«La prima condizione per scrivere – racconta Simone de Beauvoir in un breve testo intitolato Le donne e la creatività in cui racconta di Virginia Woolf [i]- consiste nell’avere una camera tutta per sé, un angolo in cui sia possibile ritirarsi per qualche ora, in cui si possa, senza essere distratte, riflettere, scrivere, rileggere ciò che si è fatto, criticarsi, essere sole con sé stesse. In altre parole la camera è al contempo una realtà e un simbolo. Per scrivere, per poter realizzare qualche cosa, occorre innanzitutto appartenersi».
Virginia Woolf scrisse il celebre A Room of One’s Own rielaborando due sue conferenze in college femminili su “Le donne e il romanzo”, dopo aver incontrato quelle ragazze «affamate ma coraggiose, intelligenti, avide, povere», come scrisse nel suo Diario (1928): «Ho detto loro pacatamente di bere vino e procurarsi una stanza tutta per sé», una stanza reale o immaginaria in cui le storie sono collocate simbolicamente o concretamente, uno spazio che permette di situare ed enunciare il proprio punto di vista che funziona come cornice meta-narrativa. Una stanza in cui la creatività va oltre le differenze di genere e diventa libertà di desiderare uno sguardo e una presa sul mondo senza misure stabilite da altri. Storicamente, c’è stato un destino di genere che ha riguardato (e ancora riguarda) una parte dell’umanità che deve fare i conti con una eredità arcaica, dove le donne – e gli Altri: i soggetti minoritari ma non di minoranza -, sono stati privati della parola, dove i libri che hanno scritto hanno fatto fatica ad imporsi rispetto alla potente, millenaria tradizione maschile che li ha cancellati e reso invisibili, senza voce.
Flyer sulla prima mostra di artiste donne in Cina, del 1980, esposto in VAI PURE. Reading Room of Art and Feminism, a cura di AP Project, abC Art Book Fair, Pechino, 2021.
Il saggio è attraversato da un’invenzione retorica di grande valore per la politica femminista: la figura della donna silenziata e cancellata in quello che aveva da dire da parte della cultura maschile ed eteropatriarcale, diventata così unilaterale in quanto mutilata del contributo della «sorella di Shakespeare».
Prendendo in prestito il titolo di Carla Lonzi VAI PURE. Reading Room of Art and Feminism è stata presentata alla abC Art Book Fair di Pechino, come progetto di Artist Publishing Project (AP Project), indagando il concetto di “research exhibition”, con materiali di ricerca, riviste, archivi, tracce visuali e documentali, appunti e testi di artiste, notazioni e interviste, che provano a raccontare al pubblico cinese il momento fondativo del femminismo italiano e i suoi legami con il mondo artistico, a partire dalla centralità della figura di Lonzi e non solo, collocandoli in un discorso internazionale di teoria e documentazione espositiva.
Locandina, VAI PURE. Reading Room of Art and Feminism, a cura di AP Project, abC Art Book Fair, Pechino, 2021.
La struttura spaziale della Reading room femminista riprende The Orchid Room ed è stata progettata dall’artista Liu Ding, ispirata alla Orchid Room del Parco Zhongshan di Pechino. Situata in un giardino imperiale della dinastia Ming, la Sala delle orchidee è un luogo in cui sono esposte orchidee, dipinti e calligrafie cinesi, tutti oggetti per intellettuali e conoscitori d’arte. Nel 1959, le orchidee furono portate da Shanghai e iniziarono a essere coltivate nel parco. Le orchidee non avrebbero potuto crescere nel clima settentrionale di Pechino, ma grazie alla passione e all’attenzione del generale Zhu De (1886-1976), un pioniere del Partito Comunista Cinese, furono chiamati degli specialisti per assicurarne la sopravvivenza a Pechino. In quel passaggio storico, la campagna anti-destra avviava, a livello nazionale, la persecuzione e criminalizzazione di intellettuali e attività intellettuali. Eppure l’élite del partito continuava a esercitare tale privilegio. La nascita della Stanza delle Orchidee ha certamente manifestato i paradossi interni della leadership del Partito Comunista e la mobilità della cultura come un privilegio.
VAI PURE. Reading Room of Art and Feminism, a cura di AP Project, abC Art Book Fair, Pechino, 2021.
L’idea stessa di una Reading Room ruota attorno a un concetto di expanded display e di art publishing (dove anche il libro è concepito come spazio espositivo). Abbiamo rivolto alcune domande al fondatore di AP Project (Artist Publishing Project), Shuai Yin, sulla struttura spaziale e la tipologia di materiali esposti in questo interessante tentativo di ripensare una stanza di lettura femminista:
Shuai Yin: L’idea di un programma espositivo nel contesto della fiera è nato da abC. Da un lato, una Reading room pensata come uno dei progetti speciali, dove i pubblici possono leggere libri e riviste in uno spazio tranquillo dove possono “scappare” dall’atmosfera commerciale di un appuntamento fieristico; dall’altro lato, dopo la quinta edizione di abC, gli organizzatori volevano avvicinarsi maggiormente al sistema d’arte, quindi ci hanno chiesto di progettare uno spazio. Abbiamo deciso di costruirlo intorno a un concetto curatoriale e chiedere agli artisti di partecipare e collaborare insieme.
VAI PURE. Reading Room of Art and Feminism, a cura di AP Project, abC Art Book Fair, Pechino, 2021.
VAI PURE. Reading Room of Art and Feminism, a cura di AP Project, abC Art Book Fair, Pechino, 2021.
Il titolo è stato preso dal libro di Carla Lonzi del 1980, dove aveva trascritto i dialoghi con il compagno, l’artista Pietro Consagra in quattro giornate, e alla fine Lonzi chiude il rapporto d’amore con la frase VAI PURE.
Carla Lonzi e Pietro Consagra. Fondo Carla Lonzi, Galleria Nazionale d’Arte Moderna e Contemporanea.
Ci sono vari motivi di cui l’abbiamo scelto come il titolo della Reading Room: prima di tutto, utilizziamo VAI PURE di Lonzi per ricordarci e domandarci perché dovremmo discutere di arte e femminismo, che tipo di opere e lavori artistici stiamo osservando, come allontanarsi soggettivamente dallo sguardo consumistico e afflitto dagli stereotipi patriarcali sui corpi e le donne, per cui abbiamo messo in esposizione le foto storiche del movimento Women and their bodies, le poesie visuali di Mirella Bentivoglio, un libro d’artista fatto dal gruppo Prickly Paper che si intitola Menstrual Blood is not dirty e affronta uno dei fluidi più tabù del mondo, un problema comune a tutte le donne ma anche un’esperienza privata e trascurata, accusata di essere impura.
VAI PURE. Reading Room of Art and Feminism, a cura di AP Project, abC Art Book Fair, Pechino, 2021.
VAI PURE. Reading Room of Art and Feminism, a cura di AP Project, abC Art Book Fair, Pechino, 2021.
VAI PURE. Reading Room of Art and Feminism, a cura di AP Project, abC Art Book Fair, Pechino, 2021.
VAI PURE. Reading Room of Art and Feminism, a cura di AP Project, abC Art Book Fair, Pechino, 2021.
Aprire uno spazio riposto come una Reading room al pubblico di una fiera, mostrando le relazioni soggettive tra materiali storici e artistici si avvicina, secondo noi, all’attitudine di Lonzi nell’aver inserito in un discorso pubblico un dialogo privato e personale; o il documentario Coby and Stephen are in Love di Luka Yuanyuan Yang, Writing·Mother di Jingyuan. Inoltre, nel corso delle quattro giornate si sono succeduti una serie di eventi programmati, tra cui la reading performance Where did I miss you (IOAM), Perspectives and Methods of Revisiting the archive of Art and Feminism in China (OCAT), per citarne alcune che ci sembravano discussioni simili al dialogo tra Lonzi e Consagra. Abbiamo anche chiesto all’artista Liu Ding di progettare una sua Orchid Room che ha immaginato come una stanza disordinata con i fiori e le cornici storte.
VAI PURE. Reading Room of Art and Feminism, a cura di AP Project, abC Art Book Fair, Pechino, 2021.
AP Project ha già pubblicato Why don’t you show your anger? di Yiyan Liang, ora la scelta di ospitare un focus su scrittura e soggettività femminile e alcuni dei documenti storici del femminismo italiano, quale è attualmente l’interesse intorno al femminismo in Cina e come sono state recepite queste pubblicazioni?
Shuai Yin: Abbiamo scoperto ci sono grandi problemi intorno al discorso di genere e delle arti femminili nel contesto cinese. La maggior parte della discussione sociale è ancora incentrata sull’opposizione binaria di genere, ignorando la questione politica e economica; anzi, dal nostro punto di vista, questo dibattito sul “femminile” usa l’argomento del femminismo solo per motivi economici, accumulando l’oggettificazione e reificazione delle donne; per quanto riguarda il sistema dell’arte, la situazione è ulteriormente peggiorata: un mese prima della fiera, il video ”Uglier and Uglier” dell’artista cinese Song Ta (maschio) è stato presentato nella collezione di una importante istituzione artistica a Shanghai. L’artista ha filmato 5.000 studentesse universitarie senza avere il permesso, e montato seguendo la classificazione della “bellezza fisica”. Se dicevamo, questo sfruttamento dei corpi un tempo era visibile (come è stato nel lavoro dell’artista polacca Natalia LL), i meccanismi attuali sono più subdoli e invisibili, quindi difficili da svelare perché mimetizzati sotto la logica dello sviluppo del capitalismo.
Attraverso la poesia visiva, l’artista ha prodotto 6 diverse configurazioni che rappresentano la scena del “crollo del monumento” e allo stesso tempo sollevano dubbi sulla scrittura della storia dell’arte, Mirella Bentivoglio, Monumento, De Luca Editore, Roma 1968.
Mirella Bentivoglio, Monumento, De Luca Editore, Roma 1968.
Mirella Bentivoglio, Monumento, De Luca Editore, Roma 1968.
Ci interessa capire come si è formato un concetto cosi semplificato e superficiale del femminismo mainstream e neoliberale, per questo vogliamo tornare a un discorso storico e ripresentare un altro “femminismo”, quello degli anni ‘70 che abbiamo conosciuto in Italia, con le sue due anime dell’autocoscienza e del lavoro domestico, come è stato spiegato dal curatore Marco Scotini nella mostra Il soggetto imprevisto, rileggendo i materiali d’archivio, ricostruendo concatenazioni storiche, invisibilizzate o rimosse, per trovare la realtà nascosta e ignorata dalla narrazione modernista costruita intorno a un soggetto maschile e occidentale che ha avuto il potere di raccontare.
Il primo periodico femminista autonomo è stato Effe (1973-1982); VAI PURE. Reading Room of Art and Feminism, a cura di AP Project, abC Art Book Fair, Pechino, 2021.
EFFE, numero 0, Roma, 1973.
EFFE, maggio 1976.
Artist Publishing Project (AP Project) è un progetto editoriale e una piattaforma di formati sperimentali legati alla produzione artistica ed espositiva, con una particolare attenzione a questioni research-based e all’archivio come metodologia per costruire contro-storie. Quale è la vostra linea editoriale?
Shuai Yin: Come abbiamo affermato in una conferenza a Pechino, secondo noi il concetto di “Publishing as Curation” può essere indicativo della nostra attività, cioè non vogliamo assumere il ruolo di una casa editrice che stampa i libri (o produce servizi editoriali), ma ci interessa creare i libri, focalizzando diverse aree di ricerca, i ritmi della narrazione, l’estetica dello spazio (impaginato ed espositivo come equivalenti).
VAI PURE. Reading Room of Art and Feminism, a cura di AP Project, abC Art Book Fair, Pechino, 2021.
VAI PURE. Reading Room of Art and Feminism, a cura di AP Project, abC Art Book Fair, Pechino, 2021.
VAI PURE. Reading Room of Art and Feminism, a cura di AP Project, abC Art Book Fair, Pechino, 2021.
Nel frattempo, abbiamo avviato anche un progetto si chiama AP Archive, in cui stiamo collezionando pubblicazioni militanti, sia teoriche che storiche, come la rivista Ombre Rosse, Sputiamo Su Hegel di Carla Lonzi e i libretti verdi di Rivolta femminile, o libri d’artista come Keywords Dictionary di Xu Tan, etc, non vogliamo creare solo un archivio di conservazione di queste storie politiche dell’arte, utilizziamo questi materiali come strumenti per leggere il presente, facciamo interviste agli artisti, traduciamo i testi in cinese, produciamo i nuovi libri con le risorse abbiamo, forse così diventerà un archivio vivo concettualmente.
Fotografia tratta da EFFE, dicembre 1973.
«Non c’è solo un femminismo, come non esiste un solo patriarcato» (Ann McClintock)
Yiyan Liang – che ha sviluppato le sue ricerche intorno alle vicende storiche della scrittura delle donne chiamata Nü Shu e le origini del femminismo in Cina fino ai femminismi contemporanei transnazionali – afferma: «Il patriarcato è come una pianta rampicante, si aggrappa così forte sulla superficie che anche se tagli la pianta, le radici sono già entrate, si sono radicate e combinate con la struttura» quindi difficile da estirpare, in ogni parte del mondo, a prescindere dalle differenze culturali.
Yiyan Liang, Why don’t you show your anger? 2020.
Yiyan Liang, Why don’t you show your anger? 2020.
Yiyan Liang, Why don’t you show your anger? 2020.
La sua pubblicazione è una sorta di libro-oggetto e si intitola: Why don’t you show your anger?
Yiyan Liang: La pubblicazione è costituita da due oggetti editoriali: il libro, potremmo dire un taccuino e una seria di carte cognitive. Il sottotitolo del libro è Note sul femminismo cinese. È composto da due parti. La prima è un racconto storico-sociologico del femminismo cinese: dalla fine della dinastia Qing, quando il termine “femminismo” fu introdotto in Cina da studiosi maschi nel 1902, accompagnato dalla nascita della Madre della Nazione come figura ideale delle donne. Quest’idea di legare strettamente la liberazione delle donne alla missione nazionalista e anti-feudalista continuò a diffondersi nel movimento del Quattro Maggio. Proprio come il pensiero dominante ha separato e diviso le donne in due categorie, una contro l’altra: le cosiddette donne moderne, educate, indipendenti, libere e le donne feudali analfabete, dipendenti dai mariti, oppresse e inferiori. Quindi la maggioranza delle donne diventarono non altro che le vittime, simbolo del feudalismo, che deve essere distruggere per arrivare alla modernità.
EFFE, dicembre 1973.
Invece, quando arrivò il periodo Maoista, influenzato fortemente dalla teoria marxista, l’emancipazione delle donne esisteva come una sottocategoria della lotta di classe. Nonostante il momento storico e una politica che veniva dall’alto verso basso, le donne cinesi hanno rapidamente e concretamente beneficiato di una serie di diritti: il diritto al voto, l’educazione, il divorzio e la possibilità di sposarsi per propria scelta. Ma sottolineare la divisione sessuale del lavoro, tra maschile e femminile, per omogenizzare i generi allo stesso tempo, non fa altro che negare il corpo e la soggettività delle donne. Infatti è stato criticato molto il femminismo socialista negli anni ‘80 nel corso del Women’s Studies Movement. La quarta Conferenza Mondiale delle donne, che si svolse a Pechino nel 1995, ha collegato l’isola del femminismo cinese agli altri femminismi globali. Giovani attiviste hanno sperimentato con i linguaggi creativi fino al 2015. Dopo l’arresto delle cinque sorelle femministe, il movimento ha cominciato a muoversi come sottocorrente.
COMMING OUT FEMINIST, video still, Autoportrait des Participantes du Pool CH, How to take care of the Radical Feminism, HEAD Ginevra, 1-3 novembre 2017.
La realtà ci costringere ad alzare le nostre voci. Tende sempre a marginalizzarci, stigmatizzando femministi come dei femminazi infuriati. L’autocensura rende ancora più difficile esprimersi. Così ho deciso di riprendere il testo critico di Long Yingtai, scritto negli anni ‘80, intitolato Chinese, Why don’t you show your anger? Per risvegliare chi fa finta di essere addormentata.
Tutto questo discorso, costruisce la base del progetto. E porta infine un prodotto visuale che richiama la NüShu, la scrittura della donna. NüShu è stato un sistema di lingua inventato e usato soltanto tra le donne di Jiangyong in Cina. Diverso dai caratteri cinesi, la scrittura della donna è fonetica, in forme snelle e seguendo una direzione verticale.
Carla Lonzi a Minneapolis, 1967.
Carla Lonzi, Sputiamo su Hegel, 1974.
Ispirate da Carla Lonzi, abbiamo usato la scrittura come un linguaggio artistico e creativo. Intervenendo nelle immagini di archivio con la riproposta di NüShu, interpretiamo i vecchi caratteri con nuove parole e significati, sempre legati agli eventi storici o le teorie importanti per il femminismo cinese.
Costruendo così una specie di strumento educativo e cognitivo, per ripetere, ripronunciare la voce. Come dicono, non c’è una tabula rasa da cui partire, molte parole sono state già dette, basta riconoscerle.
Illustrazione tratta da EFFE, giugno 1974.
La Reading room ha ospitato letture e performance, aperto la riflessione intorno a tematiche identitarie, queer e di genere ma anche uno stile di narrazione gender-bending; assumere un punto di vista femminile all’interno dell’istituzione letteraria provoca ancora oggi un disturbo delle norme che lo regolano, perché viene raccontato l’“impensato” della tradizione patriarcale, quello che era rimasto il fuori-tema che ora diventa il tema.
Come conclude Yiyan Liang: «In realtà i pensieri di Carla Lonzi mi ispirano molto, soprattutto la sua concezione della scrittura come gesto creativo di resistenza, e la pratica di autocoscienza dentro Rivolta Femminile.
Condividere le proprie esperienze personali, e rimaste inascoltate, nel gruppo per creare delle risonanze. Trovo che sia un punto di collegamento transnazionale, quando le donne di Jiangyong si incontrano, scrivono, cantano, comunicano tra di loro durante le feste e il tempo libero tra i lavori domestici. Formano uno proprio comune sentire, creano uno spazio proprio che interrompe il monologo della cultura patriarcale e coltivano la propria coscienza come soggetto (imprevisto). La nostra soggettività è un campo di battaglia».
Fotografia tratta da EFFE, dicembre 1973.
[i] Simone de Beauvoir. La donna e la creatività, a cura di Tiziana Villani, Mimesis Eterotopia, Milano, 2001, p. 20.
«La prima condizione per scrivere – racconta Simone de Beauvoir in un breve testo intitolato Le donne e la creatività in cui racconta di Virginia Woolf [i]- consiste nell’avere una camera tutta per sé, un angolo in cui sia possibile ritirarsi per qualche ora, in cui si possa, senza essere distratte, riflettere, scrivere, rileggere ciò che si è fatto, criticarsi, essere sole con sé stesse. In altre parole la camera è al contempo una realtà e un simbolo. Per scrivere, per poter realizzare qualche cosa, occorre innanzitutto appartenersi».
Virginia Woolf scrisse il celebre A Room of One’s Own rielaborando due sue conferenze in college femminili su “Le donne e il romanzo”, dopo aver incontrato quelle ragazze «affamate ma coraggiose, intelligenti, avide, povere», come scrisse nel suo Diario (1928): «Ho detto loro pacatamente di bere vino e procurarsi una stanza tutta per sé», una stanza reale o immaginaria in cui le storie sono collocate simbolicamente o concretamente, uno spazio che permette di situare ed enunciare il proprio punto di vista che funziona come cornice meta-narrativa. Una stanza in cui la creatività va oltre le differenze di genere e diventa libertà di desiderare uno sguardo e una presa sul mondo senza misure stabilite da altri. Storicamente, c’è stato un destino di genere che ha riguardato (e ancora riguarda) una parte dell’umanità che deve fare i conti con una eredità arcaica, dove le donne – e gli Altri: i soggetti minoritari ma non di minoranza -, sono stati privati della parola, dove i libri che hanno scritto hanno fatto fatica ad imporsi rispetto alla potente, millenaria tradizione maschile che li ha cancellati e reso invisibili, senza voce.
Flyer sulla prima mostra di artiste donne in Cina, del 1980, esposto in VAI PURE. Reading Room of Art and Feminism, a cura di AP Project, abC Art Book Fair, Pechino, 2021.
Il saggio è attraversato da un’invenzione retorica di grande valore per la politica femminista: la figura della donna silenziata e cancellata in quello che aveva da dire da parte della cultura maschile ed eteropatriarcale, diventata così unilaterale in quanto mutilata del contributo della «sorella di Shakespeare».
Prendendo in prestito il titolo di Carla Lonzi VAI PURE. Reading Room of Art and Feminism è stata presentata alla abC Art Book Fair di Pechino, come progetto di Artist Publishing Project (AP Project), indagando il concetto di “research exhibition”, con materiali di ricerca, riviste, archivi, tracce visuali e documentali, appunti e testi di artiste, notazioni e interviste, che provano a raccontare al pubblico cinese il momento fondativo del femminismo italiano e i suoi legami con il mondo artistico, a partire dalla centralità della figura di Lonzi e non solo, collocandoli in un discorso internazionale di teoria e documentazione espositiva.
Locandina, VAI PURE. Reading Room of Art and Feminism, a cura di AP Project, abC Art Book Fair, Pechino, 2021.
La struttura spaziale della Reading room femminista riprende The Orchid Room ed è stata progettata dall’artista Liu Ding, ispirata alla Orchid Room del Parco Zhongshan di Pechino. Situata in un giardino imperiale della dinastia Ming, la Sala delle orchidee è un luogo in cui sono esposte orchidee, dipinti e calligrafie cinesi, tutti oggetti per intellettuali e conoscitori d’arte. Nel 1959, le orchidee furono portate da Shanghai e iniziarono a essere coltivate nel parco. Le orchidee non avrebbero potuto crescere nel clima settentrionale di Pechino, ma grazie alla passione e all’attenzione del generale Zhu De (1886-1976), un pioniere del Partito Comunista Cinese, furono chiamati degli specialisti per assicurarne la sopravvivenza a Pechino. In quel passaggio storico, la campagna anti-destra avviava, a livello nazionale, la persecuzione e criminalizzazione di intellettuali e attività intellettuali. Eppure l’élite del partito continuava a esercitare tale privilegio. La nascita della Stanza delle Orchidee ha certamente manifestato i paradossi interni della leadership del Partito Comunista e la mobilità della cultura come un privilegio.
VAI PURE. Reading Room of Art and Feminism, a cura di AP Project, abC Art Book Fair, Pechino, 2021.
L’idea stessa di una Reading Room ruota attorno a un concetto di expanded display e di art publishing (dove anche il libro è concepito come spazio espositivo). Abbiamo rivolto alcune domande al fondatore di AP Project (Artist Publishing Project), Shuai Yin, sulla struttura spaziale e la tipologia di materiali esposti in questo interessante tentativo di ripensare una stanza di lettura femminista:
Shuai Yin: L’idea di un programma espositivo nel contesto della fiera è nato da abC. Da un lato, una Reading room pensata come uno dei progetti speciali, dove i pubblici possono leggere libri e riviste in uno spazio tranquillo dove possono “scappare” dall’atmosfera commerciale di un appuntamento fieristico; dall’altro lato, dopo la quinta edizione di abC, gli organizzatori volevano avvicinarsi maggiormente al sistema d’arte, quindi ci hanno chiesto di progettare uno spazio. Abbiamo deciso di costruirlo intorno a un concetto curatoriale e chiedere agli artisti di partecipare e collaborare insieme.
VAI PURE. Reading Room of Art and Feminism, a cura di AP Project, abC Art Book Fair, Pechino, 2021.
VAI PURE. Reading Room of Art and Feminism, a cura di AP Project, abC Art Book Fair, Pechino, 2021.
Il titolo è stato preso dal libro di Carla Lonzi del 1980, dove aveva trascritto i dialoghi con il compagno, l’artista Pietro Consagra in quattro giornate, e alla fine Lonzi chiude il rapporto d’amore con la frase VAI PURE.
Carla Lonzi e Pietro Consagra. Fondo Carla Lonzi, Galleria Nazionale d’Arte Moderna e Contemporanea.
Ci sono vari motivi di cui l’abbiamo scelto come il titolo della Reading Room: prima di tutto, utilizziamo VAI PURE di Lonzi per ricordarci e domandarci perché dovremmo discutere di arte e femminismo, che tipo di opere e lavori artistici stiamo osservando, come allontanarsi soggettivamente dallo sguardo consumistico e afflitto dagli stereotipi patriarcali sui corpi e le donne, per cui abbiamo messo in esposizione le foto storiche del movimento Women and their bodies, le poesie visuali di Mirella Bentivoglio, un libro d’artista fatto dal gruppo Prickly Paper che si intitola Menstrual Blood is not dirty e affronta uno dei fluidi più tabù del mondo, un problema comune a tutte le donne ma anche un’esperienza privata e trascurata, accusata di essere impura.
VAI PURE. Reading Room of Art and Feminism, a cura di AP Project, abC Art Book Fair, Pechino, 2021.
VAI PURE. Reading Room of Art and Feminism, a cura di AP Project, abC Art Book Fair, Pechino, 2021.
VAI PURE. Reading Room of Art and Feminism, a cura di AP Project, abC Art Book Fair, Pechino, 2021.
VAI PURE. Reading Room of Art and Feminism, a cura di AP Project, abC Art Book Fair, Pechino, 2021.
Aprire uno spazio riposto come una Reading room al pubblico di una fiera, mostrando le relazioni soggettive tra materiali storici e artistici si avvicina, secondo noi, all’attitudine di Lonzi nell’aver inserito in un discorso pubblico un dialogo privato e personale; o il documentario Coby and Stephen are in Love di Luka Yuanyuan Yang, Writing·Mother di Jingyuan. Inoltre, nel corso delle quattro giornate si sono succeduti una serie di eventi programmati, tra cui la reading performance Where did I miss you (IOAM), Perspectives and Methods of Revisiting the archive of Art and Feminism in China (OCAT), per citarne alcune che ci sembravano discussioni simili al dialogo tra Lonzi e Consagra. Abbiamo anche chiesto all’artista Liu Ding di progettare una sua Orchid Room che ha immaginato come una stanza disordinata con i fiori e le cornici storte.
VAI PURE. Reading Room of Art and Feminism, a cura di AP Project, abC Art Book Fair, Pechino, 2021.
AP Project ha già pubblicato Why don’t you show your anger? di Yiyan Liang, ora la scelta di ospitare un focus su scrittura e soggettività femminile e alcuni dei documenti storici del femminismo italiano, quale è attualmente l’interesse intorno al femminismo in Cina e come sono state recepite queste pubblicazioni?
Shuai Yin: Abbiamo scoperto ci sono grandi problemi intorno al discorso di genere e delle arti femminili nel contesto cinese. La maggior parte della discussione sociale è ancora incentrata sull’opposizione binaria di genere, ignorando la questione politica e economica; anzi, dal nostro punto di vista, questo dibattito sul “femminile” usa l’argomento del femminismo solo per motivi economici, accumulando l’oggettificazione e reificazione delle donne; per quanto riguarda il sistema dell’arte, la situazione è ulteriormente peggiorata: un mese prima della fiera, il video ”Uglier and Uglier” dell’artista cinese Song Ta (maschio) è stato presentato nella collezione di una importante istituzione artistica a Shanghai. L’artista ha filmato 5.000 studentesse universitarie senza avere il permesso, e montato seguendo la classificazione della “bellezza fisica”. Se dicevamo, questo sfruttamento dei corpi un tempo era visibile (come è stato nel lavoro dell’artista polacca Natalia LL), i meccanismi attuali sono più subdoli e invisibili, quindi difficili da svelare perché mimetizzati sotto la logica dello sviluppo del capitalismo.
Attraverso la poesia visiva, l’artista ha prodotto 6 diverse configurazioni che rappresentano la scena del “crollo del monumento” e allo stesso tempo sollevano dubbi sulla scrittura della storia dell’arte, Mirella Bentivoglio, Monumento, De Luca Editore, Roma 1968.
Mirella Bentivoglio, Monumento, De Luca Editore, Roma 1968.
Mirella Bentivoglio, Monumento, De Luca Editore, Roma 1968.
Ci interessa capire come si è formato un concetto cosi semplificato e superficiale del femminismo mainstream e neoliberale, per questo vogliamo tornare a un discorso storico e ripresentare un altro “femminismo”, quello degli anni ‘70 che abbiamo conosciuto in Italia, con le sue due anime dell’autocoscienza e del lavoro domestico, come è stato spiegato dal curatore Marco Scotini nella mostra Il soggetto imprevisto, rileggendo i materiali d’archivio, ricostruendo concatenazioni storiche, invisibilizzate o rimosse, per trovare la realtà nascosta e ignorata dalla narrazione modernista costruita intorno a un soggetto maschile e occidentale che ha avuto il potere di raccontare.
Il primo periodico femminista autonomo è stato Effe (1973-1982); VAI PURE. Reading Room of Art and Feminism, a cura di AP Project, abC Art Book Fair, Pechino, 2021.
EFFE, numero 0, Roma, 1973.
EFFE, maggio 1976.
Artist Publishing Project (AP Project) è un progetto editoriale e una piattaforma di formati sperimentali legati alla produzione artistica ed espositiva, con una particolare attenzione a questioni research-based e all’archivio come metodologia per costruire contro-storie. Quale è la vostra linea editoriale?
Shuai Yin: Come abbiamo affermato in una conferenza a Pechino, secondo noi il concetto di “Publishing as Curation” può essere indicativo della nostra attività, cioè non vogliamo assumere il ruolo di una casa editrice che stampa i libri (o produce servizi editoriali), ma ci interessa creare i libri, focalizzando diverse aree di ricerca, i ritmi della narrazione, l’estetica dello spazio (impaginato ed espositivo come equivalenti).
VAI PURE. Reading Room of Art and Feminism, a cura di AP Project, abC Art Book Fair, Pechino, 2021.
VAI PURE. Reading Room of Art and Feminism, a cura di AP Project, abC Art Book Fair, Pechino, 2021.
VAI PURE. Reading Room of Art and Feminism, a cura di AP Project, abC Art Book Fair, Pechino, 2021.
Nel frattempo, abbiamo avviato anche un progetto si chiama AP Archive, in cui stiamo collezionando pubblicazioni militanti, sia teoriche che storiche, come la rivista Ombre Rosse, Sputiamo Su Hegel di Carla Lonzi e i libretti verdi di Rivolta femminile, o libri d’artista come Keywords Dictionary di Xu Tan, etc, non vogliamo creare solo un archivio di conservazione di queste storie politiche dell’arte, utilizziamo questi materiali come strumenti per leggere il presente, facciamo interviste agli artisti, traduciamo i testi in cinese, produciamo i nuovi libri con le risorse abbiamo, forse così diventerà un archivio vivo concettualmente.
Fotografia tratta da EFFE, dicembre 1973.
Yiyan Liang – che ha sviluppato le sue ricerche intorno alle vicende storiche della scrittura delle donne chiamata Nü Shu e le origini del femminismo in Cina fino ai femminismi contemporanei transnazionali – afferma: «Il patriarcato è come una pianta rampicante, si aggrappa così forte sulla superficie che anche se tagli la pianta, le radici sono già entrate, si sono radicate e combinate con la struttura» quindi difficile da estirpare, in ogni parte del mondo, a prescindere dalle differenze culturali.
Yiyan Liang, Why don’t you show your anger? 2020.
Yiyan Liang, Why don’t you show your anger? 2020.
Yiyan Liang, Why don’t you show your anger? 2020.
La sua pubblicazione è una sorta di libro-oggetto e si intitola: Why don’t you show your anger?
Yiyan Liang: La pubblicazione è costituita da due oggetti editoriali: il libro, potremmo dire un taccuino e una seria di carte cognitive. Il sottotitolo del libro è Note sul femminismo cinese. È composto da due parti. La prima è un racconto storico-sociologico del femminismo cinese: dalla fine della dinastia Qing, quando il termine “femminismo” fu introdotto in Cina da studiosi maschi nel 1902, accompagnato dalla nascita della Madre della Nazione come figura ideale delle donne. Quest’idea di legare strettamente la liberazione delle donne alla missione nazionalista e anti-feudalista continuò a diffondersi nel movimento del Quattro Maggio. Proprio come il pensiero dominante ha separato e diviso le donne in due categorie, una contro l’altra: le cosiddette donne moderne, educate, indipendenti, libere e le donne feudali analfabete, dipendenti dai mariti, oppresse e inferiori. Quindi la maggioranza delle donne diventarono non altro che le vittime, simbolo del feudalismo, che deve essere distruggere per arrivare alla modernità.
EFFE, dicembre 1973.
Invece, quando arrivò il periodo Maoista, influenzato fortemente dalla teoria marxista, l’emancipazione delle donne esisteva come una sottocategoria della lotta di classe. Nonostante il momento storico e una politica che veniva dall’alto verso basso, le donne cinesi hanno rapidamente e concretamente beneficiato di una serie di diritti: il diritto al voto, l’educazione, il divorzio e la possibilità di sposarsi per propria scelta. Ma sottolineare la divisione sessuale del lavoro, tra maschile e femminile, per omogenizzare i generi allo stesso tempo, non fa altro che negare il corpo e la soggettività delle donne. Infatti è stato criticato molto il femminismo socialista negli anni ‘80 nel corso del Women’s Studies Movement. La quarta Conferenza Mondiale delle donne, che si svolse a Pechino nel 1995, ha collegato l’isola del femminismo cinese agli altri femminismi globali. Giovani attiviste hanno sperimentato con i linguaggi creativi fino al 2015. Dopo l’arresto delle cinque sorelle femministe, il movimento ha cominciato a muoversi come sottocorrente.
COMMING OUT FEMINIST, video still, Autoportrait des Participantes du Pool CH, How to take care of the Radical Feminism, HEAD Ginevra, 1-3 novembre 2017.
La realtà ci costringere ad alzare le nostre voci. Tende sempre a marginalizzarci, stigmatizzando femministi come dei femminazi infuriati. L’autocensura rende ancora più difficile esprimersi. Così ho deciso di riprendere il testo critico di Long Yingtai, scritto negli anni ‘80, intitolato Chinese, Why don’t you show your anger? Per risvegliare chi fa finta di essere addormentata.
Tutto questo discorso, costruisce la base del progetto. E porta infine un prodotto visuale che richiama la NüShu, la scrittura della donna. NüShu è stato un sistema di lingua inventato e usato soltanto tra le donne di Jiangyong in Cina. Diverso dai caratteri cinesi, la scrittura della donna è fonetica, in forme snelle e seguendo una direzione verticale.
Carla Lonzi a Minneapolis, 1967.
Carla Lonzi, Sputiamo su Hegel, 1974.
Ispirate da Carla Lonzi, abbiamo usato la scrittura come un linguaggio artistico e creativo. Intervenendo nelle immagini di archivio con la riproposta di NüShu, interpretiamo i vecchi caratteri con nuove parole e significati, sempre legati agli eventi storici o le teorie importanti per il femminismo cinese.
Costruendo così una specie di strumento educativo e cognitivo, per ripetere, ripronunciare la voce. Come dicono, non c’è una tabula rasa da cui partire, molte parole sono state già dette, basta riconoscerle.
Illustrazione tratta da EFFE, giugno 1974.
La Reading room ha ospitato letture e performance, aperto la riflessione intorno a tematiche identitarie, queer e di genere ma anche uno stile di narrazione gender-bending; assumere un punto di vista femminile all’interno dell’istituzione letteraria provoca ancora oggi un disturbo delle norme che lo regolano, perché viene raccontato l’“impensato” della tradizione patriarcale, quello che era rimasto il fuori-tema che ora diventa il tema.
Come conclude Yiyan Liang: «In realtà i pensieri di Carla Lonzi mi ispirano molto, soprattutto la sua concezione della scrittura come gesto creativo di resistenza, e la pratica di autocoscienza dentro Rivolta Femminile.
Condividere le proprie esperienze personali, e rimaste inascoltate, nel gruppo per creare delle risonanze. Trovo che sia un punto di collegamento transnazionale, quando le donne di Jiangyong si incontrano, scrivono, cantano, comunicano tra di loro durante le feste e il tempo libero tra i lavori domestici. Formano uno proprio comune sentire, creano uno spazio proprio che interrompe il monologo della cultura patriarcale e coltivano la propria coscienza come soggetto (imprevisto). La nostra soggettività è un campo di battaglia».
Fotografia tratta da EFFE, dicembre 1973.
[i] Simone de Beauvoir. La donna e la creatività, a cura di Tiziana Villani, Mimesis Eterotopia, Milano, 2001, p. 20.