Testo di Dadamaino, tratto dal catalogo a cura di Luciano Caramel, Ugo Mulas, Bruno Munari, Campo Urbano. Interventi estetici nella dimensione collettiva urbana, Como, 21 settembre 1969.
Testo di Dadamaino, tratto dal catalogo a cura di Luciano Caramel, Ugo Mulas, Bruno Munari, Campo Urbano. Interventi estetici nella dimensione collettiva urbana, Como, 21 settembre 1969.
«Il 21 settembre 1969 avrà luogo a Como, nelle vie e nelle piazze della città, la manifestazione CAMPO URBANO, interventi estetici nella dimensione collettiva urbana», così recita il comunicato stampa dedicato all’evento coordinato da Luciano Caramel. La manifestazione, creata per mettere in contatto diretto l’arte con la collettività, si propone di far interagire il pubblico con gli spazi che quotidianamente abitano e attraversano. La risposta e la collaborazione dei cittadini sono due elementi costitutivi per l’evento, tant’è che Dadamaino, per la sua partecipazione, ha proposto un atto performativo che coinvolgesse in primo piano i residenti di Como.
Dadamaino, Illuminazione fosforescente automotoria sull’acqua, Campo urbano, Como, 1969, particolare dellazione, tratto dal catalogo.
Pseudonimo di Emiliana Maino (1930-2004), Dadamaino nasce e cresce tra le strade cangianti di Milano e si iscrive alla facoltà di medicina solo per accontentare la famiglia. Si approccia al mondo dell’arte, e in particolare della pittura, all’età di ventisette anni ma con un trascorso da autodidatta risalente al periodo adolescenziale. Si ricorda un aneddoto che la condusse a una vera e propria folgorazione nei confronti delle arti visive: durante un viaggio in tram, Dadamaino scorge in una vetrina di elettrodomestici tra Piazza Cordusio e via Broletto Concetto Spaziale di Lucio Fontana. Da quel momento in poi si dedicherà unicamente all’arte, cambia il suo nome in Edoarda e, nel 1961 a causa di un errore della stampa olandese il suo nome d’arte diverrà Dadamaino scritto per la prima volta unito[i]. La sua iniziale attività pittorica si estende fino al 1959 con poche documentazioni in quanto da lei stessa considerata “anni di formazione”.[ii]
Dadamaino, Scritto sulla sabbia, 1977. L’artista sta «scrivendo» sulla sabbia la lettera H, segno di un codice personale, premessa della “Lettera a Tall El Zaatar”, scritta in occasione della strage palestinese, ove il segno, una lettera dell’alfabeto, si ripete ossessivamente fino a completare l’intero spazio dei disegni. Questi sono stati esposti a Graz, alla mostra “Trigon” nel settembre 1977.
«Cercai un bastone e cominciai a tracciare lo stesso segno, delle “lettere” sulla sabbia, per tutto il giorno. Smisi quando fui stremata. Avevo riempito la spiaggia di segni che, me ne resi conto allora, formavano una lettera H, che nella mia lingua è la lettera muta. Una protesta scritta sulla sabbia, quanto più labile vi sia»
Frequenta attivamente l’avanguardia artistica milanese e declina con i “Volumi” una originale concezione dell’azzeramento dell’arte. Sono gli anni in cui aderisce ad Azimuth, rivista prima e galleria poi, fondata da Manzoni e Castellani e in cui partecipa ai movimenti delle nuove tendenze, in Italia e all’estero. Nel periodo successivo struttura la propria pratica artistica sull’attenzione ai materiali e all’uso del colore in maniera seriale che la porteranno a sperimentare con fluorescenti e stimoli cinetici.[iii] Alla fine degli anni 60 si avvicina ai gruppi extraparlamentari di sinistra affiancando la militanza politica a quella estetico-linguistica.
Dadamaino, Scritto sulla sabbia, 1977. L’artista sta «scrivendo» sulla sabbia la lettera H, segno di un codice personale, premessa della “Lettera a Tall El Zaatar”, scritta in occasione della strage palestinese, ove il segno, una lettera dell’alfabeto, si ripete ossessivamente fino a completare l’intero spazio dei disegni. Questi sono stati esposti a Graz, alla mostra “Trigon” nel settembre 1977.
A metà degli anni ’70, scossa dalla tragedia del massacro di Tall el Zaatar del 1976, è portata a ideare una rigorosa protesta interiore attraverso un grafema illeggibile reiterato sul foglio bianco: sarà il primo di una serie di segni ripetuti singolarmente e tra loro non collegati che andranno a costituire le lettere de L’alfabeto della mente. Sviluppa ulteriormente gli stessi segni personali nell’opera I fatti della vita, in cui i fogli di diverse dimensioni che riempiono la stanza nascondono sul retro delle riflessioni personali spesso di carattere politico. Viene attuato così un razionale processo di registrazione dell’inconscio attraverso cui i tracciati costituiscono una sorta di azzeramento delle inconoscibili vibrazioni esistenziali dell’artista, di fatto molto distanti da quella lettura formalista onnipervasiva e senza vie d’uscita che le riserverà la critica italiana.
«L’unica condizione
è quella di ripetere un segno
fino a riempire tutto lo spazio che mi sono proposta di utilizzare…»
Dadamaino, 1974.
Dadamaino, I fatti della vita, 1979, particolare.
Dadamaino, I fatti della vita, 1979. L’installazione viene realizzata allo Studio Grossetti di Milano nel 1979 e in seguito alla Biennale di Venezia del 1980.
Dadamaino, con l’intento di far riscoprire il lago di Como sfruttando il movimento di forme luminose, agisce con Illuminazione fosforescente automotoria sull’acqua alle ore 21 presso il Molo di Sant’Agostino chiedendo ai passanti di gettare nel lago piccoli fogli di polistirolo espanso verniciati al fosfòro, dalla dimensione 20x20cm, e di fermarsi ad osservarne l’effetto ottico. L’artista combina il concetto di performance come hic et nunc [iv] al coinvolgimento diretto degli astanti. L’automotricità del materiale impiegato sottolinea la presenza costante e instancabile dell’acqua, la quale con i propri movimenti permette alle lastre fosforescenti di disegnare sulla superficie come se fosse una tela dipinta dal caso. Per fosforescenza, o fotoluminescenza, si intende infatti il fenomeno di emissione radiativa derivante dal decadimento degli elettroni a livelli quantici di minore energia [v].
Dadamaino, Illuminazione fosforescente automotoria sull’acqua, Campo urbano, Como, 1969.
Dadamaino ha come obiettivo quello di creare non un evento spettacolare basato sulla composizione di una data figura in acqua, bensì di far partecipare lo spettatore con la propria immaginazione creando di volta in volta un’immagine mutevole e differente. Nel testo scritto nell’ottobre 1969 per il catalogo di Campo Urbano, l’artista racconta di come le persone si siano approcciate alla sua opera artistica: alcuni sono rimasti inermi ad osservare il movimento delle piastre di polistirolo, altri sono intervenuti nei modi più disparati per appropriarsi degli oggetti luminosi da portare a casa come fossero manufatti preziosi o un ricordo da regalare a figli e nipoti. L’artista riflette, inoltre, sul senso dei gesti compiuti dal pubblico per intervenire negativamente sull’evento artistico perché ritenuto troppo insolito rispetto alla propria quotidianità[vi]. Dadamaino punta infatti a mostrare il lago sotto un punto di vista totalmente sconosciuto, dando valore ad azioni inconsuete per coloro che normalmente operano al di fuori del campo artistico. Tuttavia, il gioco luminoso sull’acqua risulta di grande impatto restituendo, in qualche modo, una visione scenografica dell’atto performativo.
La performance, per definizione, prevede la partecipazione del pubblico attraverso spazi, suoni, azioni e tempi ma, al contrario della visione tradizionale del teatro, si tratta di un coinvolgimento attivo dello stesso essendo anche responsabile di ogni risvolto dell’accadimento reale. L’artista è quindi sia soggetto che oggetto dell’azione e nel caso di Dadamaino, le eventuali problematiche e critiche rispetto a Illuminazione fosforescente automotoria sull’acqua fanno anch’esse parte della performance. Lo spettatore passivo demolisce la conoscenza dell’azione e non supera l’apparenza proposta, mentre il pubblico attivo permette un arricchimento dell’artista stessa che si è posta in condizione di mettere in scena i propri principi e ideali [vii]. Anche nel caso di Dadamaino è forte il riferimento all’hic et nunc, ovvero l’unicità del momento sia nell’azione del performer che del pubblico e delle reazioni ad essa successive: l’atmosfera creatasi permette allo spettatore di confrontarsi con le proprie emozioni e, in tal caso, di dar forma a un’immagine nel bacino d’acqua comasco. L’arte performativa prevede i concetti di ‘soglia’ e ‘confine’, rifacendosi all’esperienza estetica perché non solo implicano il senso di esclusione e separazione, ma introducono all’idea di una percezione distorta di entrambe le componenti. Tracciare un confine dà l’idea di realizzare qualcosa di non valicabile, come se possa essere infranta la legge in un qualche modo, mentre la soglia sembra essere qualcosa di meno rigido, posta nella maniera quasi seducente del limite. La performance pone lo spettatore a non curarsi del confine per poter ritrovare sè stessi come fosse una terza parte [viii]. La soglia che il pubblico di Campo Urbano valica è soprattutto in riferimento all’appropriazione che fa delle parti di polistirolo luminescente. Dadamaino racconta con enfasi di aver avuto qualche diverbio chiedendo al pubblico di porre di nuovo in acqua i materiali, invitandoli, piuttosto, ad appropriarsene il giorno successivo: lasciando agire il movimento del lago sullo sfavillio delle piastre.
«La donna vive in una struttura sociale alienata. Il modello, obsoleto in relazione al suo attuale ruolo, è stato creato da e per gli uomini. La donna può solo funzionare nella struttura sociale alienata solo se impara a camuffarsi e ignorare la propria personalità. […] La possibilità di scoprire sé stessa, l’autenticità della propria esistenza, del proprio lavoro, dei problemi e la loro consapevolezza, avviene attraverso la specifica esperienza di essere una donna nella società patriarcale, un mondo estraneo a se stessa, costituisce il fulcro dell’arte intesa come femminista. Questa è la motivazione del fare arte per una donna artista».
Ewa Partum, My problem is a problem of women, 1979.
Ewa Partum, Active Poetry, 1971-1973. 8 mm film transferred to DVD, bw, 545 min. Courtesy the artist & Galerie M R Fricke, Berlin.
Performance, elementi naturali e azioni lasciate alla casualità sono caratteristiche che accomunano anche la ricerca di Ewa Partum, artista nata nel marzo del 1945 a Grodzisk Mazowiecki (Polonia), che si occupa di poesia, film, mail art e pratiche di matrice concettuale, da una prospettiva femminista, o cmunque legata alle coercizioni sociali e l’identità di genere nell’Est. Il suo primo lavoro documentato è Presence dove l’artista appena ventenne si sdraia su un lenzuolo fissando il cielo e ne disegna sopra la propria silhouette: il tema del corpo femminile ed i codici etici e sociali che ne fanno da contorno sono elementi che torneranno nel percorso di Ewa Partum.
Segno e significato sono elementi strutturali che l’artista assume, sfidando i preconcetti della posizione sociale della donna nel 1971, attraverso statement legati alla poesia concettuale con Poems By Ewa: il gesto di liberare le lettere dell’alfabeto avviene in uno spazio di denominazione non artistica come metafora della scrittura composta e decomposta. Il linguaggio, nelle sue declinazioni sintattiche, grammaticali e semantiche, ritorna in seguito alla natura lasciando il proprio messaggio solo a livello mentale.
Le sue poesie, create dal caso, affrontano gli schemi patriarcali radicati nella lingua in contrapposizione con elementi associati alla femminilità (acqua, vento ed impronta delle labbra). Tale gesto di decostruzione non ha come obiettivo la distruzione del testo ma la creazione di una nuova valenza artistica dalla conformazione liberatoria e a tratti catartica. Un esempio di questo concetto si ritrova nell’azione avvenuta in un sottopasso di Varsavia dove scompone una parte di Ulysses di James Joyce, testo nodale per l’artista.
Ewa Partum, Active Poetry, 1971.
Il lavoro poetico, documentato in un video, racconta visivamente dal minuto 4’1” Ewa Partum che, dopo aver mostrato un foglio con la scritta Poem By Ewa, sfoglia un volume molto denso – probabilmente un vocabolario – e alcune lettere ritagliate che navigano libere in mare [ix]. Diversi frammenti alfabetici si spostano sulla riva grazie al vento mentre altri vengono trascinati dal fluttuare delle onde creando un movimento continuo che sembra non avere una fine. Il dispiegarsi delle lettere, lo spostamento dato dalla risacca del mare creano, inoltre, un impatto ottico molto vicino a quello di Dadamaino.
Ewa Partum, New horizon is a wave, 1972.
L’esperienza performativa dell’artista procede di pari passo con i suoi approfondimenti femministi in particolare tra il 1974 e il 1982. Articola le problematiche sociali appartenenti alla donna alle dimostrazioni della costruzione del ruolo femminile attraverso un processo di formazione storica, partendo dai rituali più comuni, come il matrimonio, che forgia il pensiero e diventa parte dell’ideologia corrente. Un punto di svolta per la pratica dell’artista avviene nella primavera del 1972 dove fonda la Galeria Adres a Łódź, inizialmente situata sotto i gradini degli uffici dell’Associazione degli artisti indipendenti polacchi (ZPAP). La posizione strategica della galleria ha permesso una relativa visibilità e l’accesso a un pubblico professionale. Partum ha inoltre tematizzato la collocazione della stessa attraverso il suo intervento artistico con la sua prima realizzazione non documentata affiancata alla seguente dichiarazione: «The field of artistic action/Instead of representing and representation (the mutual adoration of each other), requires an action in a broader sense». Nel suo manifesto, pubblicato sia in polacco che in francese, Ewa Partum ha definito la Galeria Adres come «un luogo, una situazione, un’opportunità, un’offerta, per informazioni, proposizione, documentazione, speculazione, provocazione, esposizione» sottolineando l’importanza della teoria dell’arte per la sua pratica [x].
A tal proposito, in una video-intervista registrata nel viaggio di ricerca C-MAP Central & Eastern European a Berlino nel giugno 2016, l’artista conversa con Ana Janevski, curatrice associata per il Dipartimento di Media e Performance Art presso il MoMA raccontando che fin da piccola ha sempre cercato di leggere e informarsi quanto più possibile, a volte sentendosi quasi in difetto per non riuscire a completare tutto ciò che al mondo è stato scritto. Considera da sempre l’arte come un medium rivolto verso un’attività intellettuale e sente profondamente che la pittura non possiede più questa caratteristica. Nell’intervista spiega infatti che è per questo che il suo approccio artistico risulta così differente rispetto ai più tradizionali: è basato su parole, letteratura ed informazioni [xi]. Ewa Partum si concentra perciò su giochi linguistici e performativi per coniare un nuovo linguaggio artistico convincendosi ancor di più della limitatezza del mezzo pittorico che ha ormai esaurito completamente il suo potenziale per poter fondare nuovi ideali. [xii]
«Per chi ha fatto arte in modo che fosse una pratica sociale e una ricerca positiva per la totalità sociale, viene il momento in cui è giusto e necessario comunicare se stessi in quanto ancora separati da quella totalità, ma non più divisi nell’io, ciò che è una conquista tanto più importante quanto è stata più faticosa per una donna artista»
(Tommaso Trini)
Il testo è stato realizzato per il corso di Museologia tenuto da Luca Cerizza al Biennio Specialistico in Arti Visive e Studi Curatoriali presso NABA, Nuova Accademia di Belle Arti di Milano e come approfondimento in occasione del convegno e della mostra documentaria Campo Umano – Arte pubblica 50 anni dopo, a cura di Luca Cerizza e Zasha Colah, organizzati dalla Fondazione Antonio Ratti, che celebra e rievoca il cinquantesimo anniversario di Campo Urbano, la manifestazione artistica, a cura di Luciano Caramel con Ugo Mulas e Bruno Munari, che radunò molti giovani artisti delle più diverse tendenze per occupare gli spazi pubblici del centro storico di Como il 21 settembre 1969 per l’intera giornata.
Manuela Della Monica (Milano, 1995), si laurea in Scienze dei Beni Culturali ad indirizzo teatrale presso l’Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano nell’ottobre 2018 con una tesi dal titolo “La narrazione dell’arte nel teatro: Marina Abramović, tra arte e performance”. Attualmente frequenta l’ultimo anno del biennio specialistico in Arti Visive e Studi Curatoriali presso NABA Milano. I suoi personali campi di ricerca teorici vertono attorno alla sottile differenza tra il teatro e la performatività spesso collegate alle diverse modalità interpretative del corpo femminile.
[vi] Dadamaino, Illuminazione fosforescente automotoria sull’acqua in “Campo Urbano, interventi estetici nella dimensione collettiva urbana”, Como 21 settembre 1969; Luciano Caramel, Ugo Mulas, Bruno Munari (a cura di), Como, ed. Cesare Nani, 1970, p. 102-104.
[vii] Celeste Ricci, “Temi di performance art: partecipazione #1 – lo spettatore attivo” per Art Noise, 2013, http://www.artnoise.it/azione-e-contingenza-temi-di-performance-artpartecipazione-1-lo-spettatore-attivo/
[viii] Erika Fischer-Lichte [ed. italiana tradotta da Tancredi Gusman e Simona Paparelli], Estetica del Performativo, Una Teoria del Teatro e dell’Arte, Roma, Carocci, 2014, pp. 311-355.
di Manuela Della Monica.
Testo di Dadamaino, tratto dal catalogo a cura di Luciano Caramel, Ugo Mulas, Bruno Munari, Campo Urbano. Interventi estetici nella dimensione collettiva urbana, Como, 21 settembre 1969.
Testo di Dadamaino, tratto dal catalogo a cura di Luciano Caramel, Ugo Mulas, Bruno Munari, Campo Urbano. Interventi estetici nella dimensione collettiva urbana, Como, 21 settembre 1969.
«Il 21 settembre 1969 avrà luogo a Como, nelle vie e nelle piazze della città, la manifestazione CAMPO URBANO, interventi estetici nella dimensione collettiva urbana», così recita il comunicato stampa dedicato all’evento coordinato da Luciano Caramel. La manifestazione, creata per mettere in contatto diretto l’arte con la collettività, si propone di far interagire il pubblico con gli spazi che quotidianamente abitano e attraversano. La risposta e la collaborazione dei cittadini sono due elementi costitutivi per l’evento, tant’è che Dadamaino, per la sua partecipazione, ha proposto un atto performativo che coinvolgesse in primo piano i residenti di Como.
Dadamaino, Illuminazione fosforescente automotoria sull’acqua, Campo urbano, Como, 1969, particolare dellazione, tratto dal catalogo.
Pseudonimo di Emiliana Maino (1930-2004), Dadamaino nasce e cresce tra le strade cangianti di Milano e si iscrive alla facoltà di medicina solo per accontentare la famiglia. Si approccia al mondo dell’arte, e in particolare della pittura, all’età di ventisette anni ma con un trascorso da autodidatta risalente al periodo adolescenziale. Si ricorda un aneddoto che la condusse a una vera e propria folgorazione nei confronti delle arti visive: durante un viaggio in tram, Dadamaino scorge in una vetrina di elettrodomestici tra Piazza Cordusio e via Broletto Concetto Spaziale di Lucio Fontana. Da quel momento in poi si dedicherà unicamente all’arte, cambia il suo nome in Edoarda e, nel 1961 a causa di un errore della stampa olandese il suo nome d’arte diverrà Dadamaino scritto per la prima volta unito[i]. La sua iniziale attività pittorica si estende fino al 1959 con poche documentazioni in quanto da lei stessa considerata “anni di formazione”.[ii]
Dadamaino, Scritto sulla sabbia, 1977. L’artista sta «scrivendo» sulla sabbia la lettera H, segno di un codice personale, premessa della “Lettera a Tall El Zaatar”, scritta in occasione della strage palestinese, ove il segno, una lettera dell’alfabeto, si ripete ossessivamente fino a completare l’intero spazio dei disegni. Questi sono stati esposti a Graz, alla mostra “Trigon” nel settembre 1977.
Frequenta attivamente l’avanguardia artistica milanese e declina con i “Volumi” una originale concezione dell’azzeramento dell’arte. Sono gli anni in cui aderisce ad Azimuth, rivista prima e galleria poi, fondata da Manzoni e Castellani e in cui partecipa ai movimenti delle nuove tendenze, in Italia e all’estero. Nel periodo successivo struttura la propria pratica artistica sull’attenzione ai materiali e all’uso del colore in maniera seriale che la porteranno a sperimentare con fluorescenti e stimoli cinetici.[iii] Alla fine degli anni 60 si avvicina ai gruppi extraparlamentari di sinistra affiancando la militanza politica a quella estetico-linguistica.
Dadamaino, Scritto sulla sabbia, 1977. L’artista sta «scrivendo» sulla sabbia la lettera H, segno di un codice personale, premessa della “Lettera a Tall El Zaatar”, scritta in occasione della strage palestinese, ove il segno, una lettera dell’alfabeto, si ripete ossessivamente fino a completare l’intero spazio dei disegni. Questi sono stati esposti a Graz, alla mostra “Trigon” nel settembre 1977.
A metà degli anni ’70, scossa dalla tragedia del massacro di Tall el Zaatar del 1976, è portata a ideare una rigorosa protesta interiore attraverso un grafema illeggibile reiterato sul foglio bianco: sarà il primo di una serie di segni ripetuti singolarmente e tra loro non collegati che andranno a costituire le lettere de L’alfabeto della mente. Sviluppa ulteriormente gli stessi segni personali nell’opera I fatti della vita, in cui i fogli di diverse dimensioni che riempiono la stanza nascondono sul retro delle riflessioni personali spesso di carattere politico. Viene attuato così un razionale processo di registrazione dell’inconscio attraverso cui i tracciati costituiscono una sorta di azzeramento delle inconoscibili vibrazioni esistenziali dell’artista, di fatto molto distanti da quella lettura formalista onnipervasiva e senza vie d’uscita che le riserverà la critica italiana.
Dadamaino, I fatti della vita, 1979, particolare.
Dadamaino, I fatti della vita, 1979. L’installazione viene realizzata allo Studio Grossetti di Milano nel 1979 e in seguito alla Biennale di Venezia del 1980.
Dadamaino, con l’intento di far riscoprire il lago di Como sfruttando il movimento di forme luminose, agisce con Illuminazione fosforescente automotoria sull’acqua alle ore 21 presso il Molo di Sant’Agostino chiedendo ai passanti di gettare nel lago piccoli fogli di polistirolo espanso verniciati al fosfòro, dalla dimensione 20x20cm, e di fermarsi ad osservarne l’effetto ottico. L’artista combina il concetto di performance come hic et nunc [iv] al coinvolgimento diretto degli astanti. L’automotricità del materiale impiegato sottolinea la presenza costante e instancabile dell’acqua, la quale con i propri movimenti permette alle lastre fosforescenti di disegnare sulla superficie come se fosse una tela dipinta dal caso. Per fosforescenza, o fotoluminescenza, si intende infatti il fenomeno di emissione radiativa derivante dal decadimento degli elettroni a livelli quantici di minore energia [v].
Dadamaino, Illuminazione fosforescente automotoria sull’acqua, Campo urbano, Como, 1969.
Dadamaino ha come obiettivo quello di creare non un evento spettacolare basato sulla composizione di una data figura in acqua, bensì di far partecipare lo spettatore con la propria immaginazione creando di volta in volta un’immagine mutevole e differente. Nel testo scritto nell’ottobre 1969 per il catalogo di Campo Urbano, l’artista racconta di come le persone si siano approcciate alla sua opera artistica: alcuni sono rimasti inermi ad osservare il movimento delle piastre di polistirolo, altri sono intervenuti nei modi più disparati per appropriarsi degli oggetti luminosi da portare a casa come fossero manufatti preziosi o un ricordo da regalare a figli e nipoti. L’artista riflette, inoltre, sul senso dei gesti compiuti dal pubblico per intervenire negativamente sull’evento artistico perché ritenuto troppo insolito rispetto alla propria quotidianità[vi]. Dadamaino punta infatti a mostrare il lago sotto un punto di vista totalmente sconosciuto, dando valore ad azioni inconsuete per coloro che normalmente operano al di fuori del campo artistico. Tuttavia, il gioco luminoso sull’acqua risulta di grande impatto restituendo, in qualche modo, una visione scenografica dell’atto performativo.
La performance, per definizione, prevede la partecipazione del pubblico attraverso spazi, suoni, azioni e tempi ma, al contrario della visione tradizionale del teatro, si tratta di un coinvolgimento attivo dello stesso essendo anche responsabile di ogni risvolto dell’accadimento reale. L’artista è quindi sia soggetto che oggetto dell’azione e nel caso di Dadamaino, le eventuali problematiche e critiche rispetto a Illuminazione fosforescente automotoria sull’acqua fanno anch’esse parte della performance. Lo spettatore passivo demolisce la conoscenza dell’azione e non supera l’apparenza proposta, mentre il pubblico attivo permette un arricchimento dell’artista stessa che si è posta in condizione di mettere in scena i propri principi e ideali [vii]. Anche nel caso di Dadamaino è forte il riferimento all’hic et nunc, ovvero l’unicità del momento sia nell’azione del performer che del pubblico e delle reazioni ad essa successive: l’atmosfera creatasi permette allo spettatore di confrontarsi con le proprie emozioni e, in tal caso, di dar forma a un’immagine nel bacino d’acqua comasco. L’arte performativa prevede i concetti di ‘soglia’ e ‘confine’, rifacendosi all’esperienza estetica perché non solo implicano il senso di esclusione e separazione, ma introducono all’idea di una percezione distorta di entrambe le componenti. Tracciare un confine dà l’idea di realizzare qualcosa di non valicabile, come se possa essere infranta la legge in un qualche modo, mentre la soglia sembra essere qualcosa di meno rigido, posta nella maniera quasi seducente del limite. La performance pone lo spettatore a non curarsi del confine per poter ritrovare sè stessi come fosse una terza parte [viii]. La soglia che il pubblico di Campo Urbano valica è soprattutto in riferimento all’appropriazione che fa delle parti di polistirolo luminescente. Dadamaino racconta con enfasi di aver avuto qualche diverbio chiedendo al pubblico di porre di nuovo in acqua i materiali, invitandoli, piuttosto, ad appropriarsene il giorno successivo: lasciando agire il movimento del lago sullo sfavillio delle piastre.
Ewa Partum, Active Poetry, 1971-1973. 8 mm film transferred to DVD, bw, 545 min. Courtesy the artist & Galerie M R Fricke, Berlin.
Performance, elementi naturali e azioni lasciate alla casualità sono caratteristiche che accomunano anche la ricerca di Ewa Partum, artista nata nel marzo del 1945 a Grodzisk Mazowiecki (Polonia), che si occupa di poesia, film, mail art e pratiche di matrice concettuale, da una prospettiva femminista, o cmunque legata alle coercizioni sociali e l’identità di genere nell’Est. Il suo primo lavoro documentato è Presence dove l’artista appena ventenne si sdraia su un lenzuolo fissando il cielo e ne disegna sopra la propria silhouette: il tema del corpo femminile ed i codici etici e sociali che ne fanno da contorno sono elementi che torneranno nel percorso di Ewa Partum.
Ewa Partum, Poem by Ewa, 1971, performance, © ADAGP, Paris.
Segno e significato sono elementi strutturali che l’artista assume, sfidando i preconcetti della posizione sociale della donna nel 1971, attraverso statement legati alla poesia concettuale con Poems By Ewa: il gesto di liberare le lettere dell’alfabeto avviene in uno spazio di denominazione non artistica come metafora della scrittura composta e decomposta. Il linguaggio, nelle sue declinazioni sintattiche, grammaticali e semantiche, ritorna in seguito alla natura lasciando il proprio messaggio solo a livello mentale.
Le sue poesie, create dal caso, affrontano gli schemi patriarcali radicati nella lingua in contrapposizione con elementi associati alla femminilità (acqua, vento ed impronta delle labbra). Tale gesto di decostruzione non ha come obiettivo la distruzione del testo ma la creazione di una nuova valenza artistica dalla conformazione liberatoria e a tratti catartica. Un esempio di questo concetto si ritrova nell’azione avvenuta in un sottopasso di Varsavia dove scompone una parte di Ulysses di James Joyce, testo nodale per l’artista.
Ewa Partum, Active Poetry, 1971.
Il lavoro poetico, documentato in un video, racconta visivamente dal minuto 4’1” Ewa Partum che, dopo aver mostrato un foglio con la scritta Poem By Ewa, sfoglia un volume molto denso – probabilmente un vocabolario – e alcune lettere ritagliate che navigano libere in mare [ix]. Diversi frammenti alfabetici si spostano sulla riva grazie al vento mentre altri vengono trascinati dal fluttuare delle onde creando un movimento continuo che sembra non avere una fine. Il dispiegarsi delle lettere, lo spostamento dato dalla risacca del mare creano, inoltre, un impatto ottico molto vicino a quello di Dadamaino.
Ewa Partum, New horizon is a wave, 1972.
L’esperienza performativa dell’artista procede di pari passo con i suoi approfondimenti femministi in particolare tra il 1974 e il 1982. Articola le problematiche sociali appartenenti alla donna alle dimostrazioni della costruzione del ruolo femminile attraverso un processo di formazione storica, partendo dai rituali più comuni, come il matrimonio, che forgia il pensiero e diventa parte dell’ideologia corrente. Un punto di svolta per la pratica dell’artista avviene nella primavera del 1972 dove fonda la Galeria Adres a Łódź, inizialmente situata sotto i gradini degli uffici dell’Associazione degli artisti indipendenti polacchi (ZPAP). La posizione strategica della galleria ha permesso una relativa visibilità e l’accesso a un pubblico professionale. Partum ha inoltre tematizzato la collocazione della stessa attraverso il suo intervento artistico con la sua prima realizzazione non documentata affiancata alla seguente dichiarazione: «The field of artistic action/Instead of representing and representation (the mutual adoration of each other), requires an action in a broader sense». Nel suo manifesto, pubblicato sia in polacco che in francese, Ewa Partum ha definito la Galeria Adres come «un luogo, una situazione, un’opportunità, un’offerta, per informazioni, proposizione, documentazione, speculazione, provocazione, esposizione» sottolineando l’importanza della teoria dell’arte per la sua pratica [x].
Ewa Partum, Hommage a Solidarnosc, 1982, black and white photography, performance in Gallery Underground © ADAGP, Paris.
A tal proposito, in una video-intervista registrata nel viaggio di ricerca C-MAP Central & Eastern European a Berlino nel giugno 2016, l’artista conversa con Ana Janevski, curatrice associata per il Dipartimento di Media e Performance Art presso il MoMA raccontando che fin da piccola ha sempre cercato di leggere e informarsi quanto più possibile, a volte sentendosi quasi in difetto per non riuscire a completare tutto ciò che al mondo è stato scritto. Considera da sempre l’arte come un medium rivolto verso un’attività intellettuale e sente profondamente che la pittura non possiede più questa caratteristica. Nell’intervista spiega infatti che è per questo che il suo approccio artistico risulta così differente rispetto ai più tradizionali: è basato su parole, letteratura ed informazioni [xi]. Ewa Partum si concentra perciò su giochi linguistici e performativi per coniare un nuovo linguaggio artistico convincendosi ancor di più della limitatezza del mezzo pittorico che ha ormai esaurito completamente il suo potenziale per poter fondare nuovi ideali. [xii]
Il testo è stato realizzato per il corso di Museologia tenuto da Luca Cerizza al Biennio Specialistico in Arti Visive e Studi Curatoriali presso NABA, Nuova Accademia di Belle Arti di Milano e come approfondimento in occasione del convegno e della mostra documentaria Campo Umano – Arte pubblica 50 anni dopo, a cura di Luca Cerizza e Zasha Colah, organizzati dalla Fondazione Antonio Ratti, che celebra e rievoca il cinquantesimo anniversario di Campo Urbano, la manifestazione artistica, a cura di Luciano Caramel con Ugo Mulas e Bruno Munari, che radunò molti giovani artisti delle più diverse tendenze per occupare gli spazi pubblici del centro storico di Como il 21 settembre 1969 per l’intera giornata.
Manuela Della Monica (Milano, 1995), si laurea in Scienze dei Beni Culturali ad indirizzo teatrale presso l’Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano nell’ottobre 2018 con una tesi dal titolo “La narrazione dell’arte nel teatro: Marina Abramović, tra arte e performance”. Attualmente frequenta l’ultimo anno del biennio specialistico in Arti Visive e Studi Curatoriali presso NABA Milano. I suoi personali campi di ricerca teorici vertono attorno alla sottile differenza tra il teatro e la performatività spesso collegate alle diverse modalità interpretative del corpo femminile.
Ewa Partum, Poem by Ewa, 1972, paper, lipstick, ink, © ADAGP, Paris.
note
[i] Sara Rania, https://dadamaino.eyael.com/destino_dada.php
[ii] Paolo Campiglio, Storia dei “volumi” di Dadamaino: dagli esordi pittorici del 1956 alla svolta del 1960, https://archiviodadamaino.it/wp-content/uploads/2018/04/I-volumi-di-Dadamaino2.pdf
[iii] Tommaso Trini, Dadamaino, L’arpa verticale e orizzontale, http://www.artslab.com/data/img/pdf/022_40-43.pdf
[iv] Richard Schechner (a cura di Aleksandra Jovićević), Il Nuovo Terzo Mondo dei Performance Studies, Roma, Bulzoni Editore, 2017, pp. 29-30.
[v] http://www.treccani.it/enciclopedia/fosforescenza/
[vi] Dadamaino, Illuminazione fosforescente automotoria sull’acqua in “Campo Urbano, interventi estetici nella dimensione collettiva urbana”, Como 21 settembre 1969; Luciano Caramel, Ugo Mulas, Bruno Munari (a cura di), Como, ed. Cesare Nani, 1970, p. 102-104.
[vii] Celeste Ricci, “Temi di performance art: partecipazione #1 – lo spettatore attivo” per Art Noise, 2013, http://www.artnoise.it/azione-e-contingenza-temi-di-performance-artpartecipazione-1-lo-spettatore-attivo/
[viii] Erika Fischer-Lichte [ed. italiana tradotta da Tancredi Gusman e Simona Paparelli], Estetica del Performativo, Una Teoria del Teatro e dell’Arte, Roma, Carocci, 2014, pp. 311-355.
[ix] https://artmuseum.pl/en/filmoteka/praca/partum-ewa-active-poetry-poem-by-ewa
[x] Karolina Majewska-Guide, “Ewa Partum as a Cultural Producer” per Post, Marzo 2019, https://post.at.moma.org/content_items/1249-ewa-partum-as-a-cultural-producer
[xi] Ana Janevski, “Part 1: Ewa Partum in Conversation with Ana Janevski” in Post, notes on modern & contemporary art around the globe, 2017, https://post.at.moma.org/content_items/965-part-1-ewa-partum-in-conversation-with-ana-janevski
[xii] Polish Cultural Institute New York, http://www.polishculture-nyc.org/indexNew.cfm?itemcategory=30817&personDetailId=34