«Sempre di più le donne vogliono scrivere far musica, dipingere […]. È sicuramente una ribellione ad un sistema che impadronendosi della nostra creatività l’ha resa consenziente e complice della nostra oppressione. Creatività di consenso […] nella produzione e ri-produzione della forza-lavoro, nell’arredo della casa, nell’abbellimento del nostro aspetto, nel consolare, nell’amare e anche nel tradire il maschio, nella cura dei figli […] persino nel furto ai grandi magazzini per oggetti destinati a confermarci nel ruolo. Insomma una creatività coatta per svolgere il lavoro domestico», Vogliamo, vo(g)liamo, Gruppo Femminista “Immagine” Varese.
«Bisogna distruggere il ruolo della casalinga, dietro il cui isolamento si è nascosto lavoro sociale. Ma le alternative sono strettamente definite. Finora il mito dell’incapacità femminile, radicato nella donna isolata nella casa dipendente dal salario di un altro e perciò plasmata dalla coscienza di un altro, è stato rotto da una sola alternativa: quella della donna che si impadroniva di un salario proprio, rompendo con la dipendenza economica, costruendo una propria esperienza indipendente col mondo esterno, fornendo lavoro entro una struttura socializzata, fosse la fabbrica o l’ufficio; e lì dava inizio alle proprie forme di ribellione sociale in aggiunta alle tradizionali forme di lotta della classe», Mariarosa Dalla Costa, Potere femminile e sovversione sociale, Marsilio, Padova, 1972.
Anche l’amore è lavoro domestico, Gruppo femminista Immagine di Varese (Silvia Cibaldi, Milli Gandini, Clemen Parrocchetti, Mariuccia Secol e Mariagrazia Sironi), manifestazione, 1975.
Il Gruppo Femminista “Immagine” Varese e la Wages for Housework Campaign
Il gruppo femminista “Immagine” di Varese (Silvia Cibaldi, Milli Gandini, Clemen Parrocchetti, Mariuccia Secol e Mariagrazia Sironi) è uno dei collettivi artistici di sole donne che emergono in Italia negli anni Settanta. Una delle sue specificità consiste nella partecipazione al network internazionale del Comitato per il salario al lavoro domestico. Le militanti che si riconoscevano in questa battaglia aderivano a una forma operaista di femminismo che concepiva la casalinga come la componente più sfruttata della classe operaia, poiché il suo lavoro affettivo e domestico non produceva reddito, ed era visto dalla società come un “naturale” compito femminile “remunerato” dall’affetto dei familiari. Il Comitato, tuttavia, non formulava semplicemente una richiesta di denaro. Come osservavano Silvia Federici e Giovanna Dalla Costa, la remunerazione economica del lavoro femminile doveva avere come obbiettivo la fine delle violenze domestiche, il rifiuto del lavoro salariato e la distruzione del capitalismo.
Mariagrazia Sironi (Gruppo Femminista Immagine di Varese), documentazione della performance, Filo di Arianna. Ricerca del filo di Arianna per uscire dalla casa labirinto: luogo di spersonalizzazione, sopraffazione, violenza, 1979, Palazzo dei Diamanti, Ferrara. Courtesy Mariagrazia Sironi.
Mariagrazia Sironi (Gruppo Femminista Immagine di Varese), documentazione della performance, Filo di Arianna. Ricerca del filo di Arianna per uscire dalla casa labirinto: luogo di spersonalizzazione, sopraffazione, violenza, 1979, Palazzo dei Diamanti, Ferrara. Courtesy Mariagrazia Sironi.
Nel 1974 Gandini prende contatto con le militanti padovane del Comitato. Incontra Leopoldina Fortunati, Mariarosa Dalla Costa e si propone di fondare un gruppo che si riconosca nelle lotte del Comitato, ma che faccia dell’immagine il proprio mezzo di espressione privilegiato. Parallelamente, Gandini organizza una mostra a Roma, La mamma è uscita, presentata da Dacia Maraini ma posta sotto l’egida politica del Comitato. Il titolo si richiama forse a un’esortazione (“Dobbiamo uscire dalla casa […] è già una forma di lotta”) contenuta nel testo fondativo del movimento, Potere femminile e sovversione sociale, pubblicato da Dalla Costa e Selma James. La “mamma” non deve cedere al ricatto affettivo del marito e dei figli che il capitalismo trasformava, loro malgrado, nei “controllori” della casalinga. Le opere esposte da Gandini affrontano queste tematiche e sono descritte nei dettagli ne Le operaie della casa, la rivista del Comitato in Italia. Simboli femministi tracciati nella polvere, colapasta con fori finti, pentole sigillate con il filo spinato, e opere eseguite con il punto croce la cui fattura, deliberatamente grossolana, esprime un “rifiuto del ricamo”, visto come pratica che disciplina il lavoro della donna e contribuisce a inculcarle la mistica edificante del focolare domestico.
Le operaie della casa. Rivista dell’autonomia femminista, bimestrale n.1 novembre – dicembre 1975.
Lentamente, attorno a Gandini si forma un gruppo. Le prime mostre collettive hanno luogo nel Nord Italia. Nel 1977, il gruppo Immagine, che conta un’architetta, Sironi, organizza dei workshop sugli spazi della casa. Si dibatte delle forme che gli interni dovrebbero assumere non tanto per facilitare le mansioni della casalinga, ma per renderne visibile il lavoro in quanto tale. Nel gennaio del 1978, il gruppo è tra i promotori dell’incontro milanese “Donna Arte Società”. Le discussioni sono accese; tra desiderio di professionalismo e rifiuto dell’integrazione nel sistema, la platea di oltre 500 donne non trova una piattaforma comune.
Milli Gandini, La mamma è uscita, 1975.
Milli Gandini, La mamma è uscita, 1975.
Il gruppo Immagine presenta un testo in cui rinnega il proprio “ascetismo rosso”, un termine coniato da Lea Melandri che intendeva denunciare il culto dell’abnegazione militante che imperversava nell’autonomia operaia. Il gruppo Immagine osserva come la rinuncia à sé di certo femminismo rivoluzionario abbia un carattere fondamentalmente repressivo. Il testo è però accolto con scetticismo. Le artiste del gruppo, che all’evento prendono spesso la parola, sono accusate di autoritarismo. La frattura con le componenti più marxiste e movimentiste del femminismo è ormai insanabile.
B 78. Spazio aperto. Gruppo femminista “Immagine” di Varese, 38. Esposizione Internazionale d’Arte: dalla natura all’arte dall’arte alla natura, Biennale di Venezia, 1978. Archivio Mariuccia Secol.
Gruppo femminista “Immagine” di Varese alla Biennale di Venezia, da destra: Mariuccia Secol, Silvia Cibaldi, Milli Gandini, Mariagrazia Sironi, Clemen Parrocchetti, 1978. Archivio Mariuccia Secol.
Silvia Cibaldi, B 78. Spazio aperto. Gruppo femminista “Immagine” di Varese, 38. Esposizione Internazionale d’Arte: dalla natura all’arte dall’arte alla natura, 1978. Archivio Mariuccia Secol.
Nel frattempo, le cinque artiste si stanno facendo strada nel mondo dell’arte, e rivendicano il diritto, per le donne, di perseguire il successo senza falsi moralismi. Alla Biennale del 1978 espongono la loro opera più complessa. Creano un environment che allude a una dialettica tra natura e arte. La natura è ridotta a delle immagini da cartolina e relegata all’esterno dello spazio, delimitato da un pannello. Tuttavia, una volta varcata la soglia di questa barriera, la “natura” riemerge, ma sotto forma d’acqua (racchiusa in una polla artificiale) e di fibre di tessuto (lana, seta, bisso, etc.). Sopra la piccola piscina circolare, infatti, le artiste appendono cinque teli di eguale misura che si riflettono nello specchio d’acqua. Qui i contorni si sfrangiano; su questa superficie cangiante, che il gruppo associa al liquido amniotico, l’individualità e il collettivo cercano un precario equilibrio. Secol presenta un arazzo con dei profili di donne; il telo di Gandini, realizzato con il punto croce, rappresenta delle donne incinta, quelli di Cibaldi e Parrocchetti assemblano oggetti quotidiani dando forma a delle trame frammentarie che annodano traumi e ricordi attraverso le immagini. Sironi, invece, fa ricorso a dei ready-made domestici (pizzi, passamanerie, etc.) per riprodurre l’antica pianta urbana di Mileto, interpretandone la struttura a griglia come anticipatrice delle ambizioni disciplinanti di alcune componenti del movimento moderno.
Manifesto di B 78. Spazio aperto. Gruppo femminista “Immagine” di Varese, Gruppo Donne/Immagine/Creatività/Napoli, 38. Esposizione Internazionale d’Arte: dalla natura all’arte dall’arte alla natura, Biennale di Venezia, 1978.
Dopo la Biennale, il Gruppo continua la propria attività per circa dieci anni. Il movimento femminista italiano ha vinto alcune battaglie, ma negli anni Ottanta il suo slancio si stempera. Emerse sull’onda del ’68, alcune delle sue istanze sono integrate dal neo-liberalismo, o vengono represse insieme a quel movimento rivoluzionario di cui il femminismo rappresentava una delle frange più avanzate. Ormai lontano dalle lotte degli anni Settanta, il gruppo “Immagine” persegue un’attività principalmente artistica con esposizioni anche a Parigi e a Vienna. Dopo lo scioglimento, seguiranno quasi trent’anni di relativo oblio. Ora, tuttavia, parallelamente a un rinnovato interesse internazionale per il Comitato per il salario al lavoro domestico, alcune delle sue opere escono finalmente dagli archivi.
B 78. Spazio aperto. Gruppo femminista “Immagine” di Varese, veduta della mostra con lavori, a partire da sinistra di: Clemen Parrocchetti, Milli Gandini, Silvia Cibaldi, 38. Esposizione Internazionale d’Arte: dalla natura all’arte dall’arte alla natura, 1978. Archivio Mariuccia Secol.
«Negazione di quello che gli arazzi hanno tradizionalmente rappresentato per le donne: tanto lavoro manuale da eseguire ripetitivamente con punti piccolissimi. Questi arazzi, invece, gestiti e decisi da una donna, proprio perché esprimono la lotta contro il lavoro domestico e extradomestico, sono lavorati con punti molto grandi, sono ricamati il meno possibile e il disegno nasce dal rifiuto del ricamo», “La mamma è uscita”, Le operaie della casa, novembre 1975-febbraio 1976.
Clemen Parrocchetti, B 78. Spazio aperto. Gruppo femminista “Immagine” di Varese, 38. Esposizione Internazionale d’Arte: dalla natura all’arte dall’arte alla natura, 1978. Archivio Mariuccia Secol.
Mariagrazia Sironi, B 78. Spazio aperto. Gruppo femminista “Immagine” di Varese, 38. Esposizione Internazionale d’Arte: dalla natura all’arte dall’arte alla natura, 1978. Archivio Mariuccia Secol.
B 78. Spazio aperto. Gruppo femminista “Immagine” di Varese, da sinistra: Mariuccia Secol, Silvia Cibaldi, Milli Gandini, Mariagrazia Sironi, Clemen Parrocchetti, veduta della mostra con lavori, a partire da sinistra, di Milli Gandini, Silvia Cibaldi, Mariagrazia Sironi, 38. Esposizione Internazionale d’Arte: dalla natura all’arte dall’arte alla natura, 1978. Archivio Mariuccia Secol.
Mariuccia Secol, Io, 1973, documentazione di una performance. Courtesy the artist.
«Sempre di più le donne vogliono scrivere far musica, dipingere […]. È sicuramente una ribellione ad un sistema che impadronendosi della nostra creatività l’ha resa consenziente e complice della nostra oppressione. Creatività di consenso […] nella produzione e ri-produzione della forza-lavoro, nell’arredo della casa, nell’abbellimento del nostro aspetto, nel consolare, nell’amare e anche nel tradire il maschio, nella cura dei figli […] persino nel furto ai grandi magazzini per oggetti destinati a confermarci nel ruolo. Insomma una creatività coatta per svolgere il lavoro domestico», Vogliamo, vo(g)liamo, Gruppo Femminista “Immagine” Varese.
«Bisogna distruggere il ruolo della casalinga, dietro il cui isolamento si è nascosto lavoro sociale. Ma le alternative sono strettamente definite. Finora il mito dell’incapacità femminile, radicato nella donna isolata nella casa dipendente dal salario di un altro e perciò plasmata dalla coscienza di un altro, è stato rotto da una sola alternativa: quella della donna che si impadroniva di un salario proprio, rompendo con la dipendenza economica, costruendo una propria esperienza indipendente col mondo esterno, fornendo lavoro entro una struttura socializzata, fosse la fabbrica o l’ufficio; e lì dava inizio alle proprie forme di ribellione sociale in aggiunta alle tradizionali forme di lotta della classe», Mariarosa Dalla Costa, Potere femminile e sovversione sociale, Marsilio, Padova, 1972.
Anche l’amore è lavoro domestico, Gruppo femminista Immagine di Varese (Silvia Cibaldi, Milli Gandini, Clemen Parrocchetti, Mariuccia Secol e Mariagrazia Sironi), manifestazione, 1975.
Il Gruppo Femminista “Immagine” Varese e la Wages for Housework Campaign
Il gruppo femminista “Immagine” di Varese (Silvia Cibaldi, Milli Gandini, Clemen Parrocchetti, Mariuccia Secol e Mariagrazia Sironi) è uno dei collettivi artistici di sole donne che emergono in Italia negli anni Settanta. Una delle sue specificità consiste nella partecipazione al network internazionale del Comitato per il salario al lavoro domestico. Le militanti che si riconoscevano in questa battaglia aderivano a una forma operaista di femminismo che concepiva la casalinga come la componente più sfruttata della classe operaia, poiché il suo lavoro affettivo e domestico non produceva reddito, ed era visto dalla società come un “naturale” compito femminile “remunerato” dall’affetto dei familiari. Il Comitato, tuttavia, non formulava semplicemente una richiesta di denaro. Come osservavano Silvia Federici e Giovanna Dalla Costa, la remunerazione economica del lavoro femminile doveva avere come obbiettivo la fine delle violenze domestiche, il rifiuto del lavoro salariato e la distruzione del capitalismo.
Mariagrazia Sironi (Gruppo Femminista Immagine di Varese), documentazione della performance, Filo di Arianna. Ricerca del filo di Arianna per uscire dalla casa labirinto: luogo di spersonalizzazione, sopraffazione, violenza, 1979, Palazzo dei Diamanti, Ferrara. Courtesy Mariagrazia Sironi.
Mariagrazia Sironi (Gruppo Femminista Immagine di Varese), documentazione della performance, Filo di Arianna. Ricerca del filo di Arianna per uscire dalla casa labirinto: luogo di spersonalizzazione, sopraffazione, violenza, 1979, Palazzo dei Diamanti, Ferrara. Courtesy Mariagrazia Sironi.
Nel 1974 Gandini prende contatto con le militanti padovane del Comitato. Incontra Leopoldina Fortunati, Mariarosa Dalla Costa e si propone di fondare un gruppo che si riconosca nelle lotte del Comitato, ma che faccia dell’immagine il proprio mezzo di espressione privilegiato. Parallelamente, Gandini organizza una mostra a Roma, La mamma è uscita, presentata da Dacia Maraini ma posta sotto l’egida politica del Comitato. Il titolo si richiama forse a un’esortazione (“Dobbiamo uscire dalla casa […] è già una forma di lotta”) contenuta nel testo fondativo del movimento, Potere femminile e sovversione sociale, pubblicato da Dalla Costa e Selma James. La “mamma” non deve cedere al ricatto affettivo del marito e dei figli che il capitalismo trasformava, loro malgrado, nei “controllori” della casalinga. Le opere esposte da Gandini affrontano queste tematiche e sono descritte nei dettagli ne Le operaie della casa, la rivista del Comitato in Italia. Simboli femministi tracciati nella polvere, colapasta con fori finti, pentole sigillate con il filo spinato, e opere eseguite con il punto croce la cui fattura, deliberatamente grossolana, esprime un “rifiuto del ricamo”, visto come pratica che disciplina il lavoro della donna e contribuisce a inculcarle la mistica edificante del focolare domestico.
Le operaie della casa. Rivista dell’autonomia femminista, bimestrale n.1 novembre – dicembre 1975.
Lentamente, attorno a Gandini si forma un gruppo. Le prime mostre collettive hanno luogo nel Nord Italia. Nel 1977, il gruppo Immagine, che conta un’architetta, Sironi, organizza dei workshop sugli spazi della casa. Si dibatte delle forme che gli interni dovrebbero assumere non tanto per facilitare le mansioni della casalinga, ma per renderne visibile il lavoro in quanto tale. Nel gennaio del 1978, il gruppo è tra i promotori dell’incontro milanese “Donna Arte Società”. Le discussioni sono accese; tra desiderio di professionalismo e rifiuto dell’integrazione nel sistema, la platea di oltre 500 donne non trova una piattaforma comune.
Milli Gandini, La mamma è uscita, 1975.
Milli Gandini, La mamma è uscita, 1975.
Il gruppo Immagine presenta un testo in cui rinnega il proprio “ascetismo rosso”, un termine coniato da Lea Melandri che intendeva denunciare il culto dell’abnegazione militante che imperversava nell’autonomia operaia. Il gruppo Immagine osserva come la rinuncia à sé di certo femminismo rivoluzionario abbia un carattere fondamentalmente repressivo. Il testo è però accolto con scetticismo. Le artiste del gruppo, che all’evento prendono spesso la parola, sono accusate di autoritarismo. La frattura con le componenti più marxiste e movimentiste del femminismo è ormai insanabile.
B 78. Spazio aperto. Gruppo femminista “Immagine” di Varese, 38. Esposizione Internazionale d’Arte: dalla natura all’arte dall’arte alla natura, Biennale di Venezia, 1978. Archivio Mariuccia Secol.
Gruppo femminista “Immagine” di Varese alla Biennale di Venezia, da destra: Mariuccia Secol, Silvia Cibaldi, Milli Gandini, Mariagrazia Sironi, Clemen Parrocchetti, 1978. Archivio Mariuccia Secol.
Silvia Cibaldi, B 78. Spazio aperto. Gruppo femminista “Immagine” di Varese, 38. Esposizione Internazionale d’Arte: dalla natura all’arte dall’arte alla natura, 1978. Archivio Mariuccia Secol.
Nel frattempo, le cinque artiste si stanno facendo strada nel mondo dell’arte, e rivendicano il diritto, per le donne, di perseguire il successo senza falsi moralismi. Alla Biennale del 1978 espongono la loro opera più complessa. Creano un environment che allude a una dialettica tra natura e arte. La natura è ridotta a delle immagini da cartolina e relegata all’esterno dello spazio, delimitato da un pannello. Tuttavia, una volta varcata la soglia di questa barriera, la “natura” riemerge, ma sotto forma d’acqua (racchiusa in una polla artificiale) e di fibre di tessuto (lana, seta, bisso, etc.). Sopra la piccola piscina circolare, infatti, le artiste appendono cinque teli di eguale misura che si riflettono nello specchio d’acqua. Qui i contorni si sfrangiano; su questa superficie cangiante, che il gruppo associa al liquido amniotico, l’individualità e il collettivo cercano un precario equilibrio. Secol presenta un arazzo con dei profili di donne; il telo di Gandini, realizzato con il punto croce, rappresenta delle donne incinta, quelli di Cibaldi e Parrocchetti assemblano oggetti quotidiani dando forma a delle trame frammentarie che annodano traumi e ricordi attraverso le immagini. Sironi, invece, fa ricorso a dei ready-made domestici (pizzi, passamanerie, etc.) per riprodurre l’antica pianta urbana di Mileto, interpretandone la struttura a griglia come anticipatrice delle ambizioni disciplinanti di alcune componenti del movimento moderno.
Manifesto di B 78. Spazio aperto. Gruppo femminista “Immagine” di Varese, Gruppo Donne/Immagine/Creatività/Napoli, 38. Esposizione Internazionale d’Arte: dalla natura all’arte dall’arte alla natura, Biennale di Venezia, 1978.
Dopo la Biennale, il Gruppo continua la propria attività per circa dieci anni. Il movimento femminista italiano ha vinto alcune battaglie, ma negli anni Ottanta il suo slancio si stempera. Emerse sull’onda del ’68, alcune delle sue istanze sono integrate dal neo-liberalismo, o vengono represse insieme a quel movimento rivoluzionario di cui il femminismo rappresentava una delle frange più avanzate. Ormai lontano dalle lotte degli anni Settanta, il gruppo “Immagine” persegue un’attività principalmente artistica con esposizioni anche a Parigi e a Vienna. Dopo lo scioglimento, seguiranno quasi trent’anni di relativo oblio. Ora, tuttavia, parallelamente a un rinnovato interesse internazionale per il Comitato per il salario al lavoro domestico, alcune delle sue opere escono finalmente dagli archivi.
B 78. Spazio aperto. Gruppo femminista “Immagine” di Varese, veduta della mostra con lavori, a partire da sinistra di: Clemen Parrocchetti, Milli Gandini, Silvia Cibaldi, 38. Esposizione Internazionale d’Arte: dalla natura all’arte dall’arte alla natura, 1978. Archivio Mariuccia Secol.
«Negazione di quello che gli arazzi hanno tradizionalmente rappresentato per le donne: tanto lavoro manuale da eseguire ripetitivamente con punti piccolissimi. Questi arazzi, invece, gestiti e decisi da una donna, proprio perché esprimono la lotta contro il lavoro domestico e extradomestico, sono lavorati con punti molto grandi, sono ricamati il meno possibile e il disegno nasce dal rifiuto del ricamo», “La mamma è uscita”, Le operaie della casa, novembre 1975-febbraio 1976.
Clemen Parrocchetti, B 78. Spazio aperto. Gruppo femminista “Immagine” di Varese, 38. Esposizione Internazionale d’Arte: dalla natura all’arte dall’arte alla natura, 1978. Archivio Mariuccia Secol.
Mariagrazia Sironi, B 78. Spazio aperto. Gruppo femminista “Immagine” di Varese, 38. Esposizione Internazionale d’Arte: dalla natura all’arte dall’arte alla natura, 1978. Archivio Mariuccia Secol.
B 78. Spazio aperto. Gruppo femminista “Immagine” di Varese, da sinistra: Mariuccia Secol, Silvia Cibaldi, Milli Gandini, Mariagrazia Sironi, Clemen Parrocchetti, veduta della mostra con lavori, a partire da sinistra, di Milli Gandini, Silvia Cibaldi, Mariagrazia Sironi, 38. Esposizione Internazionale d’Arte: dalla natura all’arte dall’arte alla natura, 1978. Archivio Mariuccia Secol.
Mariuccia Secol, Io, 1973, documentazione di una performance. Courtesy the artist.
Il saggio di Jacopo Galimberti è tratto dal catalogo della mostra Il Soggetto Imprevisto. 1978 Arte e Femminismo in Italia (Flash Art, 2019), a cura di Marco Scotini e Raffaella Perna presso FM Centro per l’Arte Contemporanea.
Collettivo internazionale femminista (a cura di), Le operaie della casa, Marsilio Editore, Venezia 1975.