Oltre il disimpegno. La produzione postmoderna de Le Nemesiache.

di Sara Guidi.

«Il transfemminismo delle Nemesiache è un concetto che apre uno spazio inedito di disidentificazione e autorizza nuovi processi di soggettivazione minoritaria. Transfemminismo è sinonimo di trasformazione, movimento, pulsione alla ricerca, trasversalità, sradicamento, contaminazione, appartenenze mobili. È la costruzione di un nuovo paradigma in controtendenza rispetto al pensiero femminista dominante in Italia, e forse è proprio per questo che è stato taciuto e ignorato.

[…]

Lo spostamento politico operato da Mangiacapre è ancor più significativo sul piano delle pratiche femministe: la scrittura politica e teorica colta non è più il mezzo privilegiato per dar voce all’esperienza femminista, ma lascia spazio al teatro, al cinema, alla performance, all’azione diretta. Alla base di questa visione c’è un ripensamento radicale della relazione tra arte e politica come testimoniano le parole di Mangiacapre durante un’intervista inedita sul ’68: “Le altre dicevano che tutto era la politica noi dicevamo che tutto era arte. Che la politica stessa doveva diventare arte”. La posta in gioco è dunque far uscire il femminismo dalla torre d’avorio del pensiero, e farlo diventare uno strumento di intervento sociale in contesti marginali». Rachele Borghi, Decolonialità e privilegio. Pratiche Femministe e critica al sistema mondo, 2020.

Le Nemesiache, Festa della poesia alla Gaiola, 11 Giugno 1978 © Archivio Le Nemesiache.
Le Nemesiache, Festa della poesia alla Gaiola, 11 Giugno 1978 © Archivio Le Nemesiache.
Le Nemesiache, Festa della poesia alla Gaiola, 11 Giugno 1978 © Archivio Le Nemesiache.
Le Nemesiache, Festa della poesia alla Gaiola, 11 Giugno 1978 © Archivio Le Nemesiache.

Illusione craxiana: emancipazione-mercificazione del corpo femminile

Gli anni ‘80 italiani, pur aprendosi nel cuore degli anni di piombo, sono oggi restituiti alla memoria collettiva come momento di risolutivo assestamento rispetto al fermento del periodo precedente, la cui energia lentamente viene sedata da un diffuso stile di vita medio-borghese. A queste date, l’Italia vive un momento di esaltazione collettiva, che concorre a occultare crescenti problemi politici, sociali ed economici [i]; protagonista di questo clima è la linea politica individualista e carismatica di Bettino Craxi [ii]. È in questo momento che si può dichiarare completamente compiuto quel processo di totale stravolgimento dei modi di vivere e degli stili di vita, quel passaggio da società pre-industrializzata a industrializzata, definito “mutamento antropologico” da Pier Paolo Pasolini. [iii]

Per la prima volta dalla nascita della Repubblica, la forza egemonica della Democrazia Cristiana, vacillante già dagli anni ’70, vede la perdita della presidenza del consiglio nel 1981 [iv]. I segnali di insofferenza del sentire comune rispetto al bigottismo e all’anacronismo del partito si avvertono soprattutto sul piano sociale. A queste date cambia radicalmente anche il modo di percepire la sfera della sessualità, che valica i confini del privato per esplicitarsi nello spazio pubblico. Sono numerose le testimonianze del nuovo sentire: nel 1975 viene lanciato l’esperimento radiofonico Radio Luna, curato da Ilona Staller, in onda ogni giorno fra mezzanotte e le due del mattino [v].

Lina Mangiacapre, Convegno per il dopoterremoto 1981. Una città a Dimensione Donna, 1980-82 © Archivio Le Nemesiache.

Fra il 1978 e il 1980, molte sale cinematografiche italiane iniziano a ospitare film pornografici e per le strade delle città si diffondono le affiches dei rispettivi titoli, le cui grafiche trasmettono corpi femminili in pose osé e riferimenti esplicitamente erotici [iv]. Il canale televisivo privato Fininvest, dal 1983, trasmette in prima serata il programma Drive-In, a cura di Antonio Ricci, in cui giovani ragazze accendono le fantasie sessuali del pubblico maschile [vii]. Se nell’autunno 1969 l’ombelico scoperto di Raffaella Carrà aveva sconvolto la società e la politica italiana [viii], negli anni ‘80 Drive-In raggiunge un successo di audience tale da dover raddoppiare la propria durata.

È quindi allo scoccare degli anni ’80 che nasce “la ragazza-tipo della tv italiana, un modello riproposto con martellante coerenza fino a diventare aspirazione di vita,” [ix] rendendoci a oggi eloquente il tipo di comunicazione attuato rispetto all’identità femminile, al ruolo della donna nel contesto sociale, al corpo-donna sessualizzato e assoggettato al colonizzante e rapace sguardo maschile.

Raduno femminista a Torretta di Crucoli, 1973 © Archivio Le Nemesiache.

Paradossalmente, a queste date molte delle numerose spinte rivoluzionarie femministe italiane, ancora oggi non integralmente restituite dalla narrazione ufficiale, hanno ceduto a una pausa silenziosa, probabilmente per stanchezza o in parte per illusorio senso di emancipazione, in un mondo in cui i confini fra libertà e libertinismo diventano fumosi. Le voci rimaste attive hanno però intensificato il proprio impegno, talvolta potenziando i rapporti con il territorio di appartenenza e con gli altri gruppi femministi sul piano internazionale.

Date queste premesse, l’esperienza del gruppo femminista Le Nemesiache, a Napoli, acquisisce quanto più valore, in quanto fin dal 1970 (anno della formazione del gruppo e della stesura del primo manifesto), ha intrecciato l’impegno sociale e politico a una ricerca artistica e creativa, adottando un approccio performativo multidisciplinare e interdisciplinare e avanzando ricerche e pratiche che hanno anticipato quanto proposto oggi sulla scena artistica internazionale.

Convegno sul Salario alle casalinghe, Libreria Incontro, 1973 © Archivio Le Nemesiache.
Convegno sul Salario alle casalinghe, Libreria Incontro, 1973 © Archivio Le Nemesiache.

Solo recentemente, gli studi storico-critici si stanno aprendo a una visione più caleidoscopica rispetto a quanto prodotto in Italia negli anni ’80, a lungo ricondotto esclusivamente alle esperienze della Transavanguardia o dei Nuovi Nuovi, interpretate secondo un punto di vista privilegiato, ostentatamente neutrale e perlopiù maschile. Cambiando l’approccio critico, da purista a multidisciplinare, si scopre oggi uno scenario molto più vario e politicamente impegnato a caratterizzare questo periodo, che ancora necessita approfondimenti ulteriori, in grado di restituire l’atmosfera fervente che ha contrassegnato ricerche spesso disinteressate a essere definite secondo i parametri dell’arte contemporanea [x].

Per quanto concerne la produzione napoletana di queste date, la critica si è sempre concentrata sull’attività transavanguardista del territorio e sugli influssi prodotti dalle numerose personalità di fama internazionale sugli artisti presenti nel sud Italia; è urgente oggi mettere in discussione l’approccio purista e porre le basi per una più interessante riflessione sulle proposte nel corso degli anni ’80, condotte in circoli e contesti alternativi a quelli ufficiali e istituzionali [xi]. È in questo spazio, in questa apertura, che prende forma la ricerca artistica e femminista de Le Nemesiache.

Le Nemesiache © Le Nemesiache e Fondazione Elvira Badaracco, Milano.

Le Nemesiache

Per la prima volta, nel ’68, le donne partecipano ai movimenti di lotta accompagnate dai fratelli e contestano le costruzioni sociali di coppia e di famiglia. È in tale occasione che, come afferma Lina Mangiacapre, queste si incontrano fuori dai confini famigliari e scoprono che anche il compagno (sia in senso affettivo che politico) è potenzialmente un nemico [xii]. I movimenti femministi, pur nella loro disomogeneità, costruiscono una pars costruens rispetto all’insieme delle battaglie volte a scardinare il sistema socio-economico-politico esistente, rifiutandosi di abbracciare il ricorso alla violenza [xiii]. Con l’aprirsi degli anni ’70, cresce la consapevolezza che anche le filosofie e le politiche filo-marxiste da sempre sopprimono e oscurano l’identità femminile dalla narrazione ufficiale [xiv]. Conseguenza naturale per Lina Mangiacapre, assieme a un gruppo di attiviste di Napoli, è la pubblicazione del Manifesto delle Nemesiache nel 1970 [xv], con cui si sancisce anche la nascita del gruppo artistico. Il nome Nemesiache riconduce al mito di Nemesi, la divinità greca che opera a sostegno delle persone che subiscono violenze impunite, come le donne e, più in generale, gli oppressi. Nel corso degli anni seguiranno altri manifesti, tra cui Manifesto per la riappropriazione della nostra creatività (8 marzo 1977) [xvi].

Nello scritto del 1970, sono evidenti gli intrecci con quanto espresso in Sputiamo su Hegel e La donna clitoridea e la donna vaginale di Carla Lonzi, ma anche con il Manifesto di Rivolta Femminile, stilati nello stesso periodo. I rapporti fra le Nemesiache e le altre protagoniste dei movimenti femministi sono fitti, non solo all’interno del contesto italiano (Roma, Milano e Firenze, sicuramente le città più attive a queste date), ma anche nei contesti europei (Francia e Germania), in Nordafrica e nel Medio Oriente [xvii].

Le Nemesiache, documenti ciclostilati e manifesti © Le Nemesiache e Fondazione Elvira Badaracco, Milano.

Le intenzioni del Manifesto delle Nemesiache verranno energicamente rivendicate durante tutto il periodo di azione; attività che, a seguito della morte di Lina Mangiacapre (2002) e della sorella Teresa Mangiacapra (2018), si avvia verso una più sporadica sperimentazione artistica, a favore di una storicizzazione di quanto espresso negli anni di intensa produzione.

Le Nemesiache si impegnano in una pratica di politica artistica volta alla realizzazione della creatività femminile, disinteressata a qualunque espressione di professionismo e al confronto con logiche di potere interne ai mondi ufficiali dell’arte. Il percorso delle Nemesiache è segnato dalla ricerca di radici autonome per la creazione di una “nuova metafisica”, attraverso l’elaborazione di una cultura propria in rapporto dialettico con se stesse e le altre donne [xviii]. Obiettivo delle Nemesiache è il tentativo di creare un progetto di esistenza [xix] che rigetti qualunque ideologia e che si ponga come valida alternativa alla logica occidentale, ritenuta fallimentare per la sua incapacità di esplorazione della complessità del reale, implicitamente maschilista, opprimente rispetto al corpo, e, nel XX secolo, sfociata in uno schizofrenico capitalismo. In risposta a ciò, le Nemesiache propongono una sperimentazione profondamente poetica e liberatoria, espressa in una pratica multidisciplinare, che incrocia espressione letteraria, cinematografia, attività performativa, pittorica, scultorea fino alla fumettistica.

Raduno femminista a Paestum, 1976 © Archivio Le Nemesiache.
Raduno femminista a Paestum, 1976 © Archivio Le Nemesiache.
Raduno femminista a Paestum, 1976 © Archivio Le Nemesiache.

La volontà di fuggire da ogni logica di schematismo e di determinatezza, ci costringe oggi a riflettere rispetto alla definizione de Le Nemesiache come gruppo, termine adottato dalle stesse; innanzitutto, risulta difficile definire ciò che nasce per eludere ogni logico concetto di limite; in secondo luogo, l’utilizzo del termine gruppo in ambito artistico corre forse il rischio di essere ricondotto alle esperienze artistiche degli anni ’60. La ricerca condotta dalle Nemesiache non è solo speculazione filosofica o artistica, ma radicalmente esistenziale. Il termine collettivo, rifiutato dalle stesse Nemesiache, è da escludersi a causa di una connotazione esplicitamente politica. La volontà di giocare e terremotare ogni tentativo di definizione è ricorrente negli scritti delle stesse:

Venite, venite donne al gruppo delle Nemesiache al gruppo che non è gruppo al gruppo di Niobe e Dafne che non sono anzi sono Teresa Anna, ma cosa dici io voglio parlare con te non con Nemesi te che sei Lina ma invece non sono fuori dentro il gruppo che risata questa parola è anche brutta e venite che il gioco continua. […] Il famigerato gruppo gira, gira, temetelo ma chi è il gruppo, il gruppo è lei, ma c’è il gruppo ma si sono tante! quante? non si sa, come non si sa si potrà sapere ma non parlano, ecc… tutti i segreti potrete conoscere del gruppo che non parla, venite donne al cabaret femminista, al cabaret delle strambe

pazze

matte

gruppo o non gruppo delle Nemesiache [xx].

Fluidità di confini, in quanto non sono previste regole specifiche per accedere o lasciare la realtà nemesiaca, ma solo creare una condizione di partecipazione, dialogo e cura reciproca. La fluidità di pensiero e di approcci domina integralmente la pratica multidisciplinare delle Nemesiache già dagli anni ’70, in chiaro dialogo (ma anche anticipo) con le proposte artistiche postmoderne degli anni ’80. Infine, la realtà nemesiaca conduce una politica inclusiva, non facendo distinzioni rispetto al background delle singole componenti.

Raduno femminista di Varigotti, Aprile 1974 © Archivio Le Nemesiache.
Raduno femminista di Varigotti, Aprile 1974 © Archivio Le Nemesiache.

Per tutto il percorso artistico, il gruppo si serve degli elementi del mito e del recupero del passato. Quest’ultimo, differentemente da quanto viene maturato dal 1980 con la Transvanguardia, non viene recuperato dalle Nemesiache con intenti elitari, aulici o capziosi, ma per la sua forza vitale e rivoluzionaria rispetto a un presente postmoderno senza radici:

Pazzia, poesia, porta, porta che non si chiude mai, pozzo: pozzo che fino in fondo scende sempre, sempre. Poesia, pazzia, passato, ricordi senza tempo: non ho amputato per fare spazio a un futuro, che senza, è tempo che non mi appartiene. Occhi, occhi di donne e gesti, sorrisi, carezze, insieme vivemmo […]. Tempo, passato, porta, porta che non chiudo. Insieme valicammo i limiti, limiti senza rassegnazione. Sola continuo a portare passato, senza gettare via storie che non sono Storia [xxi].  Così come nella poetica di Pasolini, a cui Mangiacapre dedica anche un articolo su “Mani-festa” nel 1988 [xxii] e un olio su tela nel 1998 [xxiii], l’elemento del passato è recuperato in nome della sua scandalosa forza rivoluzionaria, a cui attingere per la costruzione di un futuro alternativo a quello consumistico [xxiv].

Transfemminismo, “E in mostra – come le Nemesiache affermano – è il Mostro; scatena paura e fuga; non devi guardare. Perdete ogni speranza voi che entrate!” © Archivio Le Nemesiache.
Transfemminismo, “E in mostra – come le Nemesiache affermano – è il Mostro; scatena paura e fuga; non devi guardare. Perdete ogni speranza voi che entrate!” © Archivio Le Nemesiache.

Simile l’atteggiamento verso il mito, fonte da cui ricavare una forte identità, recuperato per la sua potenza creatrice: un principio di realtà in cui il maschile non è ancora la prevalente misura del vivere. La nascita del pensiero logico, storicamente successiva al mito, su cui si fonda tutta la filosofia occidentale, serve a controllare e monitorare la complessità del reale, eludendo dalla narrazione ufficiale tutto ciò che sfugge al proprio controllo. Vittime di questo sono soprattutto il corpo e la sessualità, specialmente se femminili. Il recupero dunque del mito, che vede al centro della riflessione l’elemento del corpo, permette a Mangiacapre di condurre una ricerca verso una sessualità in armonia con la natura della donna e di proporre un libero erotismo [xxv]. Se, come già detto, la logica occidentale si rivela nemica per l’emancipazione femminile, è con il recupero del pre-logos, attraverso la sperimentazione dei linguaggi contemporanei, che si può tentare la riscrittura immaginativa di nuove realtà che pongano l’elemento emotivo come priorità.

Transfemminismo, 8 marzo 1982, Castel dell’Ovo, Napoli © Archivio Le Nemesiache.
Transfemminismo, 8 marzo 1982, Castel dell’Ovo, Napoli © Archivio Le Nemesiache.

Date queste premesse, il linguaggio cinematografico si rivela il medium più congeniale, in quanto non richiede l’astrattezza di concetto pretesa dalla scrittura o dalla pittura, e permette ai corpi di apparire senza mediazioni di linguaggio [xxvi]. Ricercando l’essenza e non il manieristico capriccio, sono spesso le stesse Nemesiache a divenire corpi performativi; come nel cinema pasoliniano, la cultura più alta è ricercata in figure non professioniste: «Il mio cinema piace moltissimo al popolo, alla gente semplice: io parlo un linguaggio che non parla tanto alla testa quanto al ventre. […] Io voglio fare cinema sulla vita» [xvii].

Lina Mangiacapre © Archivio Le Nemesiache.

Ne emerge un rifiuto totale verso il cinema professionista, in quanto prodotto della cultura maschilista e rappresentante la finzione:

Nel mio cinema, difficilmente comprensibile a un universo maschile, non uso il corpo ma mi lascio prendere il corpo che si apre e mi mostra i segni, inevitabilmente ferite, a volte sorrisi e la storia è il pretesto e lo spazio è estensione di quella centralità: l’essere donna creò il mondo. […] Il senso dell’attrice cambia: non è più strumento per l’idea, ma esprime di per sé la propria dimensione [xviii]. 

Le riflessioni sul cinema da parte dell’artista, possono essere interpretate come una rilettura di Dialoghi sul cinematografo in chiave femminista. Inoltre, sia Mangiacapre che Jean Cocteau iniziano la propria pratica artistica servendosi della poesia, per approcciarsi poi al medium cinematografico, unico nella sua potenzialità non di raccontare, ma di mostrare [xix] la realtà soggettiva dell’artista [xxx].

Quanto espresso sul cinema si può affermare anche in riferimento alle attività performative delle Nemesiache, a cui però si aggiungono l’influenza del pubblico sulla riuscita di quanto espresso [xxxi] e l’aspetto dell’impegno politico e sociale sul territorio, di cui si tratterà in seguito.

Rassegna del Cinema Femminista organizzato da Le Nemesiache, Sorrento 1984 © Archivio Le Nemesiache.

Parallelamente alle riflessioni di Lina Mangiacapre sul concetto di transfemminismo (che erroneamente la narrazione ufficiale ci restituisce come termine coniato in USA negli anni ’90), oltreoceano viene stilato il Manifesto Cyborg da Donna J. Haraway. Confrontando le poetiche e le intenzioni, si può ben notare come le due intellettuali giungano a tassonomie simili, ma partano da basi filosofiche e attingano a repertori completamente differenti. Entrambe elaborano teorie di strategie oppositive alle basi della filosofia occidentale; se Haraway però guarda alle emergenti tecnologie e si spinge verso l’immaginazione di un mondo post-genere [xxxii], Mangiacapre, non rinnegando il concetto di genere, attinge al passato ispirandosi al contesto napoletano, città capace di reinventarsi continuamente attingendo al proprio repertorio.

“Arte è politica, vuol dire un diverso modo di fare politica” [xxxiii]

In un’ottica di scardinamento delle categorie linguistiche e di rifiuto del professionismo, la produzione nemesiaca degli anni ’80, in linea con le ricerche postmoderne estere, sperimenta e amalgama diversi media, caratterizzandosi per un approccio interdisciplinare e multidisciplinare, delineatosi già nelle pratiche della fine degli anni ’70.

Rassegna del Cinema Femminista organizzato da Le Nemesiache © Fondazione Elvira Badaracco, Milano.

Al 1976 si datano la performance Antistreap, la partecipazione al Tribunale Internazionale delle donne contro i crimini degli uomini a Bruxelles, l’irruzione performativa a una mostra di Jannis Kounellis a Villa Pignatelli (Napoli), l’occupazione della Palazzina di Salvator Rosa (Napoli) per richiederne un utilizzo creativo e l’organizzazione della Prima rassegna di Cinema Femminista di Sorrento. A Sorrento le Nemesiache affermano la presenza dell’espressione della donna nel campo del cinema e sfidano i contrasti di diversa valutazione tra professionismo e non professionismo [xxxiv]. Oltre alla novità assoluta nel contesto europeo e alla progettualità alla base di questo evento (riscontrabile nella riproposta con cadenza annuale), già nella prima edizione vi è un’apertura verso le produzioni femministe del Medio Oriente e del Nordafrica, verso cui, a queste date, i femminismi occidentali si approcciano con un atteggiamento colonizzante.

Durante gli anni ’70, Mangiacapre, come la maggior parte delle registe italiane ed europee del periodo, lavora con il formato cinematografico super/8 [xxxv]. Sarà poi nel decennio successivo che, con Didone non è morta, Mangiacapre sperimenterà la 35mm, tecnica ancora di “monopolio” maschile nell’ambito cinematografico. Malgrado vi sia una sperimentazione sul cinema già dalla prima metà degli anni ’70, in questo periodo sono soprattutto la scrittura, la pittura e il mondo del teatro a dare forma al pensiero di Mangiacapre.

Rassegna del Cinema Femminista organizzato da Le Nemesiache a Sorrento © Archivio Le Nemesiache.
Rassegna Filangeri, Napoli © Archivio Le Nemesiache.

Nonostante Antistreap (1976) rifletta su corpo, ritualità e gioco, temi molto cari agli artisti negli anni ’70 sul piano internazionale, la performance viene filmata e successivamente tradotta in film. In un ordinario momento di streaptease il corpo femminile è ridotto a oggetto sessualizzato su cui si proiettano le violenze e le fantasie erotiche dello sguardo del pubblico. L’identità del corpo, quale fondamentale componente del sè, viene recuperata dalla performance delle Nemesiache, azione in cui le giovani performer, a turni, gioiosamente e ludicamente si svestono dei propri indumenti davanti al pubblico, superando le dinamiche di sessualizzazione tipiche dello streapteasing. Ogni performer veste abiti differenti, testimonianza di un potenziale ruolo sociale dell’universo femminile. Attraverso queste pratiche, l’elemento del corpo non solo è protagonista assoluto, ma territorio di sperimentazione di identità mutevoli. Mangiacapre, rispetto a questa esperienza, nel 1980 afferma: «Mostrare un altro volto è come mostrare l’irreale, il fantastico, ad esempio, in Antistreap l’erotismo è per noi il gioco; solo conquistando il gioco, si può raggiungere un’altra sessualità: la propria» [xxxvi].

Durante l’atto performativo, Mangiacapre suona il pianoforte, su cui è posto come spartito il libro Cicli Lunari, prodotto dalla stessa nel 1975 a Roma. Nella versione riconsegnataci dalla cinepresa, l’attività performativa si intreccia alle musiche di Jean Michel Jane, Patti Bravo (Pensiero Stupendo), canzoni tradizionali napoletane (La Cammesella) e melodie iraniane, creando un pastiche in cui elementi del passato e del presente concorrono a restituire al corpo femminile un senso ludico-liberatorio.


Le Nemesiache, Eliogabalo 1982 © Archivio Le Nemesiache.

Fra il 1977 e il 1979, le Nemesiache si impegnano in un percorso artistico-laboratoriale, che vede come protagoniste le operatrici e le donne dell’ospedale psichiatrico Frullone (Napoli), a cui seguono il video Riprendiamoci il corpo mare, la performance Siamo tutte prigioniere politiche a Teatro Spazio Libero (riproposta in forma ridotta a Mestre e a Palermo) [xxxvii] e il film Follia come poesia, acquistato dalla RAI nel 1980.

Essendo centrale l’elemento della follia per tutto il percorso artistico di Mangiacapre, questa esperienza sarà frutto di numerose riflessioni anche durante gli anni ’80 e ’90. Per comprendere questo percorso, prodotto con la collaborazione del direttore dell’ospedale, Sergio Piro (uno dei padri dell’antipsichiatria) [xxxviii], è importante menzionare quanto espresso da Mangiacapre rispetto a Follia come poesia:

Ho deciso in questo film di unire la nostra ricerca di libertà, di pazzia, di affermazione di follia come creatività e di portarla a loro, le «devianti», le «escluse», a coloro che dovrebbero essere inserite per essere accettate. Alle donne degli infiniti segni non significanti per il potere che continua solo e sempre a decifrarle come realtà inesistenti o tuttalpiù «poverematte» [xxxix]. 

Le Nemesiache, Siamo tutte prigioniere politiche, 1979 © Archivio Le Nemesiache.
Le Nemesiache, Siamo tutte prigioniere politiche, 1979 © Archivio Le Nemesiache.

Come spesso avviene nella produzione nemesiaca, in questo contesto si apre uno spazio relazionale fra corpo femminile e il paesaggio marino: le gesta dei corpi femminili dialogano con la fluidità del mare. Per la prima volta, le donne dell’ospedale psichiatrico entrano in contatto con il mare di Napoli, il cui incontro viene facilitato dalla ritualità delle musiche e della danza. Metamorfosi, mutamento, complessità, sono elementi che distinguono le dimensioni che vengono messe in relazione.

Gli intrecci con quanto espresso da Michel Foucault rispetto i concetti di potere, corpo, controllo sono eloquenti. Nelle poetiche di molti artisti occidentali del XIX secolo, l’interesse per la follia scaturisce dall’immediata associazione con il concetto di malattia. Ne emerge uno sguardo distaccato, forzato, talvolta colonizzante: la follia dai dadaisti è rivendicata come forza oppositiva alla borghesia, con l’Informale francese diviene concetto con cui esprimere il senso di totale perdita di certezze, dall’Internazionale Situazionista è politicamente e ideologisticamente caricata.

Nella visione nemesiaca, la follia è spazio di espressione, rapporto col mondo che sfocia in malattia solo se soffocata da dinamiche di potere e oppressione: non linguaggio a cui attingere in senso provocatorio, quanto piuttosto alternativa valida alla logica modernista, in cui l’“elemento-corpo” recupera spazio e diviene mezzo d’indagine per immaginare modi di vivere associato.

Lina Mangiacapre, foto Augusto De Luca © Archivio Le Nemesiache.

Con l’aprirsi degli anni ’80, l’impegno sociale si intensifica, viste la comunicazione sul corpo femminile che a queste date è condotta dai media italiani [xl]. Con il Terremoto dell’Irpinia del 1980, le Nemesiache partecipano al “Convegno sulla Ricostruzione di Napoli” fra il 7-8 marzo del 1981 attraverso un’attività politica-creativa, proponendo la ricostruzione dei quartieri napoletani danneggiati dal terremoto seguendo un modello di urbanistica che non risponda a logiche consumistiche, ma a un pensiero creativo che ponga i legami emotivi come priorità e che faccia dei bambini e delle donne i protagonisti [xli].

Nel 1982 con Visione di una città a dimensione donna, presso l’Auditorium della Reggia a Capodimonte, le Nemesiache ricostruiscono una dimostrazione sulla loro ricerca multidisciplinare sull’uso del suono e degli audiovisivi [xlii].

Transfemminismo, “E in mostra – come le Nemesiache affermano – è il Mostro; scatena paura e fuga; non devi guardare. Perdete ogni speranza voi che entrate!” © Archivio Le Nemesiache.
Transfemminismo, “E in mostra – come le Nemesiache affermano – è il Mostro; scatena paura e fuga; non devi guardare. Perdete ogni speranza voi che entrate!” © Archivio Le Nemesiache.

Con Transnemesiache, nel 1982, durante una conferenza della rassegna “Marzo Donna” a Castel dell’Ovo, le Nemesiache contestano l’inadeguata partecipazione dell’universo femminile nell’ambito del giornalismo. È in questo contesto che Mangiacapre conia il termine transfemminismo [xliii], concetto che troverà ampio respiro nel romanzo Faust-Fausta del 1990.

L’attività teatrale di Lina Mangiacapre procede con la produzione di Eliogabalo (1982), Eleniade (1983) e Biancaneve (1984). L’impegno ambientalista è una costante per Le Nemesiache, ed è ancora una volta l’elemento del mare, nel contesto napoletano, a divenire lo spazio che più si presta a riflettere su questa tematica. Del 1981 è il film Ricciocapriccio, in anteprima al Festival di Sorrento. La protagonista, figlia del mare, approda sulla terra perché catturata dalla rete di un peschereccio. Impossibilitata a comprendere le logiche degli abitanti della terra ferma, Ricciocapriccio torna a morire in mare [xliv].

[Settima Nenia]: Se non posso volare

Se non posso creare

Preferisco morire

Ritornare nei luoghi

Dove un giorno la vita era eterni colori [xlv]

In Ricciocapriccio, mare e terra sono parti di uno stesso principio cosmico: la terra trema poiché sconvolta dall’agonia del mare e dalla perdita di Ricciocapriccio. Le violenze subite dalla protagonista e dal mare rievocano le devastanti politiche economiche ed edilizie che interessano il territorio napoletano a queste date, denunciate da Mangiacapre come forze che agiscono sia sul piano fisico che psichico. Il film, fuori da ogni logica di cinema professionista, è creato giustapponendo sperimentalmente diapositive e filmati [xlvi].

Le Nemesiache, Didone non è morta, 1987 © Archivio Le Nemesiache.

Nel 1986, con l’opera Didone non è morta, Mangiacapre produce il primo film in 35mm. L’opera, per mancanza di fondi, viene girata in tre settimane [xlvii]. La sceneggiatura è di Lina Mangiacapre e Adele Cambria, e il film raggiunge una visibilità altissima anche fuori dal contesto italiano [xlviii].[

Didone non è morta, girato fra Napoli e i Campi Flegrei, prevede una rilettura contemporanea della figura di Didone in chiave femminista e si concentra su tematiche decoloniali ed ecologiste.

In un intreccio fra mito e presente che sfida le barriere razionali-temporali [xlix], il film si apre con una scena ambientata a Napoli in un club anni ’80, per sfociare presto in un viaggio nel passato in cui ripercorrere le avventure di Didone ed Enea, concludendosi nuovamente nel presente. Il pastiche cronologico è espresso anche dai costumi dei personaggi e dalle musiche sperimentali in cui si mixano suoni di musica elettronica e di strumenti antichi.

Le Nemesiache, Didone non è morta, 1987 © Archivio Le Nemesiache.
Le Nemesiache, Didone non è morta, 1987 © Archivio Le Nemesiache.

Entro le mura di Cartagine, di cui Didone la fondatrice, vive una comunità di donne, i cui equilibri improvvisamente vengono rotti dall’arrivo delle truppe di Enea, il quale dopo essersi abbandonato alle passioni amorose con la regina di Cartagine, progetta occultamente la fuga verso le coste italiche.

La rilettura della figura di Didone sfugge a ogni stereotipo con cui il personaggio ci viene riconsegnato dalla storia, senza però mutarne le caratteristiche: come previsto dal mito, la regina cede alle passioni amorose e si ripiega in sé stessa a seguito dell’abbandono di Enea. Il complesso personaggio di Didone è costruito secondo un «dispiegarsi delle diversificate immagini riscoperte e create dalle donne» [l]. Ci viene riconsegnata nel suo abbandono alle passioni, ma anche nelle sue abilità governative, di ascolto ed empatia. La protagonista non è figura monolitica, ma complesso personaggio, forte di un’identità propria:

Didone era femminista: racchiudeva in sé tutto il nostro inespresso desiderio dell’avventura. E poi femminismo per me è un mito, la riconquista di una propria dimensione culturale, mitica, contro la colonizzazione che ha provocato appunto la cancellazione dei miti nei quali sono le nostre radici [li].

Le Nemesiache, Didone non è morta, 1987 © Archivio Le Nemesiache.

La condotta governativa di Didone, integralmente pacifica, segue le logiche dell’empatia, dell’ascolto e dell’emotività, in netto contrasto con le logiche di conquista di Enea, non più letto in chiave eroica, ma come personificazione del pensiero colonizzante. Egli segue le logiche occidentali di profitto e di calcolo, sacrificando i legami interpersonali ai doveri impartitigli dagli dei. In questo gioco metaforico, le vicende delle città di Cartagine e Napoli dialogano in modo serrato: entrambe legate agli elementi del fuoco e del sangue [lii], entrambe create da donne [liii], vittime di un potere opportunista [liv] e infangate da calunnia e oblio [lv].

Le Nemesiache, Didone non è morta, 1987 © Archivio Le Nemesiache.

A chiusura del film, la trama del mito viene stravolta: Enea, in abiti da ufficiale della Nato, incontra il padre Anchise nei sotterranei della metropolitana di Napoli (chiara metafora dell’Ade). Qui il padre dell’anti-eroe annuncia la decadenza del futuro del mondo fino a che non sarà spezzata la maledizione di Didone. Al di là delle rotaie, appare la regina, ora anche lei in abiti contemporanei, a cui Enea supplica perdono. Il film si chiude con una sconfortante visione del presente, in cui non è prevista possibilità di miglioramento se non rivedendo le logiche dei rapporti occidentali.

Le Nemesiache, Didone non è morta, 1987 © Archivio Le Nemesiache.

Il tema della colonizzazione, rispetto al corpo femminile e alla città di Napoli, e più in generale del sud del mondo, è centrale. Enea, incurante del destino rovinoso che l’attende, sfrutta ciò che Cartagine generosamente elargisce [lvi], affolla il golfo con le sue truppe. I richiami alla cementificazione a alle politiche distruttive rispetto al territorio napoletano sono evidenti anche nella fotografia: le scene riportanti la comunità di Cartagine prima dello sbarco di Enea sono accostate all’idilliaco paesaggio incontaminato del golfo napoletano, mentre quelle che seguono l’arrivo dell’anti-eroe riportano le riprese reali delle navi mercantili, che invadono la costa, e la cementificazione del lungomare Bagnoli, a cui Mangiacapre dedica anche la poesia Inutile Italsider nel 1988.

Nel 1988 l’impegno artistico e politico delle Nemesiache dà vita anche alla stesura della rivista semestrale “Mani-festa” (1988 – 1999), dove si condensano articoli di critica cinematografica di arte visiva, pubblicità di eventi femministi, pubblicazione di poesie, interviste a registe e scrittrici femministe, fumettistica, interpretazioni di diritto e di teologia in chiave femminista; la grafica è curata da Consuelo Campone.

Le Nemesiache, performance di poesia al KGB di Napoli, 1990 © Archivio Le Nemesiache.

Lo spazio del club è spesso palcoscenico delle sperimentazioni delle Nemesiache dalla fine degli anni ’70 fino alla metà degli anni ’90. A queste date, i club e le discoteche sono percepiti come spazi separati dalla vita di tutti i giorni, sono luoghi della libertà individuale e collettiva, tanto da poter essere considerati, in termini foucaultiani, eterotopie [lvii]. È in questo momento che accolgono sperimentazioni artistiche, specie se espressione di sottoculture o di voci alternative a quelle istituzionalizzate [lviii]. Nel 1990, al KGB, le Nemesiache performano Look Poesia. Lo spettacolo, unendo azione, poesia e sperimentazione sul costume, ha un intento spiccatamente ambientalista e contesta l’uso smoderato della plastica. I costumi delle performer sono costruiti utilizzando plastica monouso, pensati e cuciti da Consuelo Campone e Silvana Campese. In questa occasione, le luci del club si infrangono con i materiali dei costumi; la plastica, inquinante e monouso, si trasforma metaforicamente in forza poetica e trova una seconda vita.

Le Nemesiache, performance di poesia al KGB di Napoli, 1990 © Archivio Le Nemesiache.

Per concludere questa brevissima analisi delle opere postmoderne più significative delle Nemesiache, è necessario menzionare Faust-Fausta, che Mangiacapre pubblica come romanzo nel giugno del 1990 e che restituirà con la pellicola cinematografica l’anno successivo. È con questa opera che Lina Mangiacapre ripropone il termine transfemminismo, sulla scia delle ricerche artistiche e filosofiche condotte fino a questo momento. A queste date il termine assume un valore non solo pratico, ma anche teorico. Faust-Fausta, opera definita romanzo filosofico [lix], è un peregrinare dell’animo di Mangiacapre, del suo pensiero androgino tra il maschile e il femminile [lx]; nella visione dell’artista, il termine transfemminismo è continuo mutamento, flusso, volontà di non fossilizzarsi in un’identità precostituita. Con questo termine l’artista si riferisce sia a una ricerca personale, che alla stessa ricerca della comunità da lei guidata: «Il movimento femminista è il movimento di Faust, il movimento delle donne che vanno oltre i limiti di un’identità imposta come cultura del momento. Ma non si vince alcun limite se si piomba in un’altra identità sessuata» [lxi]. 

Lina Mangiacapre, fuori set da Faust Fausta © Archivio Le Nemesiache.

In questa occasione Mangiacapre parte dal dramma goethiano di Faust, per renderlo attuale. Faust desidera essere amato da una donna (Elena), ma si vede respinto. A ciò segue un patto col diavolo (Mefisto), non per sete di conoscenza, ma di azione. Il patto con Mefisto è rifiuto a un’identità culturale perché priva di senso.

Il mito dell’androgino viene qui esplorato ribaltando la filosofia occidentale: se nella filosofia greca Zeus divide l’androgino per invidia della sua completezza, qui il “sentire-androgino” è fonte di dolore e tormento. Un tormento che porta l’uomo a mutare continuamente e a non cristallizzarsi in un’unica possibilità, condizione. La natura, nella sua complessità, è obiettivo ultimo della ricerca umana, ma anche fonte del suo tormento, spinta verso la metamorfosi continua: «Un transfemminismo che pone la lotta dei sessi come la lotta dei principi in cui l’essere donna e l’essere uomo significa voler agire anche nella propria immagine al di là di qualunque limite, sia pure quello di natura» [lxii]. Il transfemminismo nemesiaco non mira all’annullamento dei generi, quanto piuttosto a una loro armonia: In Faust convivono l’identità femminile e quella maschile, identità distanti e ugualmente presenti. Non solo il protagonista è androgino («In continua metamorfosi nel senso della passione e del desiderio») [lxiii], ma anche l’opera in sé: nella stesura del romanzo, Mangiacapre si muove in uno spazio indefinito che sovverte le distinzioni e le categorizzazioni. Faust-Fausta può essere definita un’opera queer, in cui si trova eterogeneità di espressioni: sequenzialità narrativa classica e frammentazione [lxiv], poesia, parole in libertà, flussi di coscienza, concludendosi in una traduzione per immagini nel film del 1991.

Le Sibille, diretto da Lina Mangiacapre e prodotto da Le Nemesiache, 1977 © Archivio Le Nemesiache.
Le Sibille, 1977 © Archivio Le Nemesiache.

Non solo Faust è una figura postmoderna, in cui si condensa la dialettica delle metamorfosi come continua ricerca del sé più intimo, che si esprime attraverso la lotta [lxv], ma anche la struttura stessa dell’opera fa crollare l’idea di compiutezza, principio della modernità europea.

Questo aspetto ci induce inevitabilmente a leggere ancora una volta un possibile legame con Petrolio di Pier Paolo Pasolini, opera rimasta inedita fino al 1992, ma su cui l’autore lavora fra il 1971 e il 1975 [lxvi]. Silvana Campese conferma che i due intellettuali si sono personalmente conosciuti, e certamente Mangiacapre non nasconde il proprio interesse per l’opera del poeta, come già precedentemente scritto.

Leggendo le due opere, si intravedono infiniti intrecci di trama e di significato; in entrambi i casi, i protagonisti aprono il varco allo spazio dell’anomia, a una forma di vita senza regole. In Petrolio Pasolini si serve di questa condizione per lanciare un messaggio politico e annunciare la direzione in cui si muoverà l’Italia negli anni ’80 [lxvii]; l’orizzonte in cui viaggia l’autore è di presa di distanza rispetto a questa condizione. L’anomia vissuta da Faust in Faust-Fausta invece, letta in termini esistenziali, è spinta verso il mutamento: ogni qualvolta l’umano pensi di aver raggiunto la perfezione, diventa ridicolo. La differenza principale fra i due autori sta proprio nello spazio temporale in cui operano. Pasolini è polemico rispetto al “mutamento antropologico” e non trova spazio di azione entro cui la figura dell’intellettuale possa agire nel nuovo mondo; Lina Mangiacapre, operando in un periodo postmoderno, affronta la crisi dell’ideologia [lxviii] e invita con Faust-Fausta alla fluidità come lotta alla metafisica occidentale e all’omologazione moderna.

Lina Mangiacapre © Archivio Le Nemesiache.
“Costruiamo una città a dimensione di donna”, movimento femminista napoletano 1981 © Archivio Le Nemesiache.

Conclusioni

Con la caduta del pensiero moderno, che a queste date si rivela ormai ovvio, i punti di vista si sono moltiplicati. Il pensiero transfemminista delle Nemesiache, così complesso e radicale, nasce a Napoli, città che ha sopportato infinite colonizzazioni, attraversata da infiniti popoli, culture, violenze; una città meticcia e postmoderna da secoli, ma con un’identità così forte da non trovare eguali nel resto d’Italia. Una Napoli che sopporta da sempre «forme di razzismo», quali «folclore, superficialità e soprattutto quel tipo di sufficienza e di simpatia che si ha verso tutto ciò che si considera inferiore ma che si giustifica in termini umanitaristici di sopravvivenza» [lxix].

All’aprirsi del terzo decennio del XXI secolo, la ricerca instancabile delle Nemesiache continua a parlarci e a rivelarsi quanto più attuale rispetto alle necessità dell’oggi: il pensiero occidentale con ogni evidenza non è più in grado di rispondere ai bisogni umani, ed è attraverso la pratica artistica, che sul concludersi del XX secolo le Nemesiache hanno immaginato nuove modalità di relazione, in cui hanno avuto voce le storie che non sono narrate dalla narrazione ufficiale.

Le Nemesiache, foto di gruppo © Archivio Le Nemesiache.
IV Rassegna di Cinema femminista, Sorrento, 1979 © Archivio Le Nemesiache.

Le immagini sono tratte dall’archivio del gruppo storico femminista, Nemesiache, consultabile dal sito della Biblioteca Nazionale di Napoli, grazie alla donazione di Silvana Campese, socia fondatrice, insieme a Lina Mangiacapre, sua sorella Teresa ed altre Nemesiache, della Cooperativa Tre Ghinee – successivamente diventata Associazione.

note

[i] Andrea di Michele, Storia dell’Italia repubblicana (1948-2008), Garzanti, Milano, 2008, pp.305-306.

[ii] Ivi, p.296.

[iii] Pier Paolo Pasolini, Gli italiani non sono più quelli, in “Corriere della Sera”, 10 giugno 1974,1974.

[iv] di Michele, 2008, pp.287-288.

[v] “Public Sex”, [8 maggio – 6 giugno 2021, Centro per l’arte contemporanea Luigi Pecci, Prato], a cura di Cristiana Perrella, Marialba Russo, Elisa Cuter, Goffredo Fofi, Nero, Roma, 2021, p.7.

[vi] Ibidem.

[vii] Silvana Campese, La Nemesi di Medea, L’inedito, Napoli, 2019, pp. 136-138.

[viii] Silvia Nugara, Fenomenologia della gioia in un paese cattolico, in “Il Manifesto”, 6 luglio 2021, 2021.

[ix] Natale Roberto, Il vocabolario distorno dell’«Italia Drive In», in “Il Manifesto”, 20 gennaio 2011, 2011.

[x] Francesco Maria Spampinato, Ibridazione, corpi e media. Pratiche artistiche del video in Italia negli anni Ottanta, in “Sciami. Webzine semestrale di Teatro, Video e Suono”, 21 ottobre 2019.

[xi] Ibidem.

[xii] Nadia Pizzuti, Lina Mangiacapre. Artista del femminismo, Italia, 2015.

[xiii] “Soggetto nomade. Identità femminile attraverso gli scatti di cinque fotografe italiane, 1965-1985” [14 dicembre 2018 – 8 marzo 2019, Centro per l’arte contemporanea Luigi Pecci, Prato], a cura di Elena Magini, Cristiana Perrella, Nero, Roma, 2018, p.32.

[xiv] Carla Lonzi, Sputiamo su Hegel. La donna clitoride e la donna vaginale, Gammalibri, Milano, 1982, pp.25-51.

[xv] Conni Capobianco, Interpreti e protagoniste del movimento femminista napoletano (1970-1990), Le Tre Ghinee, Napoli, 1994, pp.13-18.

[xvi] Ivi, p. 102.

[xvii] Vd. Mangiacapre, 1980 o sezioni “Nuova Critica” a cura di Lina Mangiacapre in “Mani-Festa”.

[xviii] Capobianco, 1994, p.9.

[xix] Ivi, pp.11-12.

[xx] Lina Mangiacapre, Un paio di stivali e un cappello.

[xxi] Lina Mangiacapre – Adele Cambria, Didone non è morta, “Le tre ghinee” s.r.l., Italia, 1987.

[xxii] Lina Mangiacapre, Un cinema della poesia, in “Mani-festa”, n.1, dicembre 1988, pp.22-24.

[xxiii] Le Nemesiache, Lina Mangiacapre. Dipingere la Poesia, Altra Stampa, Napoli, 2004, p.111.

[xxiv] Ivi, p.23.

[xxv] Capobianco, 1994, pp.16-17.

[xxvi] Pizzuti, 2015.

[xxvii] Anna Maria Mori, Didone? Una femminista, in “La Repubblica”, 11 dicembre 1986.

[xxviii] Lina Mangiacapre, Cinema al femminile, Mastrogiacomo – Images 70, Padova, 1980, pp. 29-30.

[xxix] Jean Cocteau, Dialoghi sul cinematografo, Ubulibri, Milano, 1987, p.83.

[xxx] Ivi, p.54.

[xxxi] Richard Schechner, Performance studies. An introduction, Routledge, Londra, 2002, pp. 22-23.

[xxxii] Donna J. Haraway, Un manifesto per Cyborg: scienza, tecnologia e femminismo socialista nel tardo ventesimo secolo, Feltrinelli, Milano, 1995, p.2.

[xxxiii] Campese, 2019, p.29.

[xxxiv] Nemesiache, Mozione della Rassegna del Cinema Femminista, Napoli, 1976.

[xxxv] Lina Mangiacapre, Cinema al femminile, Mastrogiacomo – Images 70, Padova, 1980, pp.38-39.

[xxxvi] Ivi, 1980, p. 15.

[xxxvii] Campese, 2019, p.104.

[xxxviii] Ivi, pp. 106-107.

[xxxix] Lina Mangiacapre, Follia come poesia riprendiamoci il corpo e il mare, in “Non solo figura di donna. Documenti della III e IV Rssegna del Cinema Femminista – Organizzata dalle Nemesiache”, 1979, p.10.

[xl] Campese, 2019, p. 214-215.

[xli] Ivi, pp. 219-221.

[xlii] Ivi, p. 228.

[xliii] Ivi, p.42.

[xliv] S.R., Donna in città, in “Il Mattino”, 24 aprile 1982, 1982.

[xlv] Lina Mangiacapre, Copione di Ricciocapriccio, 1981.

[xlvi] S.R., 1982.

[xlvii] Irene Arconti, Come il sogno è diventato film, in “Il Giorno”, 13 dicembre 1986,p.20.

[xlviii] Campese, 2019, p.119.

[xlix] Sergio Stingo, Didone la nemesiaca, in “Il Mattino”, 26 novembre 1986.

[l] Teresa Mangiacapra, Immagine Femminile. Sullo stereotipo, in “Mani-festa”, n.4, dicembre 1989, p.15.

[li] Mori, 1986.

[lii] Stefania De Bonis, Didone non è morta e s’aggira per Napoli, in “Il Giornale di Napoli”, 4 dicembre 1986, p.14.

[liii] T.F., Se Didone ritorna sul lago di Averno, in “Il Mattino”, 19 dicembre 1986.

[liv] Stingo, 1986.

[lv] T.F., 1986.

[lvi] Teresa Mangiacapra, Convegno internazionale – nord sud educazione alla mondialità, in “Mani-festa”, n.4, dicembre 1989, p.14.

[lvii] “Night Fever. Designing club culture, 1960-today” [17 marzo – 9 settembre 2018, Vitra Design Museum, Weil am Rhein], a cura di Eisenbrand Jochen, Catherine Rossi, Mateo Kries, Vitra Design Stiftung, Weil am Rhein, 2018, p.19.

[lviii] Ivi, p.20.

[lix] Silvana Silvestri, Scendere a patti con l’ironia, in “Il Manifesto”, 21 giugno 1990.

[lx] Campese, 1990, p.12.

[lxi] Ibidem.

Le Nemesiache, Festa della poesia alla Gaiola, 11 Giugno 1978 © Archivio Le Nemesiache.
Le Nemesiache, Festa della poesia alla Gaiola, 11 Giugno 1978 © Archivio Le Nemesiache.

Bibliografia (per anno pubblicazione)

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Ultima consultazione: ottobre 2021. 
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Ultima consultazione: ottobre 2021.
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“Night Fever. Designing club culture, 1960-today” [17 marzo - 9
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“Soggetto nomade. Identità femminile attraverso gli scatti di
cinque fotografe italiane, 1965-1985” [14 dicembre 2018 - 8 marzo 2019, Centro
per l’arte contemporanea Luigi Pecci, Prato], a cura di Elena Magini, Cristiana
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Spampinato, Ibridazione, corpi e media. Pratiche artistiche del video in Italia
negli anni Ottanta, in “Sciami. Webzine semestrale di Teatro, Video e Suono”,
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“Public Sex”, [ 8
maggio - 6 giugno 2021, Centro per l’arte contemporanea Luigi Pecci, Prato], a
cura di Cristiana Perrella, Marialba Russo, Elisa Cuter, Goffredo Fofi, Nero,
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Silvia Nugara, Fenomenologia
della gioia in un paese cattolico, in “Il Manifesto”, 6 luglio 2021, <https://archiviopubblico.ilmanifesto.it/Articolo/2003263537>.

Presentazione del libro, Istituto di studi filosofici © Archivio Le Nemesiache.
Convegno per il dopoterremoto, 1981 © Archivio Le Nemesiache

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