine antidemocratico, è significativo. Infatti, con l’ascesa dei movimenti nazionalisti e l’istituzione della Doctrina de Seguridad Nacional (Dottrina di Sicurezza Nazionale), la bandiera cilena divenne, poco dopo il colpo di stato, un simbolo della dittatura militare. Come altri simboli nazionali, fu ampiamente utilizzata dagli artisti cileni attraverso gesti di riappropriazione, per manifestare il disaccordo, la non appartenenza ad una nazione sotto assedio fascista.
“Condizione Cile” di Mauro Staccioli (1937-2018) era una mostra che si svolse il 13 marzo del 1974. L’artista toscano espose alcune sculture e, sulle pareti dello spazio, ritagli di giornale che narravano eventi quotidiani di violenza politica e civile. Le sculture in cemento e ferro al centro della galleria rientravano nella serie “Anticarri” che Staccioli stava sviluppando dal 1970. In un certo senso sono opere che fanno da ponte tra la situazione italiana e quella cilena, creando un dialogo di solidarietà transatlantica. Come “macchine da guerra” queste sculture – concepite, al pari di altre opere dell’artista per abitare gli spazi della città – rappresentano l’eterna ricerca dei popoli di un ideale di pace e libertà, mentre sono immersi in un conflitto che costituisce lo sfondo di questa aspirazione.
«Le mie opere degli anni Settanta erano forse più dirette, derivavano da una spinta, da un’urgenza partecipativa più forte. Le Barriere, gli Anticarri, avevano qualcosa a che vedere con schieramenti o scontri ideologici, politici e culturali [xvi]».
Nel 1974, come satellite della galleria, venne fondato il Collettivo Autonomo Pittori di Porta Ticinese [xvii], il quale “lavorava contro l’organizzazione capitalista dello Stato, (…) e si proponeva come un gruppo di artisti militanti i cui elementi caratteristici sono la visualizzazione dei contenuti della lotta e la socializzazione degli strumenti creativi” [xviii]. Durante la “Manifestazione Internazionalista per il Cile” del 14 settembre 1974, organizzarono un momento collettivo di creazione in Piazza Duomo, per riprodurre uno dei murales delle brigadas muralistas (brigate muraliste) cilene [xix]. La loro influenza sulla cultura democratica italiana è stata importante e poco studiata e rivela assi di dialoghi e scambi artistici invertiti rispetto a quelli abitualmente considerati validi dal canone, da nord a sud.
Vorrei terminare con un’osservazione di Mario De Micheli – storico italiano delle avanguardie del Novecento – esposta durante un dibattito tenutosi in occasione della mostra di chiusura nel 1977:
«Penso che forse si potrebbe aggiungere ancora qualche cosa a questi discorsi, nel senso che qui abbiamo in particolare parlato del contributo che gli artisti e gli intellettuali hanno dato a quella che è la situazione cilena. Io vorrei invece vedere che cosa è stato dato dal Cile come contributo internazionale alla cultura e alla nostra conoscenza [xx]».
Nel suo breve intervento, De Micheli sottolineò l’importanza del linguaggio artistico sviluppato dalle brigadas, della loro “capacità di restituire all’immagine il suo potere di persuasione e di agitazione”. Affermò che restituire alla pittura la sua funzione immediata e sociale è “scioccante”, in quanto è un “atto di profanazione”, e indicò il recupero di questo metodo da parte degli artisti italiani “a fini didattici e pedagogici”.
«Questo è il contributo, a mio avviso, che la cultura militante cilena ha dato e ci dà. La volontà (…) di trovare un grande linguaggio generale di comunicazione che rompa questo cerchio di soggettivismo in cui l’artista perde se stesso [xxi]».
Questo articolo di ricerca ha cercato di offrire una lettura diversa – senza pretesa di esaustività – da quella tradizionalmente data dalle narrazioni artistiche nazionali. L’obiettivo è stato quello di spostare i paradigmi prestabiliti verso nozioni trasversali in cui la transnazionalità e la solidarietà nelle arti aprono nuovi orizzonti di ricerca per la nostra disciplina.
Parafrasando lo storico dell’arte polacco Piotr Piotrovski, questi nuovi approcci promuovono una storia dell’arte orizzontale, polifonica e multidimensionale, libera da frontiere e gerarchie [xxii]. Allo stesso tempo, ristabilire queste connessioni multiple, così come approfondire le specificità dei linguaggi nati in contesti di dittatura e diaspora, può favorire il decentramento delle narrazioni canoniche. Questi approcci completano la storia nazionale, regionale e continentale e il loro obiettivo è duplice: da un lato permettono di superare la divisione nazionale della ricerca storico-artistica, per includere fenomeni che vanno oltre le frontiere. Come rilevano Caroline Douki e Philippe Minard: “La compartimentazione nazionale tende a oscurare o a rendere invisibili i fenomeni di interrelazione e connessione, rendendo impermeabili i confini e distaccando gli oggetti dai contesti e dai legami transnazionali” [xxiii]. In secondo luogo, si tratta di uscire dalla “grande narrazione”, quella scritta dal solo punto di vista occidentale: “la storia del mondo non può essere ridotta all”ascesa dell’Occidente e all’occidentalizzazione del resto”[xxiv].
*Il presente articolo è stato esposto per la prima volta durante il congresso “Crisis global, desigualdades y centralidad de la vida” organizzato da Latin American Studies Association (maggio 2021) e rientra nella più ampia ricerca dottorale che sto svolgendo all’università di Rennes 2 (Francia). Ringrazio Elvira Vannini per condividere con me il materiale d’archivio di Giovanni Rubino, senza il quale questo approfondimento non sarebbe stato possibile.
[ii] Andrea Giunta, George F. Flaherty, “Latin American Art History: An Historiographic Turn”, Art in Translation, n°9: sup1, 2017, p.121-142.
[iii] Ibidem
[iv] Ibidem
[v] Ibidem
[vi] Mi interessa la definizione data da Christine Hatzky e Jessica Stites Mor: “Per noi, il termine “transnazionale” è una categoria analitica che ci permette di esplorare i movimenti transfrontalieri oltre gli stati nazionali, per andare oltre le prospettive delle storie nazionali e internazionali e, nel nostro caso, le storie dei movimenti sociali nei loro quadri spesso antinazionali e trasgressivi”. Christine Hatzky, Jessica Stites Mor, “Latin American Transnational Solidarities: Contexts and Critical Research Paradigms”, Journal of Iberian and Latin American Research, 20:2, 2014, p. 127-140.
[viii] Olivier Compagnon, Caroline Moine, “Introduction-Pour une histoire globale du 11 septembre 1973”, Monde(s) n°8, Presses Universitaires de Rennes, 2015-2, p. 9-26.
[ix] “Le rivelazioni dei crimini dello stalinismo al XX Congresso del Partito Comunista dell’Unione Sovietica nel 1956, il progressivo allineamento dell’Avana con Mosca nella seconda metà degli anni ‘60, la scomparsa nell’ottobre 1967 dell’icona rivoluzionaria incarnata da Che Guevara, la repressione della Primavera di Praga, così come le ribellioni abortite o represse del 1968, da Parigi a Dakar”. (Compagnon, O., Op cit., p.12, 2015).
[x] Tanya Harmer y Alfredo Riquelme Segovia (Eds.), Chile y la Guerra Fría global, Santiago: RIL, 2014.
[xi] Christine Hatzky, Jessica Stites Mor (2014).
[xii] Gianfranco Baruchello, Henry Martin, How to Imagine: A Narrative on Art and Agriculture, New York: McPherson, 1983, p. 28–29. Citato in Sara Catenacci, “Solidarity and Social engaged Art in 1970s Italy” in Kristine Khouri, Rasha Salti, Past Disquiet: Artists, International Solidarity and Museums-in-Exile, Varsovie, Muzeum Sztuki Nowoczesnej, 2018.
[xiii] Alessandro Santoni, El comunismo italiano y la via chilena. Los origenes de un mito politico, Santiago: Ril Editores, 2011.
[xiv] “Mostra incessante per il Cile/1,” in Mario Borgese, Gino Gini (eds.), Mostra incessante per il Cile, Milano: Arti Grafiche Fiorin, 1977. Catalogo della mostra.
[xv] Ibidem
[xvi] Lavori in corso, “Il Campigna”, Premio Campigna XXXVII Edizione, Santa Sofia (FO), 18 settembre – 7 novembre 1993, a cura di R. Barilli e C. Spadoni, p. 38.
[xvii] Composto inizialmente da Giovanni Rubino, Corrado Costa, Gabriele Amadori, Narciso Bonomi, Mario Borgese, Cosimo Ricatto e Roberto Lenassini; più tardi si unirono Roberto Sommariva e Gabriele Albanesi.
[xviii] Dal sito dell’artista: http://www.marioborgese.it/index.html
[xix] Tre le più importanti, anche se non le uniche: la Brigada Ramona Parra, attiva dal 1964, Brigada Inti Peredo e la Brigada Elmo Catalán. Questi gruppi emergono durante la campagna elettorale del 1958 e, in particolare, durante quella del 1964. Pertanto la loro attività divenne più incisiva durante il periodo della Unidad Popular. Durante la dittatura militare, la maggior parte dei partecipanti andò in esilio, principalmente in Europa.
[xx] Mario Borgese, Gino Gini (eds.), Mostra incessante per il Cile.
[xxi] Ibidem
[xxii] Piotr Piotrowski, “On the Spatial Turn, or Horizontal Art History”, Umeni/ Art, n°5, 2008, p. 378-383
[xxiii] Douki Caroline, Minard Philippe, « Histoire globale, histoires connectées : un changement d’échelle historiographique ? Introduction », Revue d’histoire moderne & contemporaine, 2007/5 (n° 54-4bis), p. 7-21.
di Roberta Garieri.
Quale stella cade
senza che nessuno la guardi?
William Faulkner [i]
In memoria di Giovanni Rubino (1938-2021). Un artista radicale, animato da un sentimento di prossimità. Un perturbatore e agitatore. In tempi algidi di crisi politica, sociale e culturale, aprì a quella coscienza transatlantica che oltrepassò – annullandole – le frontiere fisiche, geografiche e identitarie.
In nome della solidarietà.
E perché la storia deve sempre ricominciare, affinché possa continuare a rimare.
Giovanni Rubino e Gigliola Rovasino, foto di Fabrizio Garghetti. Courtesy Gigliola Rovasino.
DECENTRALIZZARE LE NARRAZIONI
La storia che sto per raccontarvi è recente e rientra in una nuova prospettiva di ricerca che si propone di ripensare le narrazioni storico-artistiche del XX e del XXI secolo. Questo riesame storiografico deriva dalla consapevolezza dell’incompletezza della storia dell’arte scritta dallo sguardo occidentale, che basandosi su una politica di differenziazione ha stabilito una linea divisoria d’inclusione ed esclusione, di prossimità e lontananza, di centri e margini.
Bisogna chiedersi: quando è emersa la necessità di interrogare la linearità imposta dalla narrazione unilaterale di matrice occidentale?
Still dal documentario Murales di Michele Sambin e Sergio Ballini, Biennale di Venezia 1974 – Libertà per il Cile
È noto che la realtà globale subisce una svolta dopo il 1989, una data cruciale che segna la perdita dell’egemonia culturale dell’Europa e degli Stati Uniti e l’entrata in una nuova fase sia artistica che geopolitica. L’apertura democratica voluta dalla globalizzazione si è rivelata una mera illusione, così come le promesse di pace, libertà, uguaglianza, progresso e solidarietà. A questo proposito, gli storici dell’arte – specialisti di arte latinoamericana – Andrea Giunta e George F. Flaherty affermano quanto segue: “Tuttavia, invece di apportare un’ampia omogeneizzazione, la globalizzazione ha prodotto paradossalmente strutture ancora più complesse di integrazione, differenziazione e gerarchie, alcune visibili e altre oscure” [ii]. Possiamo sostenere che gli anni ’80 e ’90 costituiscono il punto nodale di questa revisione. Nel caso specifico dell’America Latina, i due storici dell’arte sopra citati, affermano che l’apertura democratica negli anni ‘80 ha favorito la liberazione degli archivi, così come una riconsiderazione dei programmi di studio, fino a quel momento sotto il rigido controllo dei governi autoritari. Queste transizioni hanno portato a quella che è stata definita “la svolta storiografica nella storia dell’arte latinoamericana” [iii], un cambiamento di rotta ancora in corso e che intende sovvertire le genealogie storiche dell’arte globale al di là dell’eurocentrismo.
A Nixon, Kissinger, Pinochet…Cile, striscione di Giovanni Rubino in occasione della venuta di Kissinger in Italia nel 1974; nella foto K. nel mirino dell’artista Roberto Lenassini in Galleria d’arte di Porta Ticinese durante la “Mostra Incessante per il Cile” © Archivio Giovanni Rubino.
Nell’ambito del progetto “Grounds for Comparison: Neo-Vanguards and Latin American/U.S. Latino Art, 1960-90”, sostenuto dall’iniziativa Connecting Art Histories della Getty Foundation, Andrea Giunta e George F. Flaherty hanno condiviso le loro intenzioni: “Stiamo testando modelli basati sia sulle relazioni tra metropoli europee e latinoamericane che sulla complicazione delle storie nazionali”[iv]. In questa riflessione emerge il concetto teorico di simultaneidad (simultaneità), una sonda teorica per l’analisi dell’arte globale del secondo dopoguerra, “un modello in cui l’arte latinoamericana non è più inscritta come periferica, ma è simultanea alle neo-avanguardie internazionali” [v].
D’altra parte, gli anni ’80 sono anche lo scenario che schiude alle interferenze tra il pensiero del decentramento (decostruzione, teorie postcoloniali, studi culturali) e i discorsi artistici. Questi incontri transdisciplinari costituiscono un campo di battaglia essenziale per demolire le dicotomie create dalla modernità occidentale che ancora oggi dominano i nostri immaginari culturali.
Gli ultimi decenni appena trascorsi testimoniano dunque dell’articolazione di nuovi strumenti teorici, metodologici ed epistemologici che permettono di continuare a interrogare le narrazioni storico-artistiche. La prospettiva che ci interessa in questo contesto riguarda gli scambi, i dialoghi e le influenze: vettori in movimento, trasferimenti che decentrano il canone stabilito, stimolando un approccio transnazionale [vi] – detto anche connesso o globale [vii].
Giovanni Rubino, murale su carta trasportabile per la morte di Giannino Zibecchi, Milano, piazza Duomo, durante il funerale, 21 aprile 1975 © Archivio Giovanni Rubino.
NUOVI VICINI: CILE-ITALIA
L’insularità del Cile è una condizione geografica dovuta alla sua posizione intermedia tra l’oceano Pacifico a ovest e la cordigliera delle Ande a est, e tra la pampa di salnitro al nord e la Patagonia al sud. Dal 1970, un momento storico segnato da profonde ricodificazioni ideologiche, questa dimensione fisico-geografica si dissolve per lasciare l’immagine del Cile rivelarsi al resto del mondo.
L’Unità 6 settembre 1970.
Il cammino democratico verso il socialismo intrapreso dal presidente Salvador Allende Gossens ha rappresentato un’esperienza senza precedenti per le rivoluzioni socialiste del XX secolo [viii], tanto da essere osservata con grande entusiasmo da diversi paesi, data la situazione particolare che la sinistra viveva [ix]. Per gli Stati Uniti, che agivano dal fronte ideologico imperialista della guerra fredda, il programma politico del presidente cileno rappresentava una minaccia per i suoi obiettivi strategici globali [x]. Il colpo di stato dell’11 settembre del 1973, guidato dal generale Augusto Pinochet, è stata la tragica fine della breve esperienza promossa da Salvador Allende, neutralizzando i sogni di giustizia e democrazia e le aspettative rivoluzionarie di una parte del nostro mondo.
Rinascita n°36, 11 settembre 1970. Biblioteca Gino Bianco.
Nella misura in cui proviene da una storia di espropriazione e diaspora, la produzione artistica cilena del periodo dittatoriale rivela l’esistenza di una rete globale di interconnessioni in tutte le direzioni, così come l’emergere di una comunità affettiva che permette di decostruire le gerarchie tra paesi, grazie alle relazioni culturali basate sui principi di solidarietà e resistenza.
Come altri paesi, l’Italia ha svolto un ruolo centrale nell’appoggiare il progetto politico di Salvador Allende e, successivamente, nella denuncia del colpo di stato militare. Il caso studio che consideriamo, La Mostra Incessante per il Cile, ha avuto luogo nella città di Milano dall’ottobre del 1973 al maggio del 1977 e si inserisce in una rete di mobilitazioni che, provenienti dall’ambito culturale sia indipendente che istituzionale, hanno agito a favore di una cultura antifascista. Inoltre, il fatto che la scintilla si sia accesa in Cile è una dimostrazione di come questa manifestazione – negli studi sui movimenti di solidarietà contro il neoimperialismo della guerra fredda – si collochi in una linea di influenza “sud-nord”, più trascurata rispetto al vettore opposto “nord-sud”[xi].
Prima pagina de l’Unità del 12 settembre 1973.
Quali sono le ragioni per cui un evento avvenuto dall’altra parte dell’oceano ha colpito le coscienze di un gruppo di artisti basati a Milano? Si può parlare dell’emergere di un'”etica della solidarietà” nelle pratiche artistiche contro il neoimperialismo della guerra fredda?
Le risposte a queste domande sembrano situarsi all’intersezione dei legami e delle affinità artistico-politiche tra Cile e Italia. In primo luogo, l’analogia tra il clima che ha segnato il contesto storico-politico di entrambi i paesi in quegli anni. Come ha affermato l’artista Gianfranco Baruchello: “Dobbiamo ricordare lo stato d’animo generale che abbiamo vissuto qui in Italia nel 1973, 1974 e 1975 […] tutti vivevano allora nell’aria di un possibile golpe fascista”[xii]. In secondo luogo, come segnala lo storico Alessandro Santoni, la memoria della Unidad Popular (Unità Popolare) era “un vero e proprio mito politico” che si radicò profondamente “nell’immaginario collettivo dei militanti della sinistra italiana”[xiii]. Queste analogie e influenze storico-politiche sono quindi il seme da cui è nata La Mostra Incessante per il Cile.
Galleria di Porta Ticinese, Milano © Archivio Giovanni Rubino.
LA GALLERIA DI PORTA TICINESE. LA MOSTRA INCESSANTE PER IL CILE (1973-1977)
In Italia, il periodo che va dall’utopia al dissenso (dagli anni ’60 agli anni ’70), è segnato in campo artistico dalla nascita di nuovi spazi, di nuove forme di relazione con il pubblico, le istituzioni e il contesto sociale e urbano e, al contempo, dalla ricerca di una nuova coscienza e responsabilità per affrontare la crisi culturale e di struttura in atto in quegli anni. La città di Milano rappresenta un terreno fertile per osservare come le istanze artistiche e politiche si sono intersecate in un dialogo di confronto e scontro.
Galleria di Porta Ticinese, Milano © Archivio Giovanni Rubino.
La Galleria di Porta Ticinese rientrava in una costellazione di esperienze sperimentali che, mosse dall’urgenza del reale, reclamavano la necessità di un cambiamento profondo e radicale nel rapporto tra la pratica artistica e la realtà sociale e politica. Il piccolo spazio indipendente era gestito da Gigliola Rovasino che nei primi anni ’70 decise di uscire dal circuito delle gallerie private per avvicinarsi ai “veri momenti di lotta e di dibattito politico”. La rinnovata posizione della galleria inaugurò nel 1973 con l’apertura de La Mostra Incessante per il Cile, la cui organizzazione si deve principalmente agli artisti Giovanni Rubino e Corrado Costa. Sin dal titolo, l’aggettivo “incessante” indicava l’intensità dell’urgenza di lasciarsi perturbare dai fatti cileni, annullando così qualsiasi distanza spaziale in nome della solidarietà internazionale. Le intenzioni iniziali erano che la mostra durasse fino al ritorno della democrazia in Cile, invece rimase attiva fino al 1977.
Galleria di Porta Ticinese, Milano © Archivio Giovanni Rubino. Foto di Paola Mattioli. Courtesy Gigliola Rovasino.
La cronaca completa di questo percorso è riassunta e sistematizzata dall’evento finale tenutosi dall’1 al 15 maggio del 1977 presso la Rotonda di Via Besana a Milano, di cui oggi si conserva il catalogo. Per tornare alle intenzioni della galleria, nelle prime pagine del catalogo leggiamo:
«Durante la stagione artistica 1973/74 diventa operativa la proposta che la Galleria di Porta Ticinese aveva già avanzato a partire dal 1971, modificando la propria attività rispetto a quella di una normale galleria d’arte privata, di aprire uno spazio alternativo a giovani artisti, operatori estetici politicamente impegnati per raggiungere un livello di confronto con esperienze anche diverse, soprattutto in senso culturale, ma aventi per specifico campo d’azione il raggiungimento di comuni obiettivi di crescita politica, di identificazione con determinate problematiche di classe [xiv]».
Mostra incessante per il Cile, catalogo. Rotonda di Via Besana, Milano, 1-15 maggio 1977.
Più avanti:
«Viene scelta come ideale modello di unificazione delle varie esperienze e di identificazione morale, la tragedia del popolo cileno, sia per la sua bruciante attualità, sia per la sua stessa struttura, che la rende esempio vivente della feroce repressione fascista e dei suoi metodi, tristemente simili in tutti i paesi in cui si verifichi.
La “mostra incessante” che ha luogo durante l’intera stagione artistica non è tuttavia solo un gesto solidale, ma un tentativo di studio di certi meccanismi e, soprattutto un tentativo di divulgazione e di sensibilizzazione che aiuti e sostenga una presa di coscienza del pubblico sulle modalità e sulle matrici del golpe [xv]».
Giovanni Rubino, 11 settembre 1973. Golpe in Cile: Allende assassinato e il fascista Pinochet al potere © Archivio Giovanni Rubino.
Il concept della “mostra incessante” rispondeva dunque a un desiderio collettivo di sperimentazione e cambiamento. Artisti, collettivi, spesso in collaborazione con associazioni e gruppi militanti, realizzarono interventi dentro e fuori la galleria, creando un tessuto sociale che oltrepassò i limiti fisici e concettuali dello spazio espositivo – soprattutto a partire dalla seconda stagione del 1974/1975. I promotori di questo risveglio collettivo furono principalmente Giovanni Rubino e Corrado Costa, con Gigliola Rovasino, un piccolo gruppo che in seguito si allargò includendo altri partecipanti.
Giovanni Rubino, “Omaggio a Walter Crane”, 1973, fotomontaggio su tela emulsionata per “Cartoons for the Cause”, con Corrado Costa e Emilio Villa, primo episodio della “Mostra incessante per il Cile”, Galleria di Porta Ticinese, Milano © Archivio Giovanni Rubino.
Il primo evento inaugurale si svolse dal 18 ottobre al 5 novembre del 1973 negli spazi della galleria e prevedeva interventi di Rubino, Costa ed Emilio Villa su Cartoons for the Cause, un catalogo di illustrazioni politiche dell’artista dell’Ottocento inglese Walter Crane. Nello specifico, si trattava di un lavoro collettivo a sei mani: i fotomontaggi di Rubino e i contributi scritti di Costa e del poeta e critico d’arte Emilio Villa. L’artista Mario Borgese afferma che “agli artisti è stato chiesto di creare un’opera ispirata ai Cartoons for the Cause“. Pertanto, data la varietà dei linguaggi formali degli artisti coinvolti, solo in alcuni casi è stata seguita la proposta iniziale.
Galleria di Porta Ticinese, Milano © Archivio Giovanni Rubino. Courtesy Gigliola Rovasino.
Veduta dell’esposizione. Interventi di G. Rubino, C. Costa e E. Villa su “Cartoons for the cause di Walter Crane”, 18 ottobre-5 novembre 1973 © Archivio Giovanni Rubino. Courtesy Gigliola Rovasino.
Collettivo Brera B7, Una bandiera per il popolo cileno (a destra), catalogo. Rotonda di Via Besana, Milano. 8 febbraio 1974 © Archivio Giovanni Rubino.
L’8 febbraio del 1974 il gruppo B7 – un collettivo di studenti dell’Accademia di Belle Arti di Brera a Milano – realizzò un intervento su una bandiera da portare durante le manifestazioni e il cui titolo era “Una bandiera per il popolo cileno in lotta”. Oltre alla bandiera, era presente un volantino stampato (di cui non abbiamo traccia). L’azione di intervenire l’emblema per eccellenza della nazione cilena, occupata da un ordine antidemocratico, è significativo. Infatti, con l’ascesa dei movimenti nazionalisti e l’istituzione della Doctrina de Seguridad Nacional (Dottrina di Sicurezza Nazionale), la bandiera cilena divenne, poco dopo il colpo di stato, un simbolo della dittatura militare. Come altri simboli nazionali, fu ampiamente utilizzata dagli artisti cileni attraverso gesti di riappropriazione, per manifestare il disaccordo, la non appartenenza ad una nazione sotto assedio fascista.
Mauro Staccioli, “Condizione Cile”, 1974 © Archivio Giovanni Rubino. Courtesy Gigliola Rovasino.
Mauro Staccioli, “Condizione Cile”, 1974 © Archivio Giovanni Rubino. Courtesy Gigliola Rovasino.
“Condizione Cile” di Mauro Staccioli (1937-2018) era una mostra che si svolse il 13 marzo del 1974. L’artista toscano espose alcune sculture e, sulle pareti dello spazio, ritagli di giornale che narravano eventi quotidiani di violenza politica e civile. Le sculture in cemento e ferro al centro della galleria rientravano nella serie “Anticarri” che Staccioli stava sviluppando dal 1970. In un certo senso sono opere che fanno da ponte tra la situazione italiana e quella cilena, creando un dialogo di solidarietà transatlantica. Come “macchine da guerra” queste sculture – concepite, al pari di altre opere dell’artista per abitare gli spazi della città – rappresentano l’eterna ricerca dei popoli di un ideale di pace e libertà, mentre sono immersi in un conflitto che costituisce lo sfondo di questa aspirazione.
Mauro Staccioli, “Condizione Cile”, 1974 © Archivio Giovanni Rubino. Courtesy Gigliola Rovasino [Sculture collocate in Galleria alle quali sono accostati, come documentazione quotidiana di fatti di violenza politica e civile, ritagli di giornale esposti in progressione sulle pareti per tutta la durata della mostra.]
Nel 1974, come satellite della galleria, venne fondato il Collettivo Autonomo Pittori di Porta Ticinese [xvii], il quale “lavorava contro l’organizzazione capitalista dello Stato, (…) e si proponeva come un gruppo di artisti militanti i cui elementi caratteristici sono la visualizzazione dei contenuti della lotta e la socializzazione degli strumenti creativi” [xviii]. Durante la “Manifestazione Internazionalista per il Cile” del 14 settembre 1974, organizzarono un momento collettivo di creazione in Piazza Duomo, per riprodurre uno dei murales delle brigadas muralistas (brigate muraliste) cilene [xix]. La loro influenza sulla cultura democratica italiana è stata importante e poco studiata e rivela assi di dialoghi e scambi artistici invertiti rispetto a quelli abitualmente considerati validi dal canone, da nord a sud.
Manifestazione internazionalista per il Cile del 14 settembre 1974 organizzata dal Collettivo Autonomo Pittori di Porta Ticinese © Archivio Giovanni Rubino.
11 settembre 1973, il collettivo di Porta Ticinese realizza in piazza Duomo uno striscione per il Cile davanti ai manifestanti; in quella occasione si costituisce il collettivo di Porta Ticinese cui prendono parte Rubino, Amadori, Crociani, Ricatto, Bonomi © Archivio Giovanni Rubino.
Striscione del Collettivo Autonomo Pittori di Porta Ticinese contro Pinochet per la prima manifestazione in piazza Duomo all’indomani del Golpe; lo striscione fu dipinto in strada sotto gli occhi dei compagni intervenuti alla prima manifestazione internazionalista per il Cile, Milano, 1973 © Archivio Giovanni Rubino.
Vorrei terminare con un’osservazione di Mario De Micheli – storico italiano delle avanguardie del Novecento – esposta durante un dibattito tenutosi in occasione della mostra di chiusura nel 1977:
«Penso che forse si potrebbe aggiungere ancora qualche cosa a questi discorsi, nel senso che qui abbiamo in particolare parlato del contributo che gli artisti e gli intellettuali hanno dato a quella che è la situazione cilena. Io vorrei invece vedere che cosa è stato dato dal Cile come contributo internazionale alla cultura e alla nostra conoscenza [xx]».
Nel suo breve intervento, De Micheli sottolineò l’importanza del linguaggio artistico sviluppato dalle brigadas, della loro “capacità di restituire all’immagine il suo potere di persuasione e di agitazione”. Affermò che restituire alla pittura la sua funzione immediata e sociale è “scioccante”, in quanto è un “atto di profanazione”, e indicò il recupero di questo metodo da parte degli artisti italiani “a fini didattici e pedagogici”.
«Questo è il contributo, a mio avviso, che la cultura militante cilena ha dato e ci dà. La volontà (…) di trovare un grande linguaggio generale di comunicazione che rompa questo cerchio di soggettivismo in cui l’artista perde se stesso [xxi]».
68: l’azione è nella strada, C. Di Leo Ricatto, A. Sormani, P. Deodato, “Mostra incessante per il Cile”, 10 giugno 1976. Reperti fotografici del maggio del ’68, Galleria di Porta Ticinese, Milano © Archivio Giovanni Rubino. Courtesy Gigliola Rovasino.
68: l’azione è nella strada, C. Di Leo Ricatto, A. Sormani, P. Deodato, “Mostra incessante per il Cile”, 10 giugno 1976. Reperti fotografici del maggio del ’68, Galleria di Porta Ticinese, Milano © Archivio Giovanni Rubino. Courtesy Gigliola Rovasino.
USCIRE DALLA GRANDE NARRAZIONE
Questo articolo di ricerca ha cercato di offrire una lettura diversa – senza pretesa di esaustività – da quella tradizionalmente data dalle narrazioni artistiche nazionali. L’obiettivo è stato quello di spostare i paradigmi prestabiliti verso nozioni trasversali in cui la transnazionalità e la solidarietà nelle arti aprono nuovi orizzonti di ricerca per la nostra disciplina.
Parafrasando lo storico dell’arte polacco Piotr Piotrovski, questi nuovi approcci promuovono una storia dell’arte orizzontale, polifonica e multidimensionale, libera da frontiere e gerarchie [xxii]. Allo stesso tempo, ristabilire queste connessioni multiple, così come approfondire le specificità dei linguaggi nati in contesti di dittatura e diaspora, può favorire il decentramento delle narrazioni canoniche. Questi approcci completano la storia nazionale, regionale e continentale e il loro obiettivo è duplice: da un lato permettono di superare la divisione nazionale della ricerca storico-artistica, per includere fenomeni che vanno oltre le frontiere. Come rilevano Caroline Douki e Philippe Minard: “La compartimentazione nazionale tende a oscurare o a rendere invisibili i fenomeni di interrelazione e connessione, rendendo impermeabili i confini e distaccando gli oggetti dai contesti e dai legami transnazionali” [xxiii]. In secondo luogo, si tratta di uscire dalla “grande narrazione”, quella scritta dal solo punto di vista occidentale: “la storia del mondo non può essere ridotta all”ascesa dell’Occidente e all’occidentalizzazione del resto”[xxiv].
Pino Spagnuolo, “Mostra incessante per il Cile”, Galleria di Porta Ticinese, Milano, 13 dicembre 1973 © Archivio Giovanni Rubino. Courtesy Gigliola Rovasino.
note:
*Il presente articolo è stato esposto per la prima volta durante il congresso “Crisis global, desigualdades y centralidad de la vida” organizzato da Latin American Studies Association (maggio 2021) e rientra nella più ampia ricerca dottorale che sto svolgendo all’università di Rennes 2 (Francia). Ringrazio Elvira Vannini per condividere con me il materiale d’archivio di Giovanni Rubino, senza il quale questo approfondimento non sarebbe stato possibile.
[i] Roberto Bolaño, Stella distante, Milano, Adelphi, 2014
[ii] Andrea Giunta, George F. Flaherty, “Latin American Art History: An Historiographic Turn”, Art in Translation, n°9: sup1, 2017, p.121-142.
[iii] Ibidem
[iv] Ibidem
[v] Ibidem
[vi] Mi interessa la definizione data da Christine Hatzky e Jessica Stites Mor: “Per noi, il termine “transnazionale” è una categoria analitica che ci permette di esplorare i movimenti transfrontalieri oltre gli stati nazionali, per andare oltre le prospettive delle storie nazionali e internazionali e, nel nostro caso, le storie dei movimenti sociali nei loro quadri spesso antinazionali e trasgressivi”. Christine Hatzky, Jessica Stites Mor, “Latin American Transnational Solidarities: Contexts and Critical Research Paradigms”, Journal of Iberian and Latin American Research, 20:2, 2014, p. 127-140.
[vii] Paula Barreiro López (ed.), Atlántico frío. Historias transnacionales del arte y la política en los tiempos del telón de acero, Madrid, Brumaria, 2019., come anche il lavoro di ricerca della stessa con il gruppo Modernidades Decentralizadas.
[viii] Olivier Compagnon, Caroline Moine, “Introduction-Pour une histoire globale du 11 septembre 1973”, Monde(s) n°8, Presses Universitaires de Rennes, 2015-2, p. 9-26.
[ix] “Le rivelazioni dei crimini dello stalinismo al XX Congresso del Partito Comunista dell’Unione Sovietica nel 1956, il progressivo allineamento dell’Avana con Mosca nella seconda metà degli anni ‘60, la scomparsa nell’ottobre 1967 dell’icona rivoluzionaria incarnata da Che Guevara, la repressione della Primavera di Praga, così come le ribellioni abortite o represse del 1968, da Parigi a Dakar”. (Compagnon, O., Op cit., p.12, 2015).
[x] Tanya Harmer y Alfredo Riquelme Segovia (Eds.), Chile y la Guerra Fría global, Santiago: RIL, 2014.
[xi] Christine Hatzky, Jessica Stites Mor (2014).
[xii] Gianfranco Baruchello, Henry Martin, How to Imagine: A Narrative on Art and Agriculture, New York: McPherson, 1983, p. 28–29. Citato in Sara Catenacci, “Solidarity and Social engaged Art in 1970s Italy” in Kristine Khouri, Rasha Salti, Past Disquiet: Artists, International Solidarity and Museums-in-Exile, Varsovie, Muzeum Sztuki Nowoczesnej, 2018.
[xiii] Alessandro Santoni, El comunismo italiano y la via chilena. Los origenes de un mito politico, Santiago: Ril Editores, 2011.
[xiv] “Mostra incessante per il Cile/1,” in Mario Borgese, Gino Gini (eds.), Mostra incessante per il Cile, Milano: Arti Grafiche Fiorin, 1977. Catalogo della mostra.
[xv] Ibidem
[xvi] Lavori in corso, “Il Campigna”, Premio Campigna XXXVII Edizione, Santa Sofia (FO), 18 settembre – 7 novembre 1993, a cura di R. Barilli e C. Spadoni, p. 38.
[xvii] Composto inizialmente da Giovanni Rubino, Corrado Costa, Gabriele Amadori, Narciso Bonomi, Mario Borgese, Cosimo Ricatto e Roberto Lenassini; più tardi si unirono Roberto Sommariva e Gabriele Albanesi.
[xviii] Dal sito dell’artista: http://www.marioborgese.it/index.html
[xix] Tre le più importanti, anche se non le uniche: la Brigada Ramona Parra, attiva dal 1964, Brigada Inti Peredo e la Brigada Elmo Catalán. Questi gruppi emergono durante la campagna elettorale del 1958 e, in particolare, durante quella del 1964. Pertanto la loro attività divenne più incisiva durante il periodo della Unidad Popular. Durante la dittatura militare, la maggior parte dei partecipanti andò in esilio, principalmente in Europa.
[xx] Mario Borgese, Gino Gini (eds.), Mostra incessante per il Cile.
[xxi] Ibidem
[xxii] Piotr Piotrowski, “On the Spatial Turn, or Horizontal Art History”, Umeni/ Art, n°5, 2008, p. 378-383
[xxiii] Douki Caroline, Minard Philippe, « Histoire globale, histoires connectées : un changement d’échelle historiographique ? Introduction », Revue d’histoire moderne & contemporaine, 2007/5 (n° 54-4bis), p. 7-21.
[xxiv] Ibidem
Dibattito e assemblea durante un opening alla Galleria di Porta Ticinese, Milano © Archivio Giovanni Rubino. Courtesy Gigliola Rovasino; in piedi a sinistra, l’artista Giovanni Rubino.
Materiali “Mostra incessante per il Cile”, Galleria di Porta Ticinese, Milano © Archivio Giovanni Rubino.