«La cosa più importante non è costruire bene, ma sapere come vive la maggior parte della gente. L’architetto è un maestro di vita, nel senso moderno di impadronirsi del modo di cucinare i fagioli, di come fare il fornello, di essere obbligato a vedere come funziona il gabinetto, come fare il bagno. Ha il sogno poetico, che è bello, di una architettura che dia un senso alla libertà». Lina Bo Bardi, lettera.
Una delle prima donne in Italia ad affermarsi come architetta e designer, Achillina Bo (Roma 1914 – San Paolo 1992) si trasferisce in Brasile nel 1946 con il marito Pietro Maria Bardi, lasciando la città di Roma nella quale nacque e studiò architettura, e la città di Milano, città in cui invece iniziò la sua carriera con Carlo Pagani e con Giò Ponti e in cui poi i bombardamenti distrussero il suo studio in via del Gesù.
Con un’installazione immersiva, fatta di suoni, di voci e di immagini in movimento che per 45 minuti scorrono sui 9 grandi schermi allestiti nella galleria 3 del MAXXI di Roma, l’artista visivo Isaac Julien (Londra, 1960) ha ripercorso gli snodi fondamentali della pratica di Bo Bardi, raccontandola attraverso il linguaggio cinematografico come una poesia e mettendone in luce le molteplici visioni. Visioni sempre guidate da un voler spostare l’approccio introspettivo sulla strutturalità degli spazi costruiti, sulla concretezza della materia, che però è forma fluida, fatta di aperture, di feritoie, di squarci sui muri attraverso i quali la luce deve entrare a far vivere tutto. Nella stanza scura chi siede è costretto a muoversi per vedere le diverse proiezioni che cambiano posizione lungo gli schermi che lo circondano. Ci si gira per curiosare e per capire, alla ricerca di un’unità di visione sulla storia e sul pensiero dell’architetta italo-brasiliana: dalla visita dell’etnografo Pierre Verger in Brasile, con il quale Bo Bardi collaborò, raccontata in bianco e nero con atmosfere nostalgiche e sognanti, fino alla progettazione degli edifici più significativi. La danza, la strada, la durezza e la concretezza del suono dei tamburi, la pesantezza dei corpi che si muovono negli spazi: un ritmo incalzante che punteggia costantemente il cortometraggio. Trova spazio una piccola processione, una marcia in onore di Marielle Franco (attivista e consigliera comunale di Rio de Janeiro uccisa il 14 marzo 2018) all’ingresso della Casa do Benin, il centro di cultura brasiliana di Salvador. E poi ci sono loro, le due protagoniste, ovvero le due versioni dell’architetta, una in età matura e l’altra giovane, interpretate rispettivamente da Fernanda Montenegro e Fernanda Torres (madre e figlia). Le due donne si guardano, si scrutano, comunicano con gli occhi e con i gesti. È la giovane Lina che spesso nel corso dei 45 minuti torna a sfidare con sguardo sicuro e deciso la sua immagine più anziana, a tratti spaventata e disillusa.
Isaac Julien, Soluções Inventadas / Solutions Invented, (Lina Bo Bardi – A Marvellous Entanglement), 2019. Courtesy Isaac Julien Studio.
Un fermo immagine del video con la “doppia” Lina Bo Bardi, interpretata dalle attrici brasiliane Fernanda Montenegro e Fernanda Torres.
Già nel 2015 l’artista inglese aveva presentato Stones Against Diamonds in occasione della 56° Esposizione Internazionale d’Arte della Biennale di Venezia, mentre nello stesso anno il MAXXI organizzava la retrospettiva Lina Bo Bardi in Italia. “Quello che volevo, era avere Storia”. Tappe fondamentali per l’ultimazione dell’opera di Julien: Lina Bo Bardi. A marvelous entanglement, titolo poi dell’intera esposizione, la quale occupa oltre che la grande dark room della galleria 3 anche l’adiacente stanza, illuminatissima, separata da una grande e pesante tenda, in cui sono esposti una serie di collage fotografici realizzati dallo stesso Julien per il museo, grandi stampe a muro e una selezione di materiali d’archivio. Infine, nel corridoio sottostante la galleria, una timeline e una stampa murale, davanti alla quale la parete vetrata ci permette di guardare fuori. “Tempo, movimento, aperture” (Time, Movement, Openings). Le tre parole a cui si dà significato in queste ulteriori stanze del museo come chiavi interpretative della pratica dell’architetta. Così gli ampi e irregolari spazi che Zaha Hadid aveva progettato per il museo romano ci raccontano di un’architettura dalle forme organiche e fluide. Due personalità e sensibilità artistiche, Hadid e Bo Bardi, che, senza accorgersene, comunicano, ma che, allo stesso tempo, pongono davanti al visitatore due visioni sull’architettura molto diverse. Non c’è dubbio che quella di Bo Bardi sia una grande affermazione di consapevolezza sul ruolo culturale che essa, insieme all’urbanistica, gioca nella società contemporanea. Non si scampa dal pensiero politico. Non si scampa dal fatto che la forza delle immagini architettoniche vive tra gli abitanti e plasma gli spazi delle città. Spazi che fanno stare bene o che fanno stare male. Politica, società e cultura, quindi, non fanno da sfondo a tutto questo. Sono il centro, il materiale lavorato e destinato alla produzione di un’idea di città e di spazio pubblico popolare ma d’avanguardia.
Still da Isaac Julien, “Lina Bo Bardi. A marvelous entanglement”. Courtesy Isaac Julien Studio.
Still da Isaac Julien, “Lina Bo Bardi. A marvelous entanglement”. Courtesy Isaac Julien Studio.
Still da Isaac Julien, “Lina Bo Bardi. A marvelous entanglement”. Courtesy Isaac Julien Studio.
Isaac Julien, Almas Belas, Almas Menos Belas / Beautiful Souls, Less Beautiful Souls (Lina Bo Bardi – A Marvellous Entanglement), 2019. Courtesy Isaac Julien Studio.
Lina Bo Bardi partecipò alla resistenza. Fu attivista del Partito Comunista Italiano e un’appassionata lettrice delle Lettere dal Carcere di Gramsci. Non si fa cultura senza stare e senza imparare dalle persone. Per cui ecco qui che la museografia diventa una delle forme primarie per esercitare un’architettura che sia al servizio di un’ideale popolare di cultura e di arte. Che cos’è un museo? È quello che Lina, interpretata da entrambe le attrici brasiliane, si chiede sulla scalinata centrale del Museu de Arte de São Paulo in una sovrapposizione di voci. «Che cos’è un museo e che ruolo occupa nella cultura contemporanea?» Non c’è cultura «senza nessuna connessione con il nostro tempo, senza alcuna continuità storica».
Lina Bo Bardi, MASP, Sao Paulo, 1968. Students visiting the collection of MASP with paintings by Pierre-Auguste Renoir on the ‘crystal’ easals, 1983.
L’allestimento museografico di Lina Bo Bardi, MASP – Museu de Arte de São Paulo, 1957-1968.
Isaac Julien, Without Beginning or End (Lina Bo Bardi – A Marvellous Entanglement), 2019. Face-mounted Endura Ultra photograph, 180 x 240 x 7,5 cm. Courtesy Isaac Julien Studio
L’architetto museografo «non deve approfittare dell’occasione e creare uno spettacolo autoreferenziale» ma «deve combinare la conservazione con la capacità di trasmettere un messaggio». Progettato tra il 1957 e il 1969, il MASP è un’icona dell’architettura brasiliana paulista, con la sua grande struttura in calcestruzzo precompresso e vetro sospesi nel vuoto, sorretti solo da quattro cavalletti dipinti di rosso. Un’immagine imponente ma semplice allo stesso tempo, per il profilo della città. Sospesa non è solo la struttura ma anche tavole e tele della collezione esposta all’interno del museo, del quale Bo Bardi fu anche responsabile dell’allestimento. Fissate tra vetri che li fanno fluttuare, ma che ne mostrano anche il retro, esse fanno parte di uno degli esperimenti allestitivi più famosi e suggestivi nella storia della museografia, proprio per l’obiettivo primario dell’architetta di rendere tutto visibile e leggero; i cavaletes trasformavano le opere in (s)oggetti abitanti lo spazio nel tentativo di decolonizzare la collezione, tutto sullo stesso piano, senza gerarchia, in una narrativa non lineare.
L’allestimento museografico di Lina Bo Bardi, MASP – Museu de Arte de São Paulo, 1957-1968.
Lina Bo Bardi, Preliminary Study – Practicable Sculptures for the Belvedere at Museu Arte Trianon, 1968. MASP’s Collection, donation, Instituto Lina Bo e P.M. Bardi, 2006.
Lina Bo Bardi, Playground, Practicable Sculptures for the Belvedere at Museu Arte Trianon, 1968. MASP’s Collection, donation, Instituto Lina Bo e P.M. Bardi, 2006.
Sempre a San Paolo, Lina aveva realizzato non solo la sua Casa de Vidro, ora sede della fondazione a lei dedicata, ma anche un centro comunitario e ricreativo, il “SESC- Fabbrica da Pompéia”, recuperato da una vecchia fabbrica della Pompèia tra il 1977 e il 1986. Le inquadrature di Julien iniziano a muoversi proprio da qui, da questo enorme edificio che padroneggia sulla città, ancora con il suo volto pesante e industriale ma nuovo nel suo essere interrotto da quegli squarci dalla forma irregolare, chiudibili da grate rosso acceso, che sfidano la rigidità formale modernista e che permettono un’illuminazione totale degli spazi interni, dei campi sportivi, delle biblioteche. «La socializzazione che ha luogo nel tempo libero va intesa brasilianamente. L’incontro è “festa”»[i].
Still da Isaac Julien, “Lina Bo Bardi. A marvelous entanglement”. Courtesy of the artist
Lina Bo Bardi, SESC Pompeia, São Paulo, 1977.
E poi quel fascino e quella ricerca verso un’immagine autentica di cultura brasiliana, evidenti nelle esposizioni e nella creazione del museo di Arte Popolare di Bahia (1959-63). Bo Bardi si sposta infatti proprio a Salvador de Bahia tra il 1958 e il 1964, dove insegna teoria e filosofia dell’architettura e dove dirige il MAMBA, il Museo d’Arte Moderna di Bahia, la cui missione pedagogica è proprio quella di creare un centro popolare di avanguardia, indipendente dal modernismo europeo, che tenesse conto del territorio circostante, senza astrattismi né virtuosismi. Un’impresa difficile e niente affatto scontata. Anche nell’esposizione Bahia no Ibirapuera, si presentava a un pubblico paulistano il Nordest brasiliano, un mondo dominato da una religiosità e da un’arte popolare che drammaticamente si opponeva all’imperante industrializzazione nel Brasile di quegli anni. Inoltre come scrive Silvana Barbosa Rubino, «In un momento politico di tensione, in cui la pedagogia di Paulo Freire e la lotta delle leghe contadine erano all’ordine del giorno, la mostra Artistas do Nordeste riproponeva l’idea di quadri esposti su cavalletti, alla stessa altezza dello spettatore, per trovarsi in dialogo con il pittore e con la sua opera»[ii]. Proprio lungo la scala del museo Salvador de Bahia, nell’opera di Julien, una danzatrice dal lungo vestito rosso volteggia, simulando la forma a spirale della scala, mentre altri danzatori della compagnia Balé Folclórico de Bahia, seguendo la coreografia di Zebrinha, salgono, scendono, fanno sentire la pesantezza dei propri passi e la serietà della loro danza.
Evento al SESC Pompeia, São Paulo, 1977.
Evento al SESC Pompeia, São Paulo, 1977.
«Questo museo dovrebbe essere completato con una scuola di arte industriale (arte nel senso di mestiere, oltre che di arte) per consentire lo scambio tra tecnici disegnatori ed esecutori. Per esprimere in senso moderno quello che è stato l’artigianato e preparare le nuove leve, non a future utopie, ma alla realtà che esiste e che tutti conoscono: l’architetto che ignora la realtà dell’opera, l’operaio che non sa “leggere” una pianta, il designer che progetta una sedia in legno con le caratteristiche del ferro, il tipografo che compone meccanicamente senza conoscere le leggi elementari della composizione tipografica e così via. I primi fuori dalla realtà e dentro la teoria. Gli altri avviliti dal lavoro meccanico di saldare un pezzo, stringere i dadi, senza conoscere lo scopo del proprio lavoro»[iii].
A Marvellous Entanglement (Lina Bo Bardi – A Marvellous Entanglement), 2019. Face-mounted Endura Ultra photograph, 180 x 240 x 7,5 cm. Courtesy Isaac Julien Studio.
Resurrection (MAXXI commission), 2020. Photocollage, 792 x 605 cm. Courtesy Isaac Julien Studio.
In un’intervista con il direttore artistico del MAXXI, Hou Hanru, Julien riconosce una sorta di attrazione nel linguaggio del contemporaneo verso il Brasile: «c’è una sorta di “Lina Bo Bardi mania” tra gli artisti, che è evidente nei loro lavori e questo è stato il mio contributo»[iv]. L’attivismo nel mondo della museologia e museografia non sono una novità nello stato sudamericano. Vengono in mente quelle manifestazioni, proteste e assemblee che hanno visto e continuano a vedere soprattutto operatori museali e curatori gridare «Museologia é um ato político» (“la museologia è un atto politico!”) e scrivere il manifesto «Museologia em luta!» (“museologia in lotta!”). Movimenti che hanno iniziato a popolare massicciamente le strade di Rio per schierarsi contro la privatizzazione del Museu Nacionaldi Rio de Janeiro dopo che l’incendio del 3 settembre 2019 lo ha quasi completamente devastato.
Lina Bo Bardi non era una museologa, ma non si è mai occupata di architettura museografica e allestimento come una mera tecnica. Da attivista e divulgatrice di un concetto necessariamente democratico di arte e di cultura, non ha mai cessato di né di domandarsi cosa fosse un museo o una biblioteca, cosa significassero per la società, né di schierarsi contro quel fare architettonico narcisistico e superficiale che rischiava di svuotare i territori dal loro senso storico e umano, disinteressata alle persone che li vivevano nella quotidianità.
Questo era quello che si doveva fare.
Un’architettura collettiva, un atto culturale che si differenzia dalla violenta imposizione della cultura di alcuni sugli altri, come individualismo arrogante.[v]
Isaac Julien. O que é um museu? / What is a Museum? (Lina Bo Bardi – A Marvellous Entanglement), 2019. Photo Isaac Julien. Courtesy of the artist and Victoria Mirò.
[i] Luciano Semerari, Antonella Gallo, Lina Bo Bardi. Il diritto al brutto e il SESC- Fàbrica da Pompéia, TECA 7, Teorie della composizione architettonica, Clean Edizioni, Napoli, 2012, p.104.
[ii] Silvana Barbosa Rubino, “Tra Gramsci e Croce” in Lina Bo Bardi. Un’architettura tra Italia e Brasile, a cura di Alessandra Criconia, Franco Angeli, 2017, p.297.
[iii] L. Bo Bardi, Arte industrial, in “Crônicas” (pagina domenicale del “Diário de Notícias”), 8, 1958. Anche in S. Rubino, M. M. Grinover (a cura di), Ivi, p. 109 in Lina Bo Bardi. Un’architettura tra Italia e Brasile, p. 295.
di Giulia Carletti.
«La cosa più importante non è costruire bene, ma sapere come vive la maggior parte della gente. L’architetto è un maestro di vita, nel senso moderno di impadronirsi del modo di cucinare i fagioli, di come fare il fornello, di essere obbligato a vedere come funziona il gabinetto, come fare il bagno. Ha il sogno poetico, che è bello, di una architettura che dia un senso alla libertà». Lina Bo Bardi, lettera.
Una delle prima donne in Italia ad affermarsi come architetta e designer, Achillina Bo (Roma 1914 – San Paolo 1992) si trasferisce in Brasile nel 1946 con il marito Pietro Maria Bardi, lasciando la città di Roma nella quale nacque e studiò architettura, e la città di Milano, città in cui invece iniziò la sua carriera con Carlo Pagani e con Giò Ponti e in cui poi i bombardamenti distrussero il suo studio in via del Gesù.
Con un’installazione immersiva, fatta di suoni, di voci e di immagini in movimento che per 45 minuti scorrono sui 9 grandi schermi allestiti nella galleria 3 del MAXXI di Roma, l’artista visivo Isaac Julien (Londra, 1960) ha ripercorso gli snodi fondamentali della pratica di Bo Bardi, raccontandola attraverso il linguaggio cinematografico come una poesia e mettendone in luce le molteplici visioni. Visioni sempre guidate da un voler spostare l’approccio introspettivo sulla strutturalità degli spazi costruiti, sulla concretezza della materia, che però è forma fluida, fatta di aperture, di feritoie, di squarci sui muri attraverso i quali la luce deve entrare a far vivere tutto. Nella stanza scura chi siede è costretto a muoversi per vedere le diverse proiezioni che cambiano posizione lungo gli schermi che lo circondano. Ci si gira per curiosare e per capire, alla ricerca di un’unità di visione sulla storia e sul pensiero dell’architetta italo-brasiliana: dalla visita dell’etnografo Pierre Verger in Brasile, con il quale Bo Bardi collaborò, raccontata in bianco e nero con atmosfere nostalgiche e sognanti, fino alla progettazione degli edifici più significativi. La danza, la strada, la durezza e la concretezza del suono dei tamburi, la pesantezza dei corpi che si muovono negli spazi: un ritmo incalzante che punteggia costantemente il cortometraggio. Trova spazio una piccola processione, una marcia in onore di Marielle Franco (attivista e consigliera comunale di Rio de Janeiro uccisa il 14 marzo 2018) all’ingresso della Casa do Benin, il centro di cultura brasiliana di Salvador. E poi ci sono loro, le due protagoniste, ovvero le due versioni dell’architetta, una in età matura e l’altra giovane, interpretate rispettivamente da Fernanda Montenegro e Fernanda Torres (madre e figlia). Le due donne si guardano, si scrutano, comunicano con gli occhi e con i gesti. È la giovane Lina che spesso nel corso dei 45 minuti torna a sfidare con sguardo sicuro e deciso la sua immagine più anziana, a tratti spaventata e disillusa.
Isaac Julien, Soluções Inventadas / Solutions Invented, (Lina Bo Bardi – A Marvellous Entanglement), 2019. Courtesy Isaac Julien Studio.
Un fermo immagine del video con la “doppia” Lina Bo Bardi, interpretata dalle attrici brasiliane Fernanda Montenegro e Fernanda Torres.
Già nel 2015 l’artista inglese aveva presentato Stones Against Diamonds in occasione della 56° Esposizione Internazionale d’Arte della Biennale di Venezia, mentre nello stesso anno il MAXXI organizzava la retrospettiva Lina Bo Bardi in Italia. “Quello che volevo, era avere Storia”. Tappe fondamentali per l’ultimazione dell’opera di Julien: Lina Bo Bardi. A marvelous entanglement, titolo poi dell’intera esposizione, la quale occupa oltre che la grande dark room della galleria 3 anche l’adiacente stanza, illuminatissima, separata da una grande e pesante tenda, in cui sono esposti una serie di collage fotografici realizzati dallo stesso Julien per il museo, grandi stampe a muro e una selezione di materiali d’archivio. Infine, nel corridoio sottostante la galleria, una timeline e una stampa murale, davanti alla quale la parete vetrata ci permette di guardare fuori. “Tempo, movimento, aperture” (Time, Movement, Openings). Le tre parole a cui si dà significato in queste ulteriori stanze del museo come chiavi interpretative della pratica dell’architetta. Così gli ampi e irregolari spazi che Zaha Hadid aveva progettato per il museo romano ci raccontano di un’architettura dalle forme organiche e fluide. Due personalità e sensibilità artistiche, Hadid e Bo Bardi, che, senza accorgersene, comunicano, ma che, allo stesso tempo, pongono davanti al visitatore due visioni sull’architettura molto diverse. Non c’è dubbio che quella di Bo Bardi sia una grande affermazione di consapevolezza sul ruolo culturale che essa, insieme all’urbanistica, gioca nella società contemporanea. Non si scampa dal pensiero politico. Non si scampa dal fatto che la forza delle immagini architettoniche vive tra gli abitanti e plasma gli spazi delle città. Spazi che fanno stare bene o che fanno stare male. Politica, società e cultura, quindi, non fanno da sfondo a tutto questo. Sono il centro, il materiale lavorato e destinato alla produzione di un’idea di città e di spazio pubblico popolare ma d’avanguardia.
Still da Isaac Julien, “Lina Bo Bardi. A marvelous entanglement”. Courtesy Isaac Julien Studio.
Still da Isaac Julien, “Lina Bo Bardi. A marvelous entanglement”. Courtesy Isaac Julien Studio.
Still da Isaac Julien, “Lina Bo Bardi. A marvelous entanglement”. Courtesy Isaac Julien Studio.
Isaac Julien, Almas Belas, Almas Menos Belas / Beautiful Souls, Less Beautiful Souls (Lina Bo Bardi – A Marvellous Entanglement), 2019. Courtesy Isaac Julien Studio.
Lina Bo Bardi partecipò alla resistenza. Fu attivista del Partito Comunista Italiano e un’appassionata lettrice delle Lettere dal Carcere di Gramsci. Non si fa cultura senza stare e senza imparare dalle persone. Per cui ecco qui che la museografia diventa una delle forme primarie per esercitare un’architettura che sia al servizio di un’ideale popolare di cultura e di arte. Che cos’è un museo? È quello che Lina, interpretata da entrambe le attrici brasiliane, si chiede sulla scalinata centrale del Museu de Arte de São Paulo in una sovrapposizione di voci. «Che cos’è un museo e che ruolo occupa nella cultura contemporanea?» Non c’è cultura «senza nessuna connessione con il nostro tempo, senza alcuna continuità storica».
Lina Bo Bardi, MASP, Sao Paulo, 1968. Students visiting the collection of MASP with paintings by Pierre-Auguste Renoir on the ‘crystal’ easals, 1983.
L’allestimento museografico di Lina Bo Bardi, MASP – Museu de Arte de São Paulo, 1957-1968.
Isaac Julien, Without Beginning or End (Lina Bo Bardi – A Marvellous Entanglement), 2019. Face-mounted Endura Ultra photograph, 180 x 240 x 7,5 cm. Courtesy Isaac Julien Studio
L’architetto museografo «non deve approfittare dell’occasione e creare uno spettacolo autoreferenziale» ma «deve combinare la conservazione con la capacità di trasmettere un messaggio». Progettato tra il 1957 e il 1969, il MASP è un’icona dell’architettura brasiliana paulista, con la sua grande struttura in calcestruzzo precompresso e vetro sospesi nel vuoto, sorretti solo da quattro cavalletti dipinti di rosso. Un’immagine imponente ma semplice allo stesso tempo, per il profilo della città. Sospesa non è solo la struttura ma anche tavole e tele della collezione esposta all’interno del museo, del quale Bo Bardi fu anche responsabile dell’allestimento. Fissate tra vetri che li fanno fluttuare, ma che ne mostrano anche il retro, esse fanno parte di uno degli esperimenti allestitivi più famosi e suggestivi nella storia della museografia, proprio per l’obiettivo primario dell’architetta di rendere tutto visibile e leggero; i cavaletes trasformavano le opere in (s)oggetti abitanti lo spazio nel tentativo di decolonizzare la collezione, tutto sullo stesso piano, senza gerarchia, in una narrativa non lineare.
L’allestimento museografico di Lina Bo Bardi, MASP – Museu de Arte de São Paulo, 1957-1968.
Lina Bo Bardi, Preliminary Study – Practicable Sculptures for the Belvedere at Museu Arte Trianon, 1968. MASP’s Collection, donation, Instituto Lina Bo e P.M. Bardi, 2006.
Lina Bo Bardi, Playground, Practicable Sculptures for the Belvedere at Museu Arte Trianon, 1968. MASP’s Collection, donation, Instituto Lina Bo e P.M. Bardi, 2006.
Sempre a San Paolo, Lina aveva realizzato non solo la sua Casa de Vidro, ora sede della fondazione a lei dedicata, ma anche un centro comunitario e ricreativo, il “SESC- Fabbrica da Pompéia”, recuperato da una vecchia fabbrica della Pompèia tra il 1977 e il 1986. Le inquadrature di Julien iniziano a muoversi proprio da qui, da questo enorme edificio che padroneggia sulla città, ancora con il suo volto pesante e industriale ma nuovo nel suo essere interrotto da quegli squarci dalla forma irregolare, chiudibili da grate rosso acceso, che sfidano la rigidità formale modernista e che permettono un’illuminazione totale degli spazi interni, dei campi sportivi, delle biblioteche. «La socializzazione che ha luogo nel tempo libero va intesa brasilianamente. L’incontro è “festa”»[i].
Still da Isaac Julien, “Lina Bo Bardi. A marvelous entanglement”. Courtesy of the artist
Lina Bo Bardi, SESC Pompeia, São Paulo, 1977.
E poi quel fascino e quella ricerca verso un’immagine autentica di cultura brasiliana, evidenti nelle esposizioni e nella creazione del museo di Arte Popolare di Bahia (1959-63). Bo Bardi si sposta infatti proprio a Salvador de Bahia tra il 1958 e il 1964, dove insegna teoria e filosofia dell’architettura e dove dirige il MAMBA, il Museo d’Arte Moderna di Bahia, la cui missione pedagogica è proprio quella di creare un centro popolare di avanguardia, indipendente dal modernismo europeo, che tenesse conto del territorio circostante, senza astrattismi né virtuosismi. Un’impresa difficile e niente affatto scontata. Anche nell’esposizione Bahia no Ibirapuera, si presentava a un pubblico paulistano il Nordest brasiliano, un mondo dominato da una religiosità e da un’arte popolare che drammaticamente si opponeva all’imperante industrializzazione nel Brasile di quegli anni. Inoltre come scrive Silvana Barbosa Rubino, «In un momento politico di tensione, in cui la pedagogia di Paulo Freire e la lotta delle leghe contadine erano all’ordine del giorno, la mostra Artistas do Nordeste riproponeva l’idea di quadri esposti su cavalletti, alla stessa altezza dello spettatore, per trovarsi in dialogo con il pittore e con la sua opera»[ii]. Proprio lungo la scala del museo Salvador de Bahia, nell’opera di Julien, una danzatrice dal lungo vestito rosso volteggia, simulando la forma a spirale della scala, mentre altri danzatori della compagnia Balé Folclórico de Bahia, seguendo la coreografia di Zebrinha, salgono, scendono, fanno sentire la pesantezza dei propri passi e la serietà della loro danza.
Evento al SESC Pompeia, São Paulo, 1977.
Evento al SESC Pompeia, São Paulo, 1977.
«Questo museo dovrebbe essere completato con una scuola di arte industriale (arte nel senso di mestiere, oltre che di arte) per consentire lo scambio tra tecnici disegnatori ed esecutori. Per esprimere in senso moderno quello che è stato l’artigianato e preparare le nuove leve, non a future utopie, ma alla realtà che esiste e che tutti conoscono: l’architetto che ignora la realtà dell’opera, l’operaio che non sa “leggere” una pianta, il designer che progetta una sedia in legno con le caratteristiche del ferro, il tipografo che compone meccanicamente senza conoscere le leggi elementari della composizione tipografica e così via. I primi fuori dalla realtà e dentro la teoria. Gli altri avviliti dal lavoro meccanico di saldare un pezzo, stringere i dadi, senza conoscere lo scopo del proprio lavoro»[iii].
A Marvellous Entanglement (Lina Bo Bardi – A Marvellous Entanglement), 2019. Face-mounted Endura Ultra photograph, 180 x 240 x 7,5 cm. Courtesy Isaac Julien Studio.
Resurrection (MAXXI commission), 2020. Photocollage, 792 x 605 cm. Courtesy Isaac Julien Studio.
In un’intervista con il direttore artistico del MAXXI, Hou Hanru, Julien riconosce una sorta di attrazione nel linguaggio del contemporaneo verso il Brasile: «c’è una sorta di “Lina Bo Bardi mania” tra gli artisti, che è evidente nei loro lavori e questo è stato il mio contributo»[iv]. L’attivismo nel mondo della museologia e museografia non sono una novità nello stato sudamericano. Vengono in mente quelle manifestazioni, proteste e assemblee che hanno visto e continuano a vedere soprattutto operatori museali e curatori gridare «Museologia é um ato político» (“la museologia è un atto politico!”) e scrivere il manifesto «Museologia em luta!» (“museologia in lotta!”). Movimenti che hanno iniziato a popolare massicciamente le strade di Rio per schierarsi contro la privatizzazione del Museu Nacional di Rio de Janeiro dopo che l’incendio del 3 settembre 2019 lo ha quasi completamente devastato.
Lina Bo Bardi non era una museologa, ma non si è mai occupata di architettura museografica e allestimento come una mera tecnica. Da attivista e divulgatrice di un concetto necessariamente democratico di arte e di cultura, non ha mai cessato di né di domandarsi cosa fosse un museo o una biblioteca, cosa significassero per la società, né di schierarsi contro quel fare architettonico narcisistico e superficiale che rischiava di svuotare i territori dal loro senso storico e umano, disinteressata alle persone che li vivevano nella quotidianità.
Questo era quello che si doveva fare.
Un’architettura collettiva, un atto culturale che si differenzia dalla violenta imposizione della cultura di alcuni sugli altri, come individualismo arrogante.[v]
Isaac Julien. O que é um museu? / What is a Museum? (Lina Bo Bardi – A Marvellous Entanglement), 2019. Photo Isaac Julien. Courtesy of the artist and Victoria Mirò.
[i] Luciano Semerari, Antonella Gallo, Lina Bo Bardi. Il diritto al brutto e il SESC- Fàbrica da Pompéia, TECA 7, Teorie della composizione architettonica, Clean Edizioni, Napoli, 2012, p.104.
[ii] Silvana Barbosa Rubino, “Tra Gramsci e Croce” in Lina Bo Bardi. Un’architettura tra Italia e Brasile, a cura di Alessandra Criconia, Franco Angeli, 2017, p.297.
[iii] L. Bo Bardi, Arte industrial, in “Crônicas” (pagina domenicale del “Diário de Notícias”), 8, 1958. Anche in S. Rubino, M. M. Grinover (a cura di), Ivi, p. 109 in Lina Bo Bardi. Un’architettura tra Italia e Brasile, p. 295.
[iv] Isaac Julien, “Auteur Conversations. Isaac Julien with Hou Hanru”.
[v] Lina Bo Bardi, lettera.
Isaac Julien. Lina Bo Bardi. A marvelous entanglement. Photo: Musacchio, Ianniello & Pasqualini (copyright), courtesy Fondazione MAXXI.
Isaac Julien. Lina Bo Bardi. A marvelous entanglement. Photo: Musacchio, Ianniello & Pasqualini (copyright), courtesy Fondazione MAXXI.
Isaac Julien. Lina Bo Bardi. A marvelous entanglement. Photo: Musacchio, Ianniello & Pasqualini (copyright), courtesy Fondazione MAXXI.