“con lavoro intendiamo di solito la nostra occupazione – o meglio, il lavoro salariato: il tempo e lo sforzo che vendiamo a qualcun altro in cambio di un reddito. Questo tempo non è sotto il nostro controllo, ma sotto il controllo dei nostri capi, manager, datori di lavoro. Un terzo della nostra vita è speso alla loro sottomissione. Il lavoro può essere definito in opposizione al “tempo libero”, tipicamente associato al weekend e alle vacanze. Ma il tempo libero non dev’essere confuso con l’ozio, perché molte delle cose che facciamo nel tempo libero richiedono un ammontare di sforzo immenso. Imparare a suonare uno strumento musicale, leggere letteratura, socializzare con gli amici e praticare sport comportano tutti un diverso grado di sforzo, ma queste sono tutte che cose che decidiamo liberamente di fare. Una società del post-lavoro non è quindi una società dell’ozio; al contrario, è un mondo in cui le persone non sono più legate ai loro posti di lavoro, ma sono libere di creare le proprie vite”. Nick Srnicek e Alex Williams, Inventing the Future. Postcapitalism and a World Without Work, p.86.
“la nostra prima richiesta è un’economia che sia pienamente automatizzata. Usando gli ultimi avanzamenti tecnologici, questa economia punterebbe a liberare l’umanità dalla schiavitù del lavoro mentre produrrebbe simultaneamente un aumento del benessere. Senza la piena automazione, il postcapitalismo futuro deve necessariamente scegliere tra l’abbondanza a spese della libertà (ricordando la centralità del lavoro della Russia sovietica) o la libertà a spese dell’abbondanza, rappresentata dalle distopie primitiviste. Con l’automazione, per contro, le macchine possono produrre sempre di più tutti i beni e i servizi, mentre gli umani sarebbero liberi dallo sforzo di produrli”. Nick Srnicek e Alex Williams, p.109.
“dati i limiti degli approcci esistenti, affermiamo che il miglior modo è una strategia contro-egemonica. È una strategia adattabile da posizioni di debolezza. È scalabile dal locale al globale e riconosce il potere che il capitalismo ha su ogni aspetto delle nostre vite, dai nostri più intimi desideri ai nostri movimenti finanziari più astratti. Una strategia contro-egemonica include un progetto per ribaltare il senso comune neoliberale dominante e rinnovare l’immaginazione collettiva”. Nick Srnicek e Alex Williams, p.131.
Piena automazione, diminuzione delle ore lavorative, reddito di base universale, liberazione dall’etica del lavoro. Sono questi i punti fondamentali per la realizzazione di una società del post-lavoro. Quello di Nick Srnicek e Alex Williams (già autori del Manifesto per una politica accelerazionista) non è un invito, ma un imperativo: il verbo Pretendi è riportato tre volte sulla copertina del loro Inventare il futuro. Per un mondo senza lavoro, edito da Verso Books nel 2015 e tradotto in italiano da Nero Editions nel 2018 per la collana Not, rivista online incentrata su antropocene, era post-ideologica, fantascienza e arte.
Pretendi la piena automazione. Pretendi il reddito universale. Pretendi il futuro. Le richieste inderogabili degli autori – declinate secondo le possibilità emancipative (questioni di genere) e di lotta politica (reddito di base universale) – appaiono quasi una presa in giro, un trolling irritante e provocatorio [i]. In realtà, Srnicek e Williams non scherzano affatto quando affermano che il cambiamento va operato, prima ancora che su base economica, su una base politica e culturale con la diffusione di slogan, cori e meme. È l’utopia l’ingrediente sostanziale della loro visione: l’impulso che muove la prefigurative politics di Carl Boggs [ii]. L’utopia in questione è quella dell’accelerazionismo di sinistra, che prende a piene mani dalla letteratura cyborg di harawayana memoria.
Il problema sorge, però, nel momento in cui è la folk politics a limitare l’utopia. Questo tipo di politica del popolo, criticano gli autori, mette in atto tattiche volte all’immediatezza spaziale, temporale e concettuale, invece di pensare strategie che possano essere realmente efficaci sul lungo periodo nella lotta al capitalismo neoliberale. Movimenti apparentemente diversi, come Occupy Wall Street o il “move your money” (in cui i clienti delle banche spostano i loro soldi in banche più piccole e presumibilmente più virtuose), sono in realtà accomunati dal difetto di accontentarsi di agire sulla sfera locale e non si pongono la domanda sul come poter espandere e scalare a livello globale gli effetti ottenuti. Il movimento per lo slow food, nato in Italia negli anni ’80, si è dimostrato addirittura problematico in merito alla questione gender, “dato che viviamo in società patriarcali dove la maggior parte della preparazione del cibo è ancora presunta essere compito di mogli e madri. Anche se il ‘fast food’ o i pranzi pronti possono non essere salutari, la loro popolarità permette alle donne di liberarsi [iii].” La folk politics è necessaria, ma insufficiente.
“È sempre stato problematico parlare della liberazione delle donne perché ciò presuppone di sapere cosa siano le donne. Se, sia le donne che gli uomini restano organizzati nelle forme attuali, allora non vogliono liberarsi, se capite ciò che intendo… Non è una questione di liberazione quanto una questione di evoluzione – o ingegnerizzazione. È in corso una graduale re-ingegnerizzazione di ciò che significa essere donna e non sappiamo cosa sia. Dobbiamo scoprirlo” [iv]. Già in questa citazione di Sadie Plant sulla problematicità della liberazione delle donne, Srnicek e Williams rivelano l’intento di scardinare l’antropocentrismo debole. Il reddito di base universale servirebbe anche a questo – garantire l’indipendenza finanziaria necessaria per ottenere la liberazione delle donne. “Il progetto del post-lavoro è anche un progetto intrinsecamente femminista, che riconosce il lavoro invisibile eseguito prevalentemente dalle donne, così come la femminilizzazione del mercato del lavoro operaio, e la necessità di fornire indipendenza finanziaria per la piena liberazione delle donne”[v]. E il percorso per questa emancipazione può partire anche da fenomeni musicali, basti pensare al collettivo Discwoman. Residente a New York, composto da DJ techno femministe, la piattaforma fondata da Hutchinson, Burgess-Olson e McCharen-Tran è l’incarnazione inconsapevole dell’utopia del post-lavoro, la liberazione dai dogmi della musica elettronica riportati nel The Lobster di Yorgos Lanthimos [vi].
Se nella prima parte del libro Srnicek e Williams raccontano la storia vincente della costruzione dell’egemonia neoliberale e del paradigma capitalista, con la nascita della Mont Pelerin Society fino alla creazione dell’inglese Institute of Economic Affairs e del Manhattan Institute for Policy Research, nei restanti capitoli si concentrano sulla formulazione teorica di una contro-egemonia, che non sia più basata sulla competitività dei soggetti nella produzione, e non sia più causa di tutte quelle psicopatologie tipiche della società contemporanea. Una nuova egemonia positiva che non sia però neanche fondata sul concetto di resistenza intesa come “resistenza contro un’altra forza attiva. In altre parole, [la resistenza] è un gesto difensivo e reattivo, più che un movimento attivo. Non resistiamo per un mondo che va trasformato; resistiamo in nome di un vecchio mondo” [vii].
Quale dev’essere quindi la parola d’ordine per combattere il capitalismo? Alternativa.
La questione che viene posta più spesso durante le presentazioni italiane di Inventare il futuro a Corrado Melluso, coordinatore editoriale di Nero, è: «Cosa fare in maniera pratica nell’immediato per applicare le teorie scritte nel testo?». Ebbene, questa domanda rivela il mordente delle tesi di Srnicek e Williams. Indica come i due autori abbiano centrato il punto della discussione, per due motivi. Il primo risiede nel fatto stesso che i lettori si pongano la questione: il dato della volontà di conoscere la tattica da utilizzare denota un interesse verso le teorie descritte. Il libro si presta bene come catalizzatore di un movimento sociale e intellettuale che stravolga gli automatismi della sinistra degli ultimi trent’anni e getti le basi per la costruzione di un futuro davvero auspicabile. E d’altro canto sono gli autori stessi a indicare come l’ottenimento del Reddito Universale di Base oltre a essere anche una necessità storica – lo stesso Marx nei Grundrisse spiegava come la più grande tragedia per il Capitale avverrà quando, attraverso lo sviluppo tecnico, diventerà incapace di estrarre plusvalore dal lavoro umano – sarà soltanto il punto di partenza per la lotta per l’emancipazione umana. La seconda istanza riguarda invece la storia della politica affrontata nei primi capitoli del libro: la richiesta di una pratica immediatamente efficace funziona da prova del nove per la critica che gli autori muovono alla cosiddetta folk politics.
Ancora secondo Melluso, “la sinistra deve recuperare l’ambizione verso il futuro e verso il progresso per costruire il Nuovo, tralasciando ogni nostalgia e superando gli scogli del suo pensiero più classico. Il primo passo è quello di considerare la modernità per quel che è: un mondo in cui il lavoro serve sempre meno, e in cui, di conseguenza, le aziende di maggior successo – pensiamo a Apple, Google o Facebook – impiegano molti meno lavoratori rispetto ai loro corrispettivi di trenta e più anni fa: General Motors, Bayer, o qualsiasi altra industria classica. Questo comporta molte cose, a cascata, per la sinistra classica. In primis smetterla di sovrapporre fino a confonderli il concetto di «lavoro» da quello di «lavoro salariato». Perpetrando questo errore metodologico, sono state interiorizzate le modalità dello sfruttamento dei lavoratori, fino a non riuscire più a concepire una loro vera e propria liberazione, tanto che di fronte a nuovi fenomeni come i lavori della gig economy entra in contraddizione, nel momento in cui la soluzione all’enorme problema contrattuale dei fattorini di Deliveroo non potrà senz’altro essere risolto nei termini classici, ovvero tramite la loro regolarizzazione tramite un contratto a tempo indeterminato. Non lo vorrebbero per primi i fattorini stessi”.
Allora Che fare? e quali le possibili conseguenze della visione di Srnicek e Williams? “La loro proposta – continua Melluso – è di formare una sinistra pro-tecnologica, populista e massimalista, capace di tornare a stimolare l’immaginazione di tutti e a costruire, conseguentemente, un futuro migliore. La loro è una singola proposta, ma dalle ricadute enormi. L’imposizione di un Reddito Universale di Base, che a prescindere dal ceto o dalla dislocazione geografica, dia a tutti il necessario per sopravvivere e qualcosa in più, scardinerebbe la società per come la conosciamo (e subiamo) oggi. Si pensi agli stessi fattorini di Deliveroo: avendo già di che campare, non accetteranno senz’altro di fare consegne a cottimo e per pochi spiccioli, e questa semplice proposta, se messa in atto, sarà quindi capace di innovare le relazioni sindacali molto più efficacemente di quanto abbia fatto, appunto, la sinistra negli ultimi trent’anni. Ma, ancor di più, l’attuazione della proposta di Srnicek e Williams andrebbe a mutare anche i rapporti di forza di genere – si pensi a quante coppie non si separano per motivi economici, con esiti a volte molto tragici – e influire sulle dinamiche migratorie. In più, la sua messa in atto comporterebbe il ripensamento della divisione in Stati, dato che per determinare il gettito fiscale necessario servirebbe un organismo sovranazionale atto alla redistribuzione della ricchezza, e, insomma, finirebbe per stravolgere il mondo per come lo conosciamo.”
In sostanza, la piena automazione e il reddito di base universale presuppongono una variazione in rapporto al lavoro. C’è bisogno di operare il cambiamento professato, già a suo tempo, da Virno in Grammatica della Moltitudine: scindere il lavoro (salariato) dal General Intellect marxiano per fondere quest’ultimo con la politica, intesa come esperienza genericamente umana di cominciare qualcosa di nuovo [viii].
E forse, il luogo di partenza migliore per questo cambiamento non è l’Occidente, ma sono tutti quei paesi che non godono dell’egemonia culturale postcoloniale, come l’India o il Venezuela, dove la pratica controegemonica dei subalterni può creare forme di resistenza nuove e inaspettate [ix].
I requisiti minimi per una piattaforma del post-lavoro si contrappongono allora a pensieri come quello dell’artista Josh Kline che, con la sua installazione Unemployment del 2016, indaga le conseguenze di una possibile nuova crisi dovuta alla crescente automazione: siamo negli anni ’30 del duemila, impiegati della classe media in posizione fetale sono letteralmente imbustati in teli di plastica trasparente, mentre un video chiaramente distopico spiega gli effetti positivi della disoccupazione.
Da un lato è il lavoro di Kline a dimostrare una certa fallacia nel sottomettersi implicitamente all’ideologia neoliberale che ricopre ormai il senso comune. Per Srnicek e Williams, la disoccupazione è un’invenzione del capitalismo, un problema non individuale, ma strutturale dell’etica del lavoro, secondo cui la realizzazione personale viene raggiunta soltanto tramite quella lavorativa. Bisognerebbe invece battersi per la piena disoccupazione, ragionando sul come il lavoro oggi sia non solo proficuo per l’utile economico aziendale, ma sia anche uno strumento di controllo sociale: si pensi a quanto sia irrazionale tenere i casellanti chiusi per otto ore al giorno in dei bunker autostradali, mentre le stesse mansioni (e con gli stessi identici introiti) potrebbero essere agilmente svolte da un distributore automatico. Liberare i casellanti e i lavoratori tutti dovrebbe diventare l’obiettivo principale di una sinistra capace di stimolare le intelligenze e l’immaginazione di tutti e di proiettare un futuro finalmente auspicabile. D’altra parte, parole spese in favore dell’emancipazione della nostra specie e di forme sintetiche di riproduzione biologica rivelano un certo superomismo. La modalità accelerazionista impiegata dagli autori per sostenere le loro tesi può facilmente prendere una pericolosa piega transumanistica se male interpretata.
A furia di navigare nel mare del postinternet, fatto di meme e musica techno sperimentale, Marco Antelmi si imbatte nelle nuove teorie accelerazioniste. Da questo momento il suo mondo si apre all’analisi dell’antropocentrismo, prestando attenzione alla questione ecologica e ai diritti delle intelligenze artificiali, declinati nella sua ricerca artistica. Laureato in Ingegneria Civile al Politecnico di Milano, frequenta il Biennio in Arti Visive e Studi Curatoriali di NABA – Nuova Accademia di Belle Arti di Milano.
Nick Srnicek è autore di Platform Capitalism (Polity, 2016) e assieme a Graham Harman e Levi Bryant ha curato nel 2011 The Speculative Turn, antologia del pensiero realista-speculativo.
Alex Williams è docente in sociologia alla City University di Londra. Insieme a Nick Srnicek, ha già scritto il Manifesto per una politica accelerazionista (2013)
[i] Il trolling è una pratica nata su Internet che ha l’intento di disturbare la normale navigazione dell’utente in vari modi, spesso utilizzati congiuntamente. Alcuni di questi consistono nel generare false informazioni e diffonderle in maniera massiva sul web, oppure nell’intromettersi continuamente nelle conversazioni presenti sui social network e sui forum. Per una migliore definizione: www.urbandictionary.com/define.php?term=Trolling
[ii] Carl Boggs ha coniato il termine prefigurative politics per indicare tutti quei movimenti volti alla distruzione delle gerarchie e interessati, invece, a modalità democratiche partecipative. Trae ispirazione dai fenomeni di protesta nati in Italia, Russia e Spagna negli anni ’70.
[iii] Nick Srnicek, Alex Williams, Inventare il futuro, Nero Editions, Roma, 2018.
[iv] Per libertà sintetica si intende un tipo di libertà che si contrappone a quella “negativa” liberale, in cui le occasioni fornite dalla democrazia rimangono soltanto formali per via della loro impossibilità pratica, data dalla precarietà economica e sociale degli individui nella società di controllo. La libertà sintetica è tale perché è costruita e non naturale, in modo da permettere a tutti di goderne realmente.
[v] Nick Srnicek, Alex Williams, Inventare il futuro, Nero Editions, Roma, 2018.
[vi] Il lungometraggio The Lobster ha vinto il premio della giuria al Festival di Cannes nel 2015. In un futuro distopico tutti gli scapoli saranno costretti a trovare un partner entro un tempo prestabilito, pena la trasformazione forzata in un animale di propria scelta. David, protagonista del film, decide di scappare dalla struttura in cui è costretto a cercare la propria anima gemella per vivere con una comunità di dissidenti nei boschi. Questi ultimi usano ascoltare musica elettronica in cuffia e ballare rigorosamente da soli.
[vii] Nick Srnicek, Alex Williams, Inventare il futuro, Nero Editions, Roma, 2018.
[viii] Paolo Virno, Grammatica della moltitudine, Derive Approdi, Roma, 2014.
[ix] Boaventura de Sousa Santos, Toward a New Legal Common Sense, Cambridge University Press, Cambridge, 2002.
di Marco Antelmi
“con lavoro intendiamo di solito la nostra occupazione – o meglio, il lavoro salariato: il tempo e lo sforzo che vendiamo a qualcun altro in cambio di un reddito. Questo tempo non è sotto il nostro controllo, ma sotto il controllo dei nostri capi, manager, datori di lavoro. Un terzo della nostra vita è speso alla loro sottomissione. Il lavoro può essere definito in opposizione al “tempo libero”, tipicamente associato al weekend e alle vacanze. Ma il tempo libero non dev’essere confuso con l’ozio, perché molte delle cose che facciamo nel tempo libero richiedono un ammontare di sforzo immenso. Imparare a suonare uno strumento musicale, leggere letteratura, socializzare con gli amici e praticare sport comportano tutti un diverso grado di sforzo, ma queste sono tutte che cose che decidiamo liberamente di fare. Una società del post-lavoro non è quindi una società dell’ozio; al contrario, è un mondo in cui le persone non sono più legate ai loro posti di lavoro, ma sono libere di creare le proprie vite”. Nick Srnicek e Alex Williams, Inventing the Future. Postcapitalism and a World Without Work, p.86.
“la nostra prima richiesta è un’economia che sia pienamente automatizzata. Usando gli ultimi avanzamenti tecnologici, questa economia punterebbe a liberare l’umanità dalla schiavitù del lavoro mentre produrrebbe simultaneamente un aumento del benessere. Senza la piena automazione, il postcapitalismo futuro deve necessariamente scegliere tra l’abbondanza a spese della libertà (ricordando la centralità del lavoro della Russia sovietica) o la libertà a spese dell’abbondanza, rappresentata dalle distopie primitiviste. Con l’automazione, per contro, le macchine possono produrre sempre di più tutti i beni e i servizi, mentre gli umani sarebbero liberi dallo sforzo di produrli”. Nick Srnicek e Alex Williams, p.109.
“dati i limiti degli approcci esistenti, affermiamo che il miglior modo è una strategia contro-egemonica. È una strategia adattabile da posizioni di debolezza. È scalabile dal locale al globale e riconosce il potere che il capitalismo ha su ogni aspetto delle nostre vite, dai nostri più intimi desideri ai nostri movimenti finanziari più astratti. Una strategia contro-egemonica include un progetto per ribaltare il senso comune neoliberale dominante e rinnovare l’immaginazione collettiva”. Nick Srnicek e Alex Williams, p.131.
Piena automazione, diminuzione delle ore lavorative, reddito di base universale, liberazione dall’etica del lavoro. Sono questi i punti fondamentali per la realizzazione di una società del post-lavoro. Quello di Nick Srnicek e Alex Williams (già autori del Manifesto per una politica accelerazionista) non è un invito, ma un imperativo: il verbo Pretendi è riportato tre volte sulla copertina del loro Inventare il futuro. Per un mondo senza lavoro, edito da Verso Books nel 2015 e tradotto in italiano da Nero Editions nel 2018 per la collana Not, rivista online incentrata su antropocene, era post-ideologica, fantascienza e arte.
Pretendi la piena automazione. Pretendi il reddito universale. Pretendi il futuro. Le richieste inderogabili degli autori – declinate secondo le possibilità emancipative (questioni di genere) e di lotta politica (reddito di base universale) – appaiono quasi una presa in giro, un trolling irritante e provocatorio [i]. In realtà, Srnicek e Williams non scherzano affatto quando affermano che il cambiamento va operato, prima ancora che su base economica, su una base politica e culturale con la diffusione di slogan, cori e meme. È l’utopia l’ingrediente sostanziale della loro visione: l’impulso che muove la prefigurative politics di Carl Boggs [ii]. L’utopia in questione è quella dell’accelerazionismo di sinistra, che prende a piene mani dalla letteratura cyborg di harawayana memoria.
Il problema sorge, però, nel momento in cui è la folk politics a limitare l’utopia. Questo tipo di politica del popolo, criticano gli autori, mette in atto tattiche volte all’immediatezza spaziale, temporale e concettuale, invece di pensare strategie che possano essere realmente efficaci sul lungo periodo nella lotta al capitalismo neoliberale. Movimenti apparentemente diversi, come Occupy Wall Street o il “move your money” (in cui i clienti delle banche spostano i loro soldi in banche più piccole e presumibilmente più virtuose), sono in realtà accomunati dal difetto di accontentarsi di agire sulla sfera locale e non si pongono la domanda sul come poter espandere e scalare a livello globale gli effetti ottenuti. Il movimento per lo slow food, nato in Italia negli anni ’80, si è dimostrato addirittura problematico in merito alla questione gender, “dato che viviamo in società patriarcali dove la maggior parte della preparazione del cibo è ancora presunta essere compito di mogli e madri. Anche se il ‘fast food’ o i pranzi pronti possono non essere salutari, la loro popolarità permette alle donne di liberarsi [iii].” La folk politics è necessaria, ma insufficiente.
“È sempre stato problematico parlare della liberazione delle donne perché ciò presuppone di sapere cosa siano le donne. Se, sia le donne che gli uomini restano organizzati nelle forme attuali, allora non vogliono liberarsi, se capite ciò che intendo… Non è una questione di liberazione quanto una questione di evoluzione – o ingegnerizzazione. È in corso una graduale re-ingegnerizzazione di ciò che significa essere donna e non sappiamo cosa sia. Dobbiamo scoprirlo” [iv]. Già in questa citazione di Sadie Plant sulla problematicità della liberazione delle donne, Srnicek e Williams rivelano l’intento di scardinare l’antropocentrismo debole. Il reddito di base universale servirebbe anche a questo – garantire l’indipendenza finanziaria necessaria per ottenere la liberazione delle donne. “Il progetto del post-lavoro è anche un progetto intrinsecamente femminista, che riconosce il lavoro invisibile eseguito prevalentemente dalle donne, così come la femminilizzazione del mercato del lavoro operaio, e la necessità di fornire indipendenza finanziaria per la piena liberazione delle donne”[v]. E il percorso per questa emancipazione può partire anche da fenomeni musicali, basti pensare al collettivo Discwoman. Residente a New York, composto da DJ techno femministe, la piattaforma fondata da Hutchinson, Burgess-Olson e McCharen-Tran è l’incarnazione inconsapevole dell’utopia del post-lavoro, la liberazione dai dogmi della musica elettronica riportati nel The Lobster di Yorgos Lanthimos [vi].
Se nella prima parte del libro Srnicek e Williams raccontano la storia vincente della costruzione dell’egemonia neoliberale e del paradigma capitalista, con la nascita della Mont Pelerin Society fino alla creazione dell’inglese Institute of Economic Affairs e del Manhattan Institute for Policy Research, nei restanti capitoli si concentrano sulla formulazione teorica di una contro-egemonia, che non sia più basata sulla competitività dei soggetti nella produzione, e non sia più causa di tutte quelle psicopatologie tipiche della società contemporanea. Una nuova egemonia positiva che non sia però neanche fondata sul concetto di resistenza intesa come “resistenza contro un’altra forza attiva. In altre parole, [la resistenza] è un gesto difensivo e reattivo, più che un movimento attivo. Non resistiamo per un mondo che va trasformato; resistiamo in nome di un vecchio mondo” [vii].
Quale dev’essere quindi la parola d’ordine per combattere il capitalismo? Alternativa.
La questione che viene posta più spesso durante le presentazioni italiane di Inventare il futuro a Corrado Melluso, coordinatore editoriale di Nero, è: «Cosa fare in maniera pratica nell’immediato per applicare le teorie scritte nel testo?». Ebbene, questa domanda rivela il mordente delle tesi di Srnicek e Williams. Indica come i due autori abbiano centrato il punto della discussione, per due motivi. Il primo risiede nel fatto stesso che i lettori si pongano la questione: il dato della volontà di conoscere la tattica da utilizzare denota un interesse verso le teorie descritte. Il libro si presta bene come catalizzatore di un movimento sociale e intellettuale che stravolga gli automatismi della sinistra degli ultimi trent’anni e getti le basi per la costruzione di un futuro davvero auspicabile. E d’altro canto sono gli autori stessi a indicare come l’ottenimento del Reddito Universale di Base oltre a essere anche una necessità storica – lo stesso Marx nei Grundrisse spiegava come la più grande tragedia per il Capitale avverrà quando, attraverso lo sviluppo tecnico, diventerà incapace di estrarre plusvalore dal lavoro umano – sarà soltanto il punto di partenza per la lotta per l’emancipazione umana. La seconda istanza riguarda invece la storia della politica affrontata nei primi capitoli del libro: la richiesta di una pratica immediatamente efficace funziona da prova del nove per la critica che gli autori muovono alla cosiddetta folk politics.
Ancora secondo Melluso, “la sinistra deve recuperare l’ambizione verso il futuro e verso il progresso per costruire il Nuovo, tralasciando ogni nostalgia e superando gli scogli del suo pensiero più classico. Il primo passo è quello di considerare la modernità per quel che è: un mondo in cui il lavoro serve sempre meno, e in cui, di conseguenza, le aziende di maggior successo – pensiamo a Apple, Google o Facebook – impiegano molti meno lavoratori rispetto ai loro corrispettivi di trenta e più anni fa: General Motors, Bayer, o qualsiasi altra industria classica. Questo comporta molte cose, a cascata, per la sinistra classica. In primis smetterla di sovrapporre fino a confonderli il concetto di «lavoro» da quello di «lavoro salariato». Perpetrando questo errore metodologico, sono state interiorizzate le modalità dello sfruttamento dei lavoratori, fino a non riuscire più a concepire una loro vera e propria liberazione, tanto che di fronte a nuovi fenomeni come i lavori della gig economy entra in contraddizione, nel momento in cui la soluzione all’enorme problema contrattuale dei fattorini di Deliveroo non potrà senz’altro essere risolto nei termini classici, ovvero tramite la loro regolarizzazione tramite un contratto a tempo indeterminato. Non lo vorrebbero per primi i fattorini stessi”.
Allora Che fare? e quali le possibili conseguenze della visione di Srnicek e Williams? “La loro proposta – continua Melluso – è di formare una sinistra pro-tecnologica, populista e massimalista, capace di tornare a stimolare l’immaginazione di tutti e a costruire, conseguentemente, un futuro migliore. La loro è una singola proposta, ma dalle ricadute enormi. L’imposizione di un Reddito Universale di Base, che a prescindere dal ceto o dalla dislocazione geografica, dia a tutti il necessario per sopravvivere e qualcosa in più, scardinerebbe la società per come la conosciamo (e subiamo) oggi. Si pensi agli stessi fattorini di Deliveroo: avendo già di che campare, non accetteranno senz’altro di fare consegne a cottimo e per pochi spiccioli, e questa semplice proposta, se messa in atto, sarà quindi capace di innovare le relazioni sindacali molto più efficacemente di quanto abbia fatto, appunto, la sinistra negli ultimi trent’anni. Ma, ancor di più, l’attuazione della proposta di Srnicek e Williams andrebbe a mutare anche i rapporti di forza di genere – si pensi a quante coppie non si separano per motivi economici, con esiti a volte molto tragici – e influire sulle dinamiche migratorie. In più, la sua messa in atto comporterebbe il ripensamento della divisione in Stati, dato che per determinare il gettito fiscale necessario servirebbe un organismo sovranazionale atto alla redistribuzione della ricchezza, e, insomma, finirebbe per stravolgere il mondo per come lo conosciamo.”
In sostanza, la piena automazione e il reddito di base universale presuppongono una variazione in rapporto al lavoro. C’è bisogno di operare il cambiamento professato, già a suo tempo, da Virno in Grammatica della Moltitudine: scindere il lavoro (salariato) dal General Intellect marxiano per fondere quest’ultimo con la politica, intesa come esperienza genericamente umana di cominciare qualcosa di nuovo [viii].
E forse, il luogo di partenza migliore per questo cambiamento non è l’Occidente, ma sono tutti quei paesi che non godono dell’egemonia culturale postcoloniale, come l’India o il Venezuela, dove la pratica controegemonica dei subalterni può creare forme di resistenza nuove e inaspettate [ix].
I requisiti minimi per una piattaforma del post-lavoro si contrappongono allora a pensieri come quello dell’artista Josh Kline che, con la sua installazione Unemployment del 2016, indaga le conseguenze di una possibile nuova crisi dovuta alla crescente automazione: siamo negli anni ’30 del duemila, impiegati della classe media in posizione fetale sono letteralmente imbustati in teli di plastica trasparente, mentre un video chiaramente distopico spiega gli effetti positivi della disoccupazione.
Da un lato è il lavoro di Kline a dimostrare una certa fallacia nel sottomettersi implicitamente all’ideologia neoliberale che ricopre ormai il senso comune. Per Srnicek e Williams, la disoccupazione è un’invenzione del capitalismo, un problema non individuale, ma strutturale dell’etica del lavoro, secondo cui la realizzazione personale viene raggiunta soltanto tramite quella lavorativa. Bisognerebbe invece battersi per la piena disoccupazione, ragionando sul come il lavoro oggi sia non solo proficuo per l’utile economico aziendale, ma sia anche uno strumento di controllo sociale: si pensi a quanto sia irrazionale tenere i casellanti chiusi per otto ore al giorno in dei bunker autostradali, mentre le stesse mansioni (e con gli stessi identici introiti) potrebbero essere agilmente svolte da un distributore automatico. Liberare i casellanti e i lavoratori tutti dovrebbe diventare l’obiettivo principale di una sinistra capace di stimolare le intelligenze e l’immaginazione di tutti e di proiettare un futuro finalmente auspicabile. D’altra parte, parole spese in favore dell’emancipazione della nostra specie e di forme sintetiche di riproduzione biologica rivelano un certo superomismo. La modalità accelerazionista impiegata dagli autori per sostenere le loro tesi può facilmente prendere una pericolosa piega transumanistica se male interpretata.
A furia di navigare nel mare del postinternet, fatto di meme e musica techno sperimentale, Marco Antelmi si imbatte nelle nuove teorie accelerazioniste. Da questo momento il suo mondo si apre all’analisi dell’antropocentrismo, prestando attenzione alla questione ecologica e ai diritti delle intelligenze artificiali, declinati nella sua ricerca artistica. Laureato in Ingegneria Civile al Politecnico di Milano, frequenta il Biennio in Arti Visive e Studi Curatoriali di NABA – Nuova Accademia di Belle Arti di Milano.
Nick Srnicek è autore di Platform Capitalism (Polity, 2016) e assieme a Graham Harman e Levi Bryant ha curato nel 2011 The Speculative Turn, antologia del pensiero realista-speculativo.
Alex Williams è docente in sociologia alla City University di Londra. Insieme a Nick Srnicek, ha già scritto il Manifesto per una politica accelerazionista (2013)
[i] Il trolling è una pratica nata su Internet che ha l’intento di disturbare la normale navigazione dell’utente in vari modi, spesso utilizzati congiuntamente. Alcuni di questi consistono nel generare false informazioni e diffonderle in maniera massiva sul web, oppure nell’intromettersi continuamente nelle conversazioni presenti sui social network e sui forum. Per una migliore definizione: www.urbandictionary.com/define.php?term=Trolling
[ii] Carl Boggs ha coniato il termine prefigurative politics per indicare tutti quei movimenti volti alla distruzione delle gerarchie e interessati, invece, a modalità democratiche partecipative. Trae ispirazione dai fenomeni di protesta nati in Italia, Russia e Spagna negli anni ’70.
[iii] Nick Srnicek, Alex Williams, Inventare il futuro, Nero Editions, Roma, 2018.
[iv] Per libertà sintetica si intende un tipo di libertà che si contrappone a quella “negativa” liberale, in cui le occasioni fornite dalla democrazia rimangono soltanto formali per via della loro impossibilità pratica, data dalla precarietà economica e sociale degli individui nella società di controllo. La libertà sintetica è tale perché è costruita e non naturale, in modo da permettere a tutti di goderne realmente.
[v] Nick Srnicek, Alex Williams, Inventare il futuro, Nero Editions, Roma, 2018.
[vi] Il lungometraggio The Lobster ha vinto il premio della giuria al Festival di Cannes nel 2015. In un futuro distopico tutti gli scapoli saranno costretti a trovare un partner entro un tempo prestabilito, pena la trasformazione forzata in un animale di propria scelta. David, protagonista del film, decide di scappare dalla struttura in cui è costretto a cercare la propria anima gemella per vivere con una comunità di dissidenti nei boschi. Questi ultimi usano ascoltare musica elettronica in cuffia e ballare rigorosamente da soli.
[vii] Nick Srnicek, Alex Williams, Inventare il futuro, Nero Editions, Roma, 2018.
[viii] Paolo Virno, Grammatica della moltitudine, Derive Approdi, Roma, 2014.
[ix] Boaventura de Sousa Santos, Toward a New Legal Common Sense, Cambridge University Press, Cambridge, 2002.