“I’ve got a million eggs in each ovary. That doesn’t make me any more of a woman, or you less of a man”.
“The level of gender violence in freestyle rhyming battles, and in mainstream rap, can be horrific”.
“Somos Guerreras isn’t just a tour. It’s a way of seeing hip-hop for women as a political movement”.
Il 25 giugno la rapper guatemalteca Rebeca Lane è stata ospite dello spazio radiofonico femminista Il colpo della strega trasmesso dalle frequenze di Radio Blackout, in occasione del concerto al Csoa Gabrio organizzato insieme a NON UNA DI MENO Torino e in concomitanza con la terza edizione del festival “Braccia rubate all’agricoltura” di Manituana; in questa intervista live Rebeca Lane racconta di musica e di lotte femministe, della situazione del Centro America e dell’America Latina – dalle campagne per l’aborto legale, sicuro e libero, alla criminalizzazione dell’aborto in Guatemala e la violenza di genere – fino alla sua traiettoria artistica e personale attraverso l’hip hop e l’attivismo femminista.
L’immagine di copertina è di Carla Giaccio.
Il colpo della strega:Quale è stato il tuo percorso musicale e come ti sei avvicinata alla musica?
Rebeca Lane: L’hip hop è una cultura popolare che specie in Guatemala e in Centro America inizia ad affermarsi intorno agli anni 2000 – conseguenza della violenta situazione politica in Guatemala. Dal 1950 fino al 1990 infatti siamo stati in guerra. Durante tutto questo tempo non c’era nessuna possibilità per i giovani di organizzarsi a livello culturale, artistico né politico in nessun modo. Quindi da questo punto di vista l’hip hop ha dato voce a tutta una generazione figlia della guerra. I quartieri dove nasce l’hip hop sono quelli più poveri dove ci sono persone sfollate, impoverite a causa del conflitto civile, persone che avevano dovuto lasciare il proprio paese per andare a vivere a Città del Guatemala in condizioni rischiose. Mi chiedono sempre perché l’hip hop e non il rock o il raggae o un altro genere musicale. Per me, l’hip hop è la voce della mia generazione, parla dell’oppressione dal punto di vista della mia gente.
[…] Dal 2000 cominciamo a fare una musica con i nostri contenuti – e all’inizio non sempre politici – una musica che rispecchia di più la nostra inquietudine. È questa la maniera con cui sono arrivata all’hip hop spagnolo e all’hip hop politico. Prima c’era una cultura legata alla poesia, con un pò di lavoro sociologico e accademico intorno all’hip hop – ma soprattutto ci sono molti anni come attivista!
Tantissime compagne, femministe, rapper si esprimono con questo genere musicale in America Latina (a differenza dell’Italia), credi che questo discorso sull’hip hop come espressione di una generazione possa essere esteso anche ad altri paesi dell’America Latina?
RL: Di fatto, parlo di quello che accade in Centro America, invece in Sud America la questione è differente. In realtà la scena hip hop in Centro America è molto più recente mentre alcuni paesi come il Cile o l’Argentina hanno una tradizione di almeno 30 anni.
Che relazione c’è, secondo te, tra hip hop e femminismo?
RL: Partiamo dal presupposto che dentro l’hip hop è stato sempre molto difficile per le donne femministe; anche chi faceva parte del mainstream ha avuto molte difficoltà nel potersi affermare. La relazione tra hip hop e femminismo è sempre stata molto complicata, soprattutto in America Latina dove viviamo in società patriarcali e super machiste. Di solito si dice che l’hip hop sia uno spazio machista ma questo non viene detto di altri spazi musicali che lo sono altrettanto, quindi il rock, la musica elettronica o altri spazi politici e di sperimentazione. Qualsiasi spazio è machista. Per me è particolarmente importante dire questo perché sembra che ci sia un pregiudizio di classe rispetto all’hip hop, quasi fosse la realtà più machista nella società attuale.
Quindi è molto difficile per noi donne che siamo dentro l’hip hop, come lo è non solo per l’hip hop: la società intera ci pone di fronte a questioni difficili. Una cosa molto importante è stata come dentro l’hip hop le donne abbiano trovato uno spazio di emancipazione.
È chiaro non tutte si dichiarano femministe ma è stato possibile trovare per molte di loro uno spazio di emancipazione, uno spazio di liberazione e di libertà attraverso la musica.
Il femminismo in Centro America ha a che vedere con una realtà privilegiata. Chi si dichiara femminista ha avuto la possibilità di studiare e ha attraversato esperienze differenti rispetto alle donne che vengono dal barrio; in un quartiere povero una donna non userà mai il termine femminista.
Il femminismo ha una cattiva fama, si parla male del femminismo [ride].
E quindi nei quartieri più poveri si ha paura di nominarsi femministe, anche le donne che fanno hip hop nei quartieri più emarginati non usano il termine femminista per definirsi. Invece, quello che mi succede dichiarandomi così apertamente femminista è che buona parte degli uomini che fanno hip hop non mi ascoltano o si rifiutano di avere a che fare con me…
Da qua si ha la percezione che l’hip hop faccia un pò da colonna sonora delle lotte in Sud America e Centro America. È reale?
RL: La nostra musica è più popolare in Europa che nel nostro paese: come Rebeca Lane mi ascoltano molto di più in Spagna, in Sud America che in Guatemala. In realtà siamo artiste abbastanza marginalizzate per quanto riguarda il Centro America. E dato che passiamo molto del nostro tempo lottando in strada è per questo che la nostra musica accompagna le lotte.
Ma la nostra realtà come artiste centro-americane è molto difficile.
Non ti stupisce il fatto che i tuoi pezzi rimbombino per le strade di Torino o di Roma durante le manifestazioni femministe…
RL: È stata una bella sorpresa scoprirlo! Quando mi hanno mandato i video dove si ascoltavano le mie canzoni durante le manifestazioni dell’8 marzo è stato “WOW”! È molto bello pensare che qualcosa che ho scritto per la realtà del mio paese sia ascoltata altrove e che altre donne si sentano identificate.
Credo che questa sia un pò la forza della lotta femminista a livello internazionale…
RL: Sì, soprattutto in America Latina stiamo vivendo un buon momento per le lotte femministe, nel caso dell’Argentina c’è stato un sostegno molto forte per le proteste e le recenti mobilitazioni per l’aborto libero. Io cerco di puntualizzare la differenza tra Centro e Sud America. Noi, in Centro America siamo più indietro rispetto alle compagne del Sud America, del Cile, dell’Argentina e alle lotte che stanno portando avanti e quello che stanno raggiungendo. Non è lo stesso in Centro America.
Proprio mentre in Argentina si discuteva sulla legalizzazione dell’aborto [N.d.R. l’intervista è stata realizzata prima che il Senato argentino respingesse il progetto di legge per un aborto legale, sicuro e libero, vedi Questa volta il fuoco è nostro su Commonware.org] negli stessi giorni in Guatemala si proponeva di criminalizzare l’aborto.
In Centro America, in Nicaragua, El Salvador, Honduras e Repubblica Dominicana l’aborto è totalmente criminalizzato. Non è consentito nemmeno in caso di pericolo di vita. E in Guatemala è possibile abortire solo in certe situazioni però è molto difficile. Mia sorella ha avuto la necessita di abortire per un bisogno medico e quindi era possibile in teoria, ma non ha potuto accedere ai criteri stabiliti dalla legge che consentivano l’aborto in assenza di rischio di vita della donna.
E quindi nonostante in realtà ci fossero i presupposti per farlo legalmente è stata costretta a procedere in maniera clandestina all’interno di un ospedale privato, passando prima siamo dovute passare attraverso una commissione etica.
E ora, in Guatemala c’è una proposta di legge per criminalizzare qualsiasi tipo di aborto. In El Salvador in questo momento ci sono circa 60 donne detenute per avere abortito, alcune di loro anche semplicemente per un aborto spontaneo. E la maggior parte delle donne che sono in carcere per questo motivo, sono in realtà soprattutto donne povere e razzializzate che non hanno gli strumenti delle donne borghesi per poter interrompere la gravidanza. Aggiungo che il Nicaragua aveva una legge che legalizzava l’aborto fino al 2007/2008 e dal 2009 il dittatore Ortega ha stipulato un patto elettorale per ottenere ulteriori voti nella penultima legislatura con la promessa agli evangelici e ai cattolici di eliminare l’aborto libero: è riuscito così ad ottenere il potere e anche in Nicaragua ora è illegale abortire anche in caso di pericolo di vita.
Grazie a tutte le persone che saranno al concerto, grazie per avvicinarsi e cercare di conoscere un pò della nostra cultura centro-americana attraverso la musica femminista e le nostre lotte.
Il rap transfemminista come espressione di forza e resistenza. Rebeca Lane è in tour con il suo compagno Zaki, un rapper de El Salvador. Ecco il podcast della trasmissione Il colpo della strega, spazio radiofonico femminista del collettivo MeDeA.
Rebeca Lane chi è?
Al secolo Rebeca Eunice Vargas, Rebeca Lane è un’“artivista”, rapper, cantautrice e poetessa guatemalteca. Nasce a Città del Guatemala in una famiglia attiva nella guerriglia degli anni ‘80 contro i regimi militari via via succedutisi nel Paese, legati alle oligarchie terriere e sostenuti dall’imperialismo nordamericano. Da sempre attiva nei movimenti sociali a fianco dei lavoratori e dei popoli indigeni, si interessa ben presto al femminismo, elemento centrale della sua opera tanto in ambito poetico che musicale. Nelle sue liriche risuonano le proprie esperienze personali e politiche di donna e militante femminista impegnata in percorsi di autodeterminazione, liberazione, autonomia.
Tra le pioniere della cultura hip-hop in America Centrale, è membra del collettivo Última Dosis e fondatrice di Somos Guerreras, un progetto collettivo femminista mirante a scardinare in sessismo nell’ambiente Hip-Hop e a promuovere il protagonismo femminile. Tra gli album solisti segnaliamo “Canto” (EP, 2013), “Poesia Velenosa” (2015), “Alma Mestiza” (2016) e l’ultimo “Obsidiana”, del 2018, che sta presentando in Europa.
Conduce, con metodologia femminista, workshop sul rap come forma di espressione di lotta e resistenza. Come poetessa pubblica regolarmente le sue opere in riviste letterarie in Guatemala, Messico e Porto Rico.
Ha realizzato indagini, di taglio sociologico, sulle culture giovanili e sulle tribù urbane del Guatemala.
“I’ve got a million eggs in each ovary. That doesn’t make me any more of a woman, or you less of a man”.
“The level of gender violence in freestyle rhyming battles, and in mainstream rap, can be horrific”.
“Somos Guerreras isn’t just a tour. It’s a way of seeing hip-hop for women as a political movement”.
Il 25 giugno la rapper guatemalteca Rebeca Lane è stata ospite dello spazio radiofonico femminista Il colpo della strega trasmesso dalle frequenze di Radio Blackout, in occasione del concerto al Csoa Gabrio organizzato insieme a NON UNA DI MENO Torino e in concomitanza con la terza edizione del festival “Braccia rubate all’agricoltura” di Manituana; in questa intervista live Rebeca Lane racconta di musica e di lotte femministe, della situazione del Centro America e dell’America Latina – dalle campagne per l’aborto legale, sicuro e libero, alla criminalizzazione dell’aborto in Guatemala e la violenza di genere – fino alla sua traiettoria artistica e personale attraverso l’hip hop e l’attivismo femminista.
L’immagine di copertina è di Carla Giaccio.
Il colpo della strega: Quale è stato il tuo percorso musicale e come ti sei avvicinata alla musica?
Rebeca Lane: L’hip hop è una cultura popolare che specie in Guatemala e in Centro America inizia ad affermarsi intorno agli anni 2000 – conseguenza della violenta situazione politica in Guatemala. Dal 1950 fino al 1990 infatti siamo stati in guerra. Durante tutto questo tempo non c’era nessuna possibilità per i giovani di organizzarsi a livello culturale, artistico né politico in nessun modo. Quindi da questo punto di vista l’hip hop ha dato voce a tutta una generazione figlia della guerra. I quartieri dove nasce l’hip hop sono quelli più poveri dove ci sono persone sfollate, impoverite a causa del conflitto civile, persone che avevano dovuto lasciare il proprio paese per andare a vivere a Città del Guatemala in condizioni rischiose. Mi chiedono sempre perché l’hip hop e non il rock o il raggae o un altro genere musicale. Per me, l’hip hop è la voce della mia generazione, parla dell’oppressione dal punto di vista della mia gente.
[…] Dal 2000 cominciamo a fare una musica con i nostri contenuti – e all’inizio non sempre politici – una musica che rispecchia di più la nostra inquietudine. È questa la maniera con cui sono arrivata all’hip hop spagnolo e all’hip hop politico. Prima c’era una cultura legata alla poesia, con un pò di lavoro sociologico e accademico intorno all’hip hop – ma soprattutto ci sono molti anni come attivista!
Tantissime compagne, femministe, rapper si esprimono con questo genere musicale in America Latina (a differenza dell’Italia), credi che questo discorso sull’hip hop come espressione di una generazione possa essere esteso anche ad altri paesi dell’America Latina?
RL: Di fatto, parlo di quello che accade in Centro America, invece in Sud America la questione è differente. In realtà la scena hip hop in Centro America è molto più recente mentre alcuni paesi come il Cile o l’Argentina hanno una tradizione di almeno 30 anni.
Che relazione c’è, secondo te, tra hip hop e femminismo?
RL: Partiamo dal presupposto che dentro l’hip hop è stato sempre molto difficile per le donne femministe; anche chi faceva parte del mainstream ha avuto molte difficoltà nel potersi affermare. La relazione tra hip hop e femminismo è sempre stata molto complicata, soprattutto in America Latina dove viviamo in società patriarcali e super machiste. Di solito si dice che l’hip hop sia uno spazio machista ma questo non viene detto di altri spazi musicali che lo sono altrettanto, quindi il rock, la musica elettronica o altri spazi politici e di sperimentazione. Qualsiasi spazio è machista. Per me è particolarmente importante dire questo perché sembra che ci sia un pregiudizio di classe rispetto all’hip hop, quasi fosse la realtà più machista nella società attuale.
Quindi è molto difficile per noi donne che siamo dentro l’hip hop, come lo è non solo per l’hip hop: la società intera ci pone di fronte a questioni difficili. Una cosa molto importante è stata come dentro l’hip hop le donne abbiano trovato uno spazio di emancipazione.
È chiaro non tutte si dichiarano femministe ma è stato possibile trovare per molte di loro uno spazio di emancipazione, uno spazio di liberazione e di libertà attraverso la musica.
Il femminismo in Centro America ha a che vedere con una realtà privilegiata. Chi si dichiara femminista ha avuto la possibilità di studiare e ha attraversato esperienze differenti rispetto alle donne che vengono dal barrio; in un quartiere povero una donna non userà mai il termine femminista.
Il femminismo ha una cattiva fama, si parla male del femminismo [ride].
E quindi nei quartieri più poveri si ha paura di nominarsi femministe, anche le donne che fanno hip hop nei quartieri più emarginati non usano il termine femminista per definirsi. Invece, quello che mi succede dichiarandomi così apertamente femminista è che buona parte degli uomini che fanno hip hop non mi ascoltano o si rifiutano di avere a che fare con me…
Da qua si ha la percezione che l’hip hop faccia un pò da colonna sonora delle lotte in Sud America e Centro America. È reale?
RL: La nostra musica è più popolare in Europa che nel nostro paese: come Rebeca Lane mi ascoltano molto di più in Spagna, in Sud America che in Guatemala. In realtà siamo artiste abbastanza marginalizzate per quanto riguarda il Centro America. E dato che passiamo molto del nostro tempo lottando in strada è per questo che la nostra musica accompagna le lotte.
Ma la nostra realtà come artiste centro-americane è molto difficile.
Non ti stupisce il fatto che i tuoi pezzi rimbombino per le strade di Torino o di Roma durante le manifestazioni femministe…
RL: È stata una bella sorpresa scoprirlo! Quando mi hanno mandato i video dove si ascoltavano le mie canzoni durante le manifestazioni dell’8 marzo è stato “WOW”! È molto bello pensare che qualcosa che ho scritto per la realtà del mio paese sia ascoltata altrove e che altre donne si sentano identificate.
Credo che questa sia un pò la forza della lotta femminista a livello internazionale…
RL: Sì, soprattutto in America Latina stiamo vivendo un buon momento per le lotte femministe, nel caso dell’Argentina c’è stato un sostegno molto forte per le proteste e le recenti mobilitazioni per l’aborto libero. Io cerco di puntualizzare la differenza tra Centro e Sud America. Noi, in Centro America siamo più indietro rispetto alle compagne del Sud America, del Cile, dell’Argentina e alle lotte che stanno portando avanti e quello che stanno raggiungendo. Non è lo stesso in Centro America.
Proprio mentre in Argentina si discuteva sulla legalizzazione dell’aborto [N.d.R. l’intervista è stata realizzata prima che il Senato argentino respingesse il progetto di legge per un aborto legale, sicuro e libero, vedi Questa volta il fuoco è nostro su Commonware.org] negli stessi giorni in Guatemala si proponeva di criminalizzare l’aborto.
In Centro America, in Nicaragua, El Salvador, Honduras e Repubblica Dominicana l’aborto è totalmente criminalizzato. Non è consentito nemmeno in caso di pericolo di vita. E in Guatemala è possibile abortire solo in certe situazioni però è molto difficile. Mia sorella ha avuto la necessita di abortire per un bisogno medico e quindi era possibile in teoria, ma non ha potuto accedere ai criteri stabiliti dalla legge che consentivano l’aborto in assenza di rischio di vita della donna.
E quindi nonostante in realtà ci fossero i presupposti per farlo legalmente è stata costretta a procedere in maniera clandestina all’interno di un ospedale privato, passando prima siamo dovute passare attraverso una commissione etica.
E ora, in Guatemala c’è una proposta di legge per criminalizzare qualsiasi tipo di aborto. In El Salvador in questo momento ci sono circa 60 donne detenute per avere abortito, alcune di loro anche semplicemente per un aborto spontaneo. E la maggior parte delle donne che sono in carcere per questo motivo, sono in realtà soprattutto donne povere e razzializzate che non hanno gli strumenti delle donne borghesi per poter interrompere la gravidanza. Aggiungo che il Nicaragua aveva una legge che legalizzava l’aborto fino al 2007/2008 e dal 2009 il dittatore Ortega ha stipulato un patto elettorale per ottenere ulteriori voti nella penultima legislatura con la promessa agli evangelici e ai cattolici di eliminare l’aborto libero: è riuscito così ad ottenere il potere e anche in Nicaragua ora è illegale abortire anche in caso di pericolo di vita.
Grazie a tutte le persone che saranno al concerto, grazie per avvicinarsi e cercare di conoscere un pò della nostra cultura centro-americana attraverso la musica femminista e le nostre lotte.
Il rap transfemminista come espressione di forza e resistenza. Rebeca Lane è in tour con il suo compagno Zaki, un rapper de El Salvador. Ecco il podcast della trasmissione Il colpo della strega, spazio radiofonico femminista del collettivo MeDeA.
Rebeca Lane chi è?
Al secolo Rebeca Eunice Vargas, Rebeca Lane è un’“artivista”, rapper, cantautrice e poetessa guatemalteca. Nasce a Città del Guatemala in una famiglia attiva nella guerriglia degli anni ‘80 contro i regimi militari via via succedutisi nel Paese, legati alle oligarchie terriere e sostenuti dall’imperialismo nordamericano. Da sempre attiva nei movimenti sociali a fianco dei lavoratori e dei popoli indigeni, si interessa ben presto al femminismo, elemento centrale della sua opera tanto in ambito poetico che musicale. Nelle sue liriche risuonano le proprie esperienze personali e politiche di donna e militante femminista impegnata in percorsi di autodeterminazione, liberazione, autonomia.
Tra le pioniere della cultura hip-hop in America Centrale, è membra del collettivo Última Dosis e fondatrice di Somos Guerreras, un progetto collettivo femminista mirante a scardinare in sessismo nell’ambiente Hip-Hop e a promuovere il protagonismo femminile. Tra gli album solisti segnaliamo “Canto” (EP, 2013), “Poesia Velenosa” (2015), “Alma Mestiza” (2016) e l’ultimo “Obsidiana”, del 2018, che sta presentando in Europa.
Conduce, con metodologia femminista, workshop sul rap come forma di espressione di lotta e resistenza. Come poetessa pubblica regolarmente le sue opere in riviste letterarie in Guatemala, Messico e Porto Rico.
Ha realizzato indagini, di taglio sociologico, sulle culture giovanili e sulle tribù urbane del Guatemala.
www.rebecalane.com
Facebook: https://www.facebook.com/rebecalane6/
YouTube: https://www.youtube.com/channel/UCdG7zFIa1LdzUdYO6LT4BHg
Instagram: https://www.instagram.com/rebecalane6/
Twitter: https://twitter.com/rebecalane6