“Liberiamo il linguaggio e libereremo la donna!” Intervista ad Anna Oberto

«la lotta di classe non è solo far cessare lo sfruttamento dell’uomo sull’uomo, ma anche dell’uomo sulla donna, e non accettando, da detentore di un potere minacciato, di riconoscere le istanze femministe contro la famiglia in quanto nucleo paladino della proprietà privata, contro il valore del denaro che condiziona la vita e la morte, contro la violenza in tutte le sue forme istituzionalizzate, contro il potere tout-court»

Anna Oberto, Poesia al femminile, Le Arti 10-12, 1975.

 

Elvira Vannini: Sin dagli esordi hai dimostrato un forte interesse per il rapporto tra la parola e il segno, il linguaggio e l’immagine; il primo libro è del 1963, cui seguiranno le sperimentazioni nell’ambito della poesia visiva, o meglio della “scrittura visuale” o visual poetry e la ricerca si è poi declinata sul linguaggio al femminile con scambi internazionali, riviste e mostre. Come nasce questo interesse per la scrittura e la parola?

Anna Oberto: Nasce dall’incontro con Martino Oberto, che è stato il mio maestro. Lo è stato anche per i nostri primi collaboratori nella rivista ANA ECCETERA, Carrega, D’Ottavi, Barosso. Nei primi numeri, specificamente in AE 3 del 1960 avevamo pubblicato il primo lavoro di ‘poesia visiva’ comparso in Italia nel Supplemento A(rte) realizzato da Corrado d’Ottavi, promosso da Martino Oberto che gli aveva dato anche il titolo: Stima di Corrado d’Ottavi e colori solidi e una cromologìa e così avanti a rubare il mestiere ai filosofi. Nel Supplemento L(etteratura) il testo OM, uno specifico letterario e filmico, era l’input anche per il nuovo testo di Giampaolo Barosso, Un incidente analogo.

Martino Oberto era un ricercatore e un anticipatore, artista e filosofo, era interessato al rapporto tra scrittura e immagine, dal 1953, quando, in quanto pittore, aveva realizzato delle opere in cui il gesto pittorico diventava segno scritto, i titoli Dimensione extra e successivamente Graphos, quest’ultimo diventato il caposaldo della ricerca successiva, che lui stesso aveva definito “scritto in punta di pennino” con inchiostri colorati a china. Nei quadri del 1955, un titolo E.e. Cummings, aveva iniziato a scrivere sulla tela con calligrafia a mano e applicando il colore direttamente dal tubetto, segni che interagivano con la scrittura, anche applicando oggetti di ceramica bianca, ribaltando quindi il rapporto, la pittura diventava immagine e la scrittura scrittura, non più pittura come scrittura. Contemporaneamente erano usciti i Pisan Cantos in Italia, tradotti da Alfredo Rizzardi, nei quali Ezra Pound rapportava la parola con gli ideogrammi cinesi e i geroglifici egiziani. Cioè parola e il segno grafico come equivalente della parola.

Anna Oberto, Manifesto della Nuova Scrittura al femminile, 1975, stampa su carta, cm 70×50, © Anna Oberto.

In Ana Etcetera 5 del 1963 (nuovo formato e nuova grafica) avevo pubblicato il primo libro d’artista nella ‘poesia visiva’, titolo La Questione S, nel quale mettevo in rapporto le parole del testo filosofico di Alain Jouffroy con i segni grafici, come equivalenti di parola, del pittore Emilio Scanavino (genovese, con il quale Martino Oberto esponeva dal 1948), nominandolo “semantografìa con verbalizzazioni grafiche”.

In Ana Etcetera 6 del 1965 pubblicai nel Bollettino il mio secondo lavoro Sem-graphics. Analisi di forme di caratteristica grafica e di impegno semantico, testo di J.P. Duprey e quadro di Otto Piene. In Ana Etcetera 6 del 1965 Supplemento AGL (Analisi grafica del linguaggio) pubblicammo il primo lavoro di ‘scrittura visuale’ di Ugo Carrega dal titolo Rapporto fra il poeta e il suo lavoro.

É l’occasione per testimoniare anche l’incontro di Carrega D’Ottavi Barosso con Martino Oberto. Vennero da noi in Via Montallegro (conoscevano OM, pur essendo di una generazione successiva, perché frequentando il quartiere genovese di Pegli, come Gino Paoli, avevano avuto notizia del gruppo di intellettuali pegliese di cui faceva parte Martino Oberto) presentandosi con una rivista in ciclostile ‘Modismos’ datata Febbraio 1959, in cui avevano pubblicato i loro testi letterari.

Va dato atto a Carrega, che dal 1965 fondò la rivista Tool e la sua ‘scrittura simbiotica’, in un suo testo allegato a Modismos, già manifestava il suo interesse per un nuovo linguaggio citando lo ‘Hootonismo del Linguaggio’ di H. Hooton, pubblicato nella rivista ‘Full Cry’ n.5 del Luglio 1958 (per ragioni di lavoro frequentava a lungo l’Inghilterra). Entrando nella redazione di AE, sviluppò, nel 1962, la sua ‘poesia in parole sonore’ nella serie Evoer, di cui inserii un testo ‘Eini 9’ nell’antologìa ‘Poésie italienne de la nouvelle avant-garde’ pubblicata in Phantomas-Italie di Bruxelles 1964. Successivamente aveva creato i testi di ‘poesia simbiotica’ che avevamo pubblicato in AE 6 del 1965.

Questa è la storia stampata, indipendentemente dalle retrodatazioni che tanti autori hanno poi fatto e grandemente pubblicizzato.

Anna Oberto, Languatic formula, 1967, 50×70 cm, © Anna Oberto.

Dopo la chiusura della rivista nel 1971, dal 1973 ho iniziato a realizzare tavole grafiche su carta confrontando il testo scritto, la parola elaborata calligraficamente, con l’immagine, fotografia e polaroid, nella serie delle opere Anautopia della Città Ideale (la foto della ‘Città Ideale’ rappresenta lo stadio con le finestre di pulitura della tavola del Museo di Urbino, dove stavo lavorando per i restauri alla Galleria Nazionale di Palazzo Ducale) e nella serie L’Utopico. Diario v’ideo-senti/mentale nelle quali documentavo l’apprendimento dei linguaggi, scritto e parlato, di mio figlio Eanan a 18 mesi di età, impaginando le polaroid, che documentavano le sue piccole performance nell’ambiente di Varigotti e della sua mano mentre tracciava i suoi primi segni a grafite e poi a pastelli colorati, oltre ai nastri registrati delle sue prime parole, analizzandone il significato nel mio testo scritto. Il senso fondamentale del mio lavoro è che ‘è la parola a scaturire dall’immagine’, come dichiarato nel titolo della mostra Si apre la parola del 1989. L’attenzione alla nascita della parola informa anche i miei lavori sull’origine delle lingue occidentali dai radicali indo-europei, come la Languatic formula pubblicata in AE 7 del 1967, e in alcuni lavori de L’Utopico del 1974.

Dal 1980, nel lavoro delle performance, la parola era nei miei testi registrati con la mia voce, l’immagine era rappresentata dalle polaroid e dagli oggetti delle installazioni, la mia figura e i miei gesti erano insieme scrittura e immagine.

Cito una sintesi dai testi della critica Viana Conti: «La ricerca scritturale di Anna Oberto si colloca negli interstizi tra parola e segno, forma e contenuto, significante e significato. Elabora un suo discorso che muove dai frammenti del linguaggio grafico e tipografico, attraversa le interazioni tra verbalità e figuralità, tra la calligrafìa e la polaroid, fino a praticare i luoghi della performance dov’è il corpo, gesto e voce, a scrivere lo spazio.

Il femminile, come spazio di risonanza di emozionalità e sentimento si ribalta nel luogo letterario del diario intimo, in quello rituale dell’apparizione in pubblico, in quello elettronico del video, in quello auratico della sua immagine dilatata fotograficamente».

Anna Oberto, Scrittura a mano. A’ mesure de femme, 1976, serigrafia a un colore, scrittura a pastello blu, découpage di Eanan su carta, cm. 50×70, © Anna Oberto.

EV: Per l’enciclopedia Lessico politico delle donne hai scritto la voce «poesia visiva» sul linguaggio al femminile. La tua ricerca artistica e culturale è percorsa da una incessante tensione tra la componente linguistica affrontata con uno sguardo analitico-teorico e il paradigma estetico-creativo che attraversa una pratica artistica molteplice e difficile da circoscrivere in categorie e che arriva fino alla performatività del linguaggio e oltre. In quale formazione discorsiva/definizione più ti riconosci come esponente della scena verbo-visuale italiana?

AO: Nella Scrittura visuale!

Nel 1966, in occasione della prima mostra di ‘poesia visiva’ organizzata a Genova dal Gruppo La Carabaga, con un convegno a cui aveva partecipato Edoardo Sanguineti, in totale disaccordo critico, avevano pubblicato gli atti nella rivista ‘3 Rosso’ 1, io e Martino avevamo scritto ciascuno un testo per distinguerci dalla definizione ‘poesia visiva’ (che poi era la ‘tecnologica’ dei fiorentini allora apparsi), il titolo del mio testo era: «ragioni metaculturali e infraculturali di una dimensione della poesia visuale come semantografìa e scrittura simbiotica per AGL nel rapporto verbale-grafico e viceversa – rapporti di tendenza AE-TOOL»

(ne deduco che Carrega non fosse presente, essendosi già trasferito a Milano da un anno).

EV: Se il linguaggio è, senza dubbio, uno dei principali campi di esercizio del dominio del maschile, usi spesso il concetto di rifiuto del “potere”. Come si può rovesciare “il potere della parola” alla “parola al potere”?

AO: Nel mio testo Segnificare la scrittura. Da “La Parola al Potere “ a “I Poteri della Parola” pubblicato nel “Lessico politico delle donne Vol. 6”, del 1979, che hai citato, e in quello precedente del 1977 dal titolo ‘Da I Poteri della Parola alla Parola al Potere’, letto al convegno della mostra ‘Segno/Identità’ alla Pinacoteca comunale di Ravenna, in quello per l’apertura a Genova della Libreria Lilith Una libreria delle donne del 1978, rielaborazioni dal primo testo Scrittura delle donne, scrivevo di recuperare i poteri della ritualità della parola orale, della magia, delle profezie, la parola perduta di Cassandra, una parola che sia manifestativa dei nostri contenuti, della nostra emotività, del nostro inconscio, dare ‘corpo’ alla parola per riappropriarci del nostro linguaggio culturale sociale politico.

Anna Oberto, Manifesto femminista anaculturale, 1971, stampa su carta, cm 70×50, © Anna Oberto.

EV: Già nel Manifesto Femminista Anaculturale del 1971 scrivevi con grande lucidità politica:

«Nessun lavoro, creativo o meno, libera la donna dall’occuparsi delle cose di casa, fino a quando non avremo formato una cultura nuova, con la partecipazione integrante attiva della donna, e nuove strutture sociali che sostituiscano il suo impegno materiale […] La liberazione della donna esige il superamento della contrapposizione categoriale uomo-donna, così come la liberazione dalla divisione tra attività artistica e passività economica esige il superamento delle categorie arte-lavoro intese come complementarità dell’ideologia borghese»:

Hai mai sentito la tua arte come una forma di riscatto da una condizione di subalternità riservata storicamente alla donna, sia nell’organizzazione della società che nella storia dell’arte tracciata dall’ontologia modernista di matrice patriarcale (nel senso di un corpo oggettivato come bianco, maschile, occidentale)? Quali sono stati i tuoi rapporti con il femminismo?

AO: Era l’impegno di dare un mio contributo per ridare dignità, presenza e partecipazione attiva nell’arte, nella cultura, alla creatività e ai contenuti delle donne.

Lavorando in arte e in cultura con dei compagni che, pur essendo maschi, erano in una posizione culturale indipendente e sperimentale, ho potuto liberamente manifestare questo mio atteggiamento ideologico e politico.

Già per la mostra organizzata da Ugo Carrega al Centro Tool di Milano nel gennaio 1972 Esposizione internazionale operatrici visuali avevo scritto il testo di presentazione, chiestomi da Carrega, con un taglio politico: Perché una mostra di sole donne? senza che le artiste ne fossero consapevoli, e avevo realizzato ed esposto il mio lavoro Situazione. Giornale dei giornali, che Mirella Bentivoglio aveva successivamente, nella mia antologia della ‘Poesia al Femminile’ pubblicata su Le Arti 10-12, Milano 1975 (era tutta la mostra al Centro Tool), scritto essere l’unico lavoro dichiaratamente ‘femminista’, ovviamente, dato che avevo io impegnato per la prima volta questa definizione.

Anna Oberto, Reflex, l’italiana ’69, 1969, collages su carta, 25×35 cm, © Anna Oberto.

Continuando a lavorare con i maschi, Carrega nel 1975 aveva pubblicato il mio Manifesto della Nuova Scrittura al femminile, insieme ai loro, per la mostra ‘La Nuova Scrittura’ con presentazione di Renato Barilli al Collegio Cairoli di Pavia, sono stata penalizzata proprio dalle artiste femministe (vedi il gruppo della Gandini), infatti Romana Loda non mi aveva invitata alla sua mostra Magma del 1975, da cui il titolo della mostra all’Istituto della grafica di Roma nel 2018, alla quale  Benedetta Carpi de Resmini mi ha invitata, chiedendomi anche una performance ‘Cérémonie pour Adèle H’, l’unica recensita dal Corriere della Sera. Alle conferenze con il pubblico a Roma come a FM Centro per l’arte contemporanea a Milano ho dichiarato sempre che la prima mostra in Italia dedicata alle artiste donne è stata quella di Tool, ma invece di apprezzare che sia stato l’interesse di un uomo a realizzarla, viene considerata una colpa. Razzismo di genere alla rovescia.

Anna Oberto, Scrittura delle donne, 1978, I di tre fogli dattiloscritti; documento inedito per gentile concessione dell’artista © Anna Oberto.

Anna Oberto, Scrittura delle donne, 1978, II di tre fogli dattiloscritti; documento inedito per gentile concessione dell’artista © Anna Oberto.

Anna Oberto, Scrittura delle donne, 1978, III di tre fogli dattiloscritti; documento inedito per gentile concessione dell’artista © Anna Oberto.

I miei rapporti con il gruppo delle femministe di Milano, presenti con Lea Melandri al convegno sulla spiaggia di Varigotti nel 1973, dove io vivevo, tra loro due mie amiche che erano venute ad avvertirmi, lo avevo manifestato realizzando due lavori grafici dal titolo Creative intellect Woman, con la foto del gruppo sulla spiaggia, uno è stato acquisito dal Museo di Villa Croce a Genova, l’altro l’ho nel mio archivio. É stato esposto recentemente alla mostra “Every Letter is a Love Letter” da TerzoPiano a Lucca.

Erano venute alla mia personale Scrittura al femminile. Diario v’ideo-senti/mentale dove presentavo la serie L’Utopico dedicata all’osservazione dell’apprendimento dei linguaggi, scritto e parlato, di mio figlio Eanan a 18 mesi, al Mercato del Sale nel 1975. Ho le fotografie di Luciana Mulas.

Ho frequentato le femministe di Roma, che avevano pubblicato alcune immagini della mia performance Scritture d’amore. La Cerimonia. Diario del 1980 in Orsa Minore 3/4 1982, ero stata ospite delle sorelle fotografe De Donato, nel 1978 frequentavo Via del Governo Vecchio, ma nei convegni su “lo stipendio alle casalinghe”! Ho ancora delle cassette registrate.

Avevo conosciuto ‘Le Nemesiache’ di Napoli, ho dei loro documenti, e a Torino quelle de ‘Gli occhi dello Stupa’, dove avevano pubblicato un mio testo, 7/8 nel 1986. Avevo i numeri della rivista Effe, oltre ovviamente a ‘Sputiamo su Hegel’ di Carla Lonzi del 1970, nel mio Manifesto femminista anaculturale del 1971 cito il collettivo Rivolta femminile, oltre ad altri.

Come vedi il mio rapporto con il femminismo è stato impegnato in arte e nella politica culturale.

Anna Oberto, Lettera. Il suffit un petit geste, 1979 cm. 28 x 34, cm. 38 x 54, © Anna Oberto.

EV: Assumere una posizione “deculturalizzata” significa prima di tutto contestare e denaturalizzare il linguaggio: Carla Lonzi istituisce un nuovo soggetto che può emergere solo come conseguenza di un processo di deculturazione che contribuisca a invalidarne tutta la tradizione: disfare la cultura e disfare la politica. «Smentire la cultura significa smentire la valutazione dei fatti in base al potere»: questo è un passaggio di Sputiamo su Hegel che tu stessa hai citato il 4 novembre 1978 nello scritto in occasione dell’apertura della Libreria delle donne, Lilith a Genova. Con cosa ha fatto tabula rasa la tua ricerca artistica e la nuova scrittura femminile?

AO: Non solo tabula rasa ma il desiderio di costruire un linguaggio e una scrittura al femminile, certo molto personalizzata e tutta autobiografica, l’ho definita Mitobiografìa, contro il linguaggio codificato al maschile al potere, all’interno di un atteggiamento contro la Cultura ufficiale con la C maiuscola, Off Kulchur ripreso da Pound, dichiarato da sempre già in Ana Eccetera.

La definizione ‘deculturalizzata’ non l’ho mai usata perché per noi la Decultura era quella del gruppo milanese di Felice Accame, pubblicata in Ana Etcetera 7, 1967, che corrispondeva al nostro controCultura, che fosse maschile o femminile.

Sono stata però coinvolta da Ilse Lafer, che ha curato la mostra ‘Doing deculturalization’ al Museion di Bolzano 2019, dove ha esposto il mio Manifesto femminista anaculturale!

Anna Oberto, L’Utopico. Creative intellect woman, 1974, scrittura a grafite, collage su cartoncino Schoeller, cm 70×50, © Anna Oberto.

EV: La rassegna Esposizione internazionale operatrici visuali curata da Mirella Bentivoglio (che aveva recuperato le opere e organizzato la mostra) al Centro Tool di Milano nel 1972, promossa da Ugo Carrega e per cui hai scritto un testo – come sottolinei tu stessa – non un testo critico ma un testo politico. Di fatto è stata una delle prime esposizioni italiane di sole artiste donne, o comunque la prima enunciata come tale, al femminile. Quale era la tua posizione? Ti rivolgo la domanda con cui intitolavi il tuo testo: Perché una mostra di sole donne?

AO: La mostra si confrontava sul tema della presenza creativa della donna nella società culturale «al maschile» che, catalogando solo «operatrici» ha conseguentemente implicato nel discorso dello specifico linguistico anche quello socio-politico della condizione della donna operante in cultura nella società contemporanea e, in parallelo, della cultura – in specie artistica – nell’attuale società consumistica. implicazioni che erano sollecitate da una esposizione che di fatto si presentava come «censimento» delle donne «artiste» o poetesse visuali. Da ciò la necessità di rilevare e ribaltare l’apparente ghettizzazione esistente in questa operazione, l’analisi di una situazione che si proponeva come elemento di denuncia di una realtà culturale di per sé discriminante. così scrivevo:

«Liberazione femminile come liberazione del linguaggio?

Accettiamo quindi una situazione “razzista” cui ancora le donne in cultura sono condizionate e usiamola come strumento rivelatore di scandalo di questa situazione.

Accettiamo di conseguenza anche il rischio di un “censimento” umiliante, che può erompere in un’altra denuncia classificatoria del rapporto di alienazione: perché le donne in cultura producono meno degli uomini?

Anna Oberto, Situazione. Giornale dei giornali, 1971, collages su carta 25×35 cm, © Anna Oberto.

Si dà spesso una facile risposta: nell’attuale situazione culturale al maschile, nessun lavoro creativo e non libera la donna dall’occuparsi delle cose di casa.

Fino a quando avremo formato una cultura “nuova” con la partecipazione integrante attiva della donna, e nuove strutture sociali che sostituiscano il suo impegno materiale.

Accettiamo questa mostra perché pensiamo che non l’uomo è il nemico ma uomo e donna sono condizionati da modelli di comportamento socioculturale che l’uomo, lui stesso, ha imposto.

Questa mostra perché. Il rapporto di antagonismo classista uomo-donna è emblematico di un altro rapporto di antagonismo classista arte-società, in quanto divisione del lavoro e alienazione delle attività e opere artistiche nei loro rapporti tra significato e realtà che vengono egualmente mercificati.

Come liberare l’opera d’arte nel significato dal valore di scambio che lo riduce a merce? Come liberare l’operatore artistico dalla divisione capitalistica del lavoro che lo inquadra in una categoria economica?

La liberazione della donna esige il superamento della contrapposizione categoriale uomo-donna così come la liberazione della divisione tra attività artistica e passività economica esige il superamento delle categorie arte-lavoro intese come complementarietà strutturali della ideologia borghese (mercificazione dell’opera e controllo dell’operatore)”.

Anna Oberto, L’Utopico o la scrittura v’ideo-fono/grafica, 1974, scrittura e collage su carta, 40×30 cm, © Anna Oberto.

EV: Tra le artiste c’erano state anche delle defezioni come hai raccontato….

AO: Questa situazione conflittuale era stata eccepita anche al momento dell’organizzazione, nel rifiuto di alcune operatrici visuali italiane a partecipare a una selezione ‘sessista’, motivando la priorità della definizione di «artista» sulla condizione di «donna». Si possono estrarre due tipi di riflessione sulla negatività di questo atteggiamento: nel tranello giocato dal considerare la situazione dell’artista (uomo o donna) una posizione «neutra» di privilegio, astratta dalla condizione sociale della divisione delle classi nella società capitalistica, del potere di una classe sull’altra implicante il potere di un sesso sull’altro, e nell’inscindibilità a livello storico-sociale del lavoro prodotto dall’individuo che lo produce, essendo la società in cui operiamo fondata proprio sulla divisione dei compiti in base alla distinzione dei sessi (uomo=produttore dei beni / donna=custode di questi beni→ proprietà e famiglia), un condizionamento che inizia dalla nascita, come educazione e cultura, poi come inserimento subordinato e senza potere a livello sociale (lavoro o matrimonio). Le autrici che lavorano sul «linguaggio di massa» ben conoscono il ruolo di donna-oggetto (ieri come oggi) esplicitato nel linguaggio della pubblicità, della moda: si nota qui l’occasione trascurata di una denuncia attiva dello sfruttamento linguistico (specchio del sociale) di cui siamo oggetto. Proprio queste due autrici si sono rifiutate di partecipare alla mostra, inserendovisi all’ultimo momento, vedendo il successo di questa mostra che Mirella Bentivoglio presentava in molte gallerie in Italia e all’estero, cito per tutte Artivisive di Roma, Sylvia Franchi l’ha citata nel libro ‘Mulieres in ecclesiis taceant’ del 2018, in tempo per partecipare all’ultima alla Biennale di Venezia nel 1978, mostrando un comportamento appartenente al presenzialismo e all’ambizione tipicamente maschile.

Il contrasto di atteggiamento politico all’interno di una stessa problematica, che oppone le donne che agiscono «in cultura» ma pur sempre in termini di cultura maschile, e per ciò si considerano già liberate, alle proletarie come uniche «sfruttate», propone anche il problema dell’indebolimento che si attua nel lavoro culturale dalla frantumazione molteplice dei vari gruppi e movimenti che si occupano della liberazione della donna, e che sottolinea la impreparazione storica ad affrontare la propria emancipazione, da condurre con una nuova linea di «lotta poietica».

Anna Oberto, L’Utopico. Bearing within himself the germ of a new life. The child, 1974, serigrafia a un colore, scrittura a grafite, riccio su cartascritta, cm 70×100, © Anna Oberto.

EV: Lea Vergine ti ha subito inserito nel suo articolo Artiste d’Assalto già nel 1975 e l’anno successivo nel suo celebre Dall’Informale alla Body art e, in un titolo molto bello uscito per Il Manifesto: Artista fa rima con femminista (8 marzo 1977).

Why Separate Women’s Art?” – si chiedeva Lucy Lippard nel 1973 – “In pochi anni, le esposizioni artistiche femminili, le pubblicazioni di riviste incentrate sull’arte delle donne da sole, le lezioni d’arte femminili o i programmi educativi femminili, ecc., si spera non saranno più necessarie. Per il momento, tuttavia, la discriminazione riconosciuta contro le donne pervade il mondo dell’arte internazionale in forme sottili e spesso crudeli”. Mirella Bentivoglio parlando dei suoi censimenti li definisce “mostre-ghetto”. Ti sei mai sentita svantaggiata, esclusa o trascurata per il fatto di essere donna? Quali erano i tuoi rapporti con la critica, il sistema dell’arte e l’alienazione del lavoro dell’artista?

AO: Alcune volte sì.

Escludendo il rapporto positivo di lavoro con il gruppo della Nuova Scrittura di Carrega, iniziato con Ana Eccetera, proseguito nella rivista Tool 1 Edizioni AE, e nelle mostre delle gallerie di Carrega a Milano, Suolo, Centro Tool, Mercato del Sale.

Per quanto riguarda la critica, quella maschile positiva, devo citare: Renato Barilli e Filiberto Menna che mi hanno invitata a mostre e pubblicata nei loro libri, mi hanno inserita nei fascicoli dell’Arte Moderna dei F.lli Fabbri, invitata alle mostre dei vent’anni dell’Arte Italiana 1960-1980 al Palazzo delle Esposizioni di Roma e alla Hayward Gallery di Londra, Germano Celant alla mostra da lui curata al Beaubourg di Parigi ha iniziato dal 1959 esponendo ANA ECCETERA e pubblicando nel catalogo alcune pagine da AE 1 1959.

Giorgio di Genova mi ha pubblicata in ‘Storia dell’arte italiana Generazione Anni Trenta’, Ed. Bora, Bologna 2000. A Genova Guido Giubbini nel 1993 e Carlo Antonelli nel 2018 mi hanno esposta con personali e performance al Museo di Villa Croce. A.G. Fronzoni, grandissimo designer internazionale, curatore di una serie di mostre al Teatro del Falcone, aveva realizzato tutto il mio progetto della mostra ‘Poesia visiva a Genova 1960-1980’, aveva voluto che controllassi io il catalogo in tipografia prima della stampa, dichiarando che aveva realizzato il più bel manifesto della serie enfatizzando la ‘S’ di scrittura anche nella disposizione dei pannelli a piano terra e pubblicando le immagini, di quella che mi scriveva ‘la sua mostra’, su varie riviste di architettura. Devo ricordare Vincenzo Accame, Adriano Spatola, Mauro Bocci, Claudio Fimiani, Roberto Rossini, Adriano Accattino, Raffaele Perrotta, mi hanno scritto testi bellissimi, pubblicati nei loro libri e nei miei cataloghi. Recentemente Giuseppe De Nicola ha pubblicato interamente il mio libro La Questione S. nel suo ‘Scanavino-Alain Jouffroy’ del 2013. Achille Bonito Oliva, per gli ottimi rapporti fin dai tempi in cui esponevamo insieme, mi ha sempre esternato la sua stima, mi aveva affettuosamente telefonato dispiacendosi di non avermi potuto inserire con OM nella Biennale 1993, ricordando che comunque ero già stata presente nella Biennale del 1978.

Molti galleristi uomini hanno esposto mie opere, anche all’estero, come Julien Blaine a Ventraben, mi aveva invitata anche alla grande mostra Poésure et Peintrie, al Musée de la Vieille Charité di Marseille quando era Assessore alla cultura nel 1993.  I critici di New York Collins -Milazzo mi hanno inserita nella mostra ‘Spiritual America’ a Buffalo nel 1986.

Per la critica maschile negativa è sufficiente citare quella fantastica di Flavio Caroli, per la mostra ‘Testuale’ alla Rotonda della Besana di Milano 1979, aveva esplicitamente detto al curatore della sezione Vincenzo Accame, che aveva proposto me e Martino: “due Oberto sono troppi”, ovviamente scegliendo Martino Oberto, non gli avevo detto che nell’opera di OM esposta c’era anche un mio intervento a mano!

Per la critica femminile, più coinvolta ovviamente dalle tematiche del mio lavoro sia grafico che delle performance, oltre a Lea Vergine da te citata, mi hanno pubblicata Sandra Solimano, Marisa Vescovo, Alessandra Cenni, Anne-Marie Sauzeau Boetti, Mirella Bentivoglio, Viana Conti, Lorena Giuranna, Matilde Galletti, Raffaella Perna, Francesca Gallo, Benedetta Carpi de Resmini, Ilse Lafer, Anna Daneri, Chiara Agradi, Dalila Colucci, che mi ha anche invitata a partecipare ad una delle sue lezioni alla Harvard University di Boston ad aprile prossimo. Mi hanno esposta molte galleriste donne, tra le altre Sylvia Franchi e Caterina Gualco, cito l’ultima, Christine Enrile della CIE contemporary di Milano, che sta per pubblicare il libro Anna Oberto. Mémoires liquides. Pierres et cristaux. Ecritures à mesure de femme.

Desidero ricordare le curatrici della mostra Post Scriptum, VIII Biennale Donna a Palazzo Massari di Ferrara 1998, e le varie antologie dei primi anni 2000 di Claudia Salaris, M. A. Trasforini, Laura Iamurri, Emanuela De Cecco, Martina Corgnati, Marta Seravalli. Mi scuso se ne dimentico qualcuna.

Anna Oberto, Scritture d’amore. Il rituale dei doni, Ritratt(o)i, 1982, performance, foto Mario Parodi, cm.18×24, © Anna Oberto.

Anna Oberto, Scritture d’amore. La Cerimonia. Diario, 1980, performance. foto Franca Martellini, cm. 18×24, © Anna Oberto.

Da sempre invitata in tutte le mostre tematiche e antologiche in gallerie, istituti, musei, dal 1965 ad oggi, anche da curatori uomini, in Italia e all’estero, cito in particolare la grande mostra Italian visual poetry 1912-1972 curata da Luigi Ballerini a New York nel 1973, alla quale avevamo collaborato e che io avevo portato tramite Franco Passoni alla galleria d’Arte Moderna di Torino 1973. Ballerini aveva pubblicato in catalogo, la cui copertina era di OM, le mie immagini e un nostro testo.

Considerando la mia posizione ideologica di autonomia e indipendenza dal sistema e dal mercato dell’arte mantenuta lungo tutta una vita, devo riconoscere che ho ricevuto il massimo, quantitativamente e qualitativamente, dei riconoscimenti!

Particolare dei documenti esposti nella mostra Every Letter is a Love Letter, a cura di Alessandra Poggianti ed Elvira Vannini, Terzopiano Arte Contemporanea, Lucca, 2019.

Every Letter is a Love Letter, a cura di Alessandra Poggianti ed Elvira Vannini, veduta dell’esposizione, Terzopiano Arte Contemporanea, Lucca, 2019.

particolare della mostra Every Letter is a Love Letter, a cura di Alessandra Poggianti ed Elvira Vannini, Terzopiano Arte Contemporanea, Lucca, 2019.

Every Letter is a Love Letter, a cura di Alessandra Poggianti ed Elvira Vannini, veduta dell’esposizione, Terzopiano Arte Contemporanea, Lucca, 2019.

Every Letter is a Love Letter, a cura di Alessandra Poggianti ed Elvira Vannini, veduta dell’esposizione, Terzopiano Arte Contemporanea, Lucca, 2019.

Anna Oberto all’opening della mostra Every Letter is a Love Letter, a cura di Alessandra Poggianti ed Elvira Vannini, Terzopiano Arte Contemporanea, Lucca, 2019.

 

 

 

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