Politiche del disastro. Intervista ad Arahmaiani

«Le artiste donne si trovano in un piccolo cerchio al di fuori del mainstream. La loro posizione non è considerata uguale agli artisti maschi che tendono ad essere più potenti e a conoscere le regole del gioco. Anche se questa è un’epoca dove le donne hanno il permesso di giocare, devono seguire però, in questo caso, le regole prescritte dal “maestro” che monopolizza il gioco, cioè l’elemento maschile. Se la donna parla dalla propria prospettiva femminile (ad esempio rivelando cose che dovrebbero rimanere nascoste) viene considerata sfrontata perché ha trasgredito i tabù» – scrive l’artista indonesiana Arahmaiani. Anticonformista, blasfema e trasgressiva: così è stata spesso definita per il suo radicalismo e per la sua intromissione in tematiche ai confini del politico, incentrate sulla specifica relazione che intercorre tra sfruttamento ambientale e soggetti oppressi, le donne e le minoranze, in una forma intersezionale di ecofemminismo o femminismo ecologico.

Nei giorni di quarantena in cui si cerca di sopravvivere sul “pianeta infetto” per dirla con Donna Haraway, mentre il covid-19 non abita solo i corpi ed è già ufficialmente pandemia globale, fa impressione leggere le dichiarazioni di Naomi Klein sul Coronavirus come il disastro perfetto per il “capitalismo dei disastri” (Shock economy. L’ascesa del capitalismo dei disastri, 2007). Così il titolo della prima personale italiana dedicata ad Arahmaiani (che avrebbe dovuto inaugurare lo scorso 5 marzo e che sarà riprogammata in data da destinarsi) al PAV Parco Arte Vivente di Torino e a cura di Marco Scotini, diventa drammaticamente attuale: Politics of Disaster. Gender, Environment, Religion. Perché di disastro si tratta – disastro di genere, politico, ecologico, in relazione al quale (piuttosto che in conseguenza ad esso) Arahmaiani crea la propria arte come una “sognatrice nomade”.

La ricerca e la vita di Arahmaiani Feisal [nata nel 1961 a Bandung, vive a Yogyakarta, Indonesia] – indubbiamente tra le più conosciute artiste indonesiane, lavora prevalentemente con la performance e spesso è conosciuta nel circuito internazionale artistico di festival e biennali come la sola donna artista rappresentante il suo paese – inducono ad affrontare il genere, il sesso e la politica riproduttiva come i parametri fondamentali della critica al biopotere, insieme alla marginalità e subordinazione della donna nella società profondamente patriarcale indonesiana. Nel 2007 partecipa a Global Feminism, prima e acclamata rassegna transnazionale dedicata alle questioni e alle lotte di genere, al Brooklyn Museum di New York. Tra i temi maggiormente connessi con la sua ricerca il genere e la religione, la sessualità e i tabù sociali, la sottomissione delle donne, l’ingiustizia sociale e la critica al capitalismo.

Arahmaiani, Handle Without Care, 1996. Fotografia della performance originale (2nd Asia Pacific Triennial (APT2), Brisbane, Australia). Courtesy l’artista.

Negli anni di formazione all’Accademia di Bandung, Arahmaiani si unisce al gruppo chiamato Sumber Waras (traducibile come “Fontana del Benessere”) le cui pratiche si situano al confine tra body art, teatro sperimentale e critica sociopolitica, iniziando presto a lavorare al di fuori del contesto accademico, disciplinare e conservatore. Frequenta inoltre la biblioteca di Toeti Heraty, importante poetessa e studiosa femminista, dove comincia ad affrontare le questioni di genere e la sessualità.

In un’intervista del 2013 con Wulan Dirgantoro, studiosa della scena artistica femminista in Indonesia, Arahmaiani racconta di essere stata arrestata il 17 Agosto del 1983, dopo la sua performance intitolata Perayaan Kemerdekaan (Independence Day), considerata sovversiva dalle autorità. Durante l’azione, l’artista insieme a due amici traccia sulla strada con un gessetto disegni di carri armati, armi ed altri oggetti militari. L’intenzione era quella di criticare la dittatura miliare, la cui intelligence si mosse immediatamente per arrestare gli artisti. Arahmaiani venne rilasciata in un mese, ma solo dopo aver firmato un documento in cui dichiarava di essere mentalmente instabile – una strategia giudiziaria organizzata da un amico. Oltre all’impossibilità di lavorare come artista, temendo per la propria incolumità, decise di abbandonare il suo paese per trasferirsi in Australia. Questo sarà il primo di numerosi esili.

«La religione, storicamente e oggi, è la struttura generale che sostiene il dominio patriarcale come realtà materiale e ideologica di sottomissione delle donne. […] Il capitale istituisce forme di governance che sono biopolitiche, organizzando la partecipazione delle religioni come tecniche per raggiungere le sottomissioni dei corpi e il controllo delle popolazioni […]»; questa interessante lettura del lavoro di Arahmaiani da parte di Angela Dimitrakaki [i] coglie con efficacia gli interventi egemonici e le coercizioni della religione e della sessualità quando è un soggetto femminista che parla – quello dell’artista.

Arahmaiani, Sacred Coke 1993–2016. Exhibition view. Awakenings. Art in Society in Asia 1960s–1990s, National Gallery Singapore 2019. Courtesy National Gallery Singapore.

Nel 1994 e nel 1995, le mostre Sex, Religion and Coca-Cola e Sacred Coke costringono l’artista a difendersi dalle violente proteste da parte di alcuni gruppi islamici. L’impegno di Arahmaiani con la “politica della visibilità” (Peggy Phelan, Unmarked: the Politics of performance, 1993) diventa un mezzo del suo lavoro per dare risonanza a una comunità sottorappresentata, o una minoranza, come nella performance Offering from A to Z (1996) suddivisa in più capitoli e ambientata in un crematorio buddista, in cui dispone una fila di armi militari intervallate con piatti bianchi tracciando un sentiero che conduce al tempio. Si copre con un lenzuolo sporco di sangue che simboleggia le vittime della violenza e della brutalità militare del paese. Poi si distende su un altare di pietra usato per i cadaveri circondato da immagini pornografiche, che in seguito brucerà in un rituale di purificazione. Il lavoro è ispirato sia a un dato biografico (il suo arresto) che a questioni che toccano il corpo femminile: considerato dalla religione e dalla cultura fonte di fertilità ma anche come qualcosa di impuro, in quel periodo del mese in cui non è permesso alle donne di entrare in luoghi sacri. O come accennato, Etalase (Display Case) del 1994, una vetrina che conteneva vari oggetti tra cui una piccola statua di Budda, una bottiglietta di Coca-Cola, il Corano e una confezione di preservativi, la cui associazione considerata blasfema provocò dure reazioni e minacce di morte da parte di fondamentalisti islamici, tanto da costringerla a scappare ancora una volta.

Arahmaiani, Etalase (Display Case), 1994.

Arahmaiani, Etalase (Display Case), 1994.

La sua ricerca, vicina al movimento delle donne in Indonesia, non è certamente ascrivibile alle categorie del femminismo occidentale, troppo preoccupato per l’indipendenza e l’auto-affermazione individuale e per le lotte per la liberazione sessuale, rispetto allo stato di disuguaglianza e drammatica iniquità del ‘sud del mondo’, risultato del colonialismo e di uno squilibrato processo di modernizzazione capitalista, ma certamente Arahmaiani è profondamente vicina alle posizioni del femminismo marxista: la lotta per la liberazione della donna non può che essere una lotta di classe. Non a caso, Ariel Salleh nel suo Ecofeminism As Politics: Nature, Marx and the Postmodern preferisce parlare di “sistema patriarcale capitalista” perché ponendo la centralità della riproduzione sociale, sostiene come l’oggettivazione, lo sfruttamento e la distruzione della natura non saranno mai risolti senza affrontare la strutturale espropriazione del lavoro delle donne.

Arahmaiani, His-Story, Soho Baby, 2004. Documentazione della performance. Courtesy l’artista.

Elvira Vannini: Vorrei iniziare la nostra intervista con la tua dichiarazione inclusa nella mostra Global Feminisms, a cura di Maura Reilly e Linda Nochlin:

«Essere femministe significa affrontare sfide tremende da parte dei conservatori e dei fondamentalisti. Il conflitto accade perché i conservatori religiosi e i fondamentalisti non vogliono perdere la legittimità del loro potere! E la seconda sfida è l’impatto della globalizzazione, in cui la donna e il suo corpo tendono a essere sfruttati. Il corpo femminile può essere comprato e venduto in un mercato del lavoro a basso costo. Le autorità e i responsabili delle decisioni economiche globali spesso stanno dalla parte dei conservatori e dei fondamentalisti nel loro atteggiamento verso quei gruppi sociali che sono deboli»

Qual è il tuo punto di vista sulla creatività delle donne e il movimento femminista, e in che modo questo ha intercettato la tua pratica artistica?

Arahmaiani: Quest’affermazione si basa su fatti e sulla realtà (attraverso un percorso di ricerca). E ho capito che il sistema nel quale ci troviamo oggi è stato creato seguendo la logica e i modelli della dominazione patriarcale. La logica base della dominazione è quella di conquistare gli “altri”. E la donna fa sicuramente parte degli “altri”! Con il sistema economico capitalista anche gli “altri” vengono visti come semplici oggetti da sfruttare per amore del potere di controllo e del profitto! All’interno di questo tipo di situazione, dove una parte sta dominando, se non vogliamo essere intrappolati in una condizione orribile e distruttiva, dove il potere dominante diventa un serio distruttore, l’opposto deve esporsi per “bilanciarlo”. Il femminismo è quindi molto importante e guiderà un movimento rilevante in questo contesto. E la creatività della donna diventerà una fonte di speranza!

Arahmaiani, His-Story, 2000/2001. Documentazione della performance.

Come puoi vedere, nella mia ricerca l’approccio critico dal lato “femminile” (o l’opposto di quello dominante) è chiaro e profondamente necessario. La mia arte non riguarda solo il concetto estetico, l’attitudine e la forma, ma è integrata con la scienza, la filosofia e la spiritualità. Arte e vita sono inseparabili!

Nella mia pratica artistica non esiste nessuna separazione dell’estetica dalla realtà (o in termini accademici quello che di solito viene chiamato “approccio transdisciplinare” o “approccio multidisciplinare”): questo punto è molto semplice e importante. E quello di creatività è un concetto chiave. Sì, questo tipo di attività è fondamentalmente un metodo che consente di esplorare la creatività (perché è molto aperto). Credo che la creatività sia in realtà un vero “capitale” e non una forma di capitalismo che ovviamente percepisce il denaro come capitale! Il denaro in realtà è solo uno strumento per l’accordo e la negoziazione economica.

L’arte è una zona autonoma, un discorso e una narrativa a sé stanti, gli interessi del mercato, della politica o della religione non possono dettarvi legge. Gli uomini d’affari, i politici e le autorità religiose non sono i creatori dell’arte!

Gerwani (Gerakan Wanita Indonesia, o Indonesian Women’s Movement) è un’organizzazione femminile fondata a Semarang il 4 giugno 1950.

EV: Come afferma Wulan Dirgantoro, il femminismo, in Indonesia, è stato a lungo considerato una forma contro natura di attivismo politico, in rimando alla demonizzazione e all’oppressione dell’organizzazione femminile Gerwani (Gerakan Wanita Indonesia, Movimento delle Donne Indonesiano) da parte del regime militare del Nuovo Ordine. Numerose appartenenti e simpatizzanti di Gerwani sono state massacrate, parallelamente all’eccidio dei comunisti perpetrato da Suharto. Qual è stato il contesto in cui sei cresciuta come donna e come artista nella società profondamente patriarcale, militarista e musulmana dell’Indonesia?

A: Sicuramente non era una situazione semplice, non c’erano né liberazione o emancipazione, né libertà di espressione. Soprattutto per una donna. In effetti, la posizione della donna è a un livello molto basso. All’interno dell’area politica il gruppo femminile era gestito e controllato dalla burocrazia governativa o da leggi e rigidi regolamenti di tipo religioso. Ad esempio, le condotte delle mogli di ufficiali del governo o di gruppi dell’esercito sono state disciplinate in questo modo, dovevano seguire severe normative oltre all’adozione dell’ideologia totalitaria del regime militare e le sue modalità di implementazione sociale. Questi erano i gruppi dominanti nella società, ciò significa che il resto della società doveva seguire i loro dogmi, modelli e stili di vita. Quindi è stata una situazione davvero difficile, soprattutto per le donne!

Arahmaiani, Accident, 1980. Documentazione della performance originale (Bandung, Indonesia). Courtesy l’artista.

Arahmaiani, Accident, 1980. Documentazione della performance originale (Bandung, Indonesia). Courtesy l’artista.

EV: Sei stata avversaria e oppositrice del regime autoritario di Suharto e dopo la caduta della dittatura del Nuovo Ordine, come è stata definita, hai continuato a lottare per la giustizia sociale, i diritti delle donne, gli abusi di potere nei confronti dei più deboli e le questioni ambientali. Cosa ti ha portato al tuo attivismo? Come si sono evolute le tue idee politiche? E quando ti sei sentita più efficace?

A: Il mio approccio non è assolutamente quello di concepire l’arte come medium separato dalla vita stessa. Quindi la mia arte tratta di tutti gli aspetti della vita: la cultura, l’area politico-sociale, il gender, l’ambiente e la spiritualità. E quando l’arte incontra la politica, si trasforma in uno strumento creativo per rivelare la verità e la realtà in quell’area che di solito viene manipolata da politici o da chi detiene il potere! E questo è ciò che ho trovato davvero affascinante dell’arte come strumento all’interno del nostro contesto sociale. Sai, infatti, l’arte è un mezzo estetico-linguistico molto flessibile, qualsiasi paradigma (filosofico, scientifico, spirituale e tecnologico) potrebbe essere integrato in modo creativo. Quindi a volte l’arte potrebbe divenire una sorpresa e rivelare qualcosa che è “nascosto” o che è stato soffocato!

Ciò che mi guida verso l’attivismo è la mia attrazione e interesse per la cosiddetta verità e per il significato della realtà o della vita. O per essere più specifici si tratta della mia personale domanda sul significato della vita. E quando ho imparato che l’essere umano può giocare e manipolare o sfruttare la cosiddetta “realtà”, mi sono resa conto che esiste un tipo di gioco a cui la mente umana partecipa, e la direzione potrebbe essere sia positiva che negativa. Potrebbe diventare sia un gioco di sfruttamento che di beneficio. Capisco che l’essere umano possa essere guidato da emozioni negative come l’avidità e l’ossessione per il potere, ma ciò non significa che non possiamo combattere e andare contro di esse. Soprattutto quando questo atteggiamento porta sofferenza all’altro! Dobbiamo fare qualcosa per fermarlo!

Come nel caso del governo militare dittatoriale, che nel tentativo di mantenere il potere e la propria posizione di dominazione, oltre che ottenere il maggior profitto possibile, ha generato ingiustizia sociale e distruzione della vita. Quindi dobbiamo alzarci e fermarlo.

E di sicuro ho anche imparato a conoscere la politica moderna e come si sono sviluppate le ideologie, persino nei conflitti (come la teoria dell’ala destra e sinistra, ad esempio). La teoria del capitalismo con il suo lato negativo e come le forze comuniste e dissidenti nella storia dell’Indonesia, ad esempio, sono state immediatamente private della libertà, epurate e massacrate nel genocidio del 1965. Da allora il tipo di ideologia e il modo di pensare di sinistra (che è critico nei confronti del capitalismo) è quasi inesistente nel mio paese.

Arahmaiani, Newspaperman (1981). Documentazione della performance originale (Bandung, Indonesia). Courtesy l’artista.

L’Indonesia ha attraversato una crisi profonda, multidimensionale in termini politici, economici, sociali e culturali in questi ultimi anni. E il miglioramento, se c’è stato, è stato molto lento. Ci sono più di 35 milioni di nuovi impiegati che lavorano per sopravvivere [sic]. Le persone stanno soffrendo, eppure stanno ancora lottando […] Voglio affrontare questo complesso problema relativo alla violenza che si fonde con il militarismo, il genocidio, la violenza sessuale, l’abuso dei deboli e l’anarchia in generale, nelle mie performance. Io non so quanto sarà efficace questo tipo di lavoro e di azione. Ma so che devo fare e dire qualcosa al riguardo.

Le mie idee politiche si sono evolute lungo lo sviluppo di conoscenze dirette ed esperienze di vita. Non ho mai veramente fatto affidamento alla teoria, ma preferisco osservare quello che accade nella realtà imparando a conoscere il cosiddetto fatto (come base della conoscenza), e quindi agire di conseguenza. Nella mia pratica la teoria e la comprensione devono essere collegate all’azione (o a un metodo pragmatico per attivarla). O, in altre parole, la teoria deve essere implementata nella realtà, l’astratto e il concreto devono essere collegati. Questo si basa sulla mia comprensione dell’antica filosofia ereditata dai miei antenati, in particolare sul principio di “equilibrio tra l’energia femminile e maschile”, l’equilibrio tra poteri opposti in natura, che ho espresso nella mia opera Lingga-Yoni.

Il progetto più efficace che io abbia mai realizzato in merito a questo tipo di attivismo e modo di pensare è stato il Tibet Project, dato che la cultura tibetana e la pratica filosofica della setta del gruppo monastico col quale lavoro (i Gelugpa o Berretti Gialli) sono sostanzialmente uguali a quelle che ho ereditato dai miei antenati. Quindi non hanno avuto serie difficoltà nell’includere e implementare le mie idee e il mio approccio. In questo modo riusciamo a collaborare facilmente insieme e a produrre un ottimo lavoro! Per comprendere come la situazione conflittuale tra il governo cinese e quello tibetano possa essere evitata nel momento in cui riusciamo a trovare delle strade creative e alternative. Che si concentrano maggiormente sull’umanità e su questioni ambientali.

Arahmaiani, The Flower (1982). Documentazione della performance originale (Yogyjakarta, Indonesia). Courtesy l’artista.

EV: Ti sei imbattuta in molte barriere e pressioni contro la tua ricerca artistica e performativa, che a volte è stata descritta come anticonformista e provocatoria, ti riconosci in questa attitudine?

A: Certo assolutamente. Dato che voglio comprendere la vita in maniera sempre più profonda spesso le conseguenze si manifestano in malintesi e problemi di comunicazione con altre persone che si trovano su livelli di comprensione differenti. In una prospettiva o posizioni diverse. O ignoranti.

Tutto questo può capitare di tanto in tanto se ci si concentra sull’attività dello “scavare” il significato della vita o esplorare la realtà. E poi si può essere additati come provocatori o anticonformisti. O addirittura ribelli, contro coloro che detengono il potere. Quindi non c’è da meravigliarsi se lungo il mio viaggio ho urtato molte barriere e pressioni da qualunque tipologia di persona o gruppo sociale orientato al potere. Ma ora sta diventato qualcosa che non mi sorprende più e ho imparato a gestire questo processo in modo calmo e ragionevole.

Ritratto dell’artista.

EV: Pensi sia possibile comprendere la produzione delle artiste donne in relazione alle narrative dominanti e prevalentemente maschiocentriche ed eurocentriche o dovremmo stabilire una serie di parametri diversi – oltre il canone – per rivalutare il lavoro di artist* che sono state marginalizzat* (come altre soggettività minoritarie: coloniali, Black, LGBT, ecc.)? Come spieghi il fatto che le donne siano state escluse da queste narrazioni istituzionali? Cosa pensi della recente attenzione al femminismo nel sistema dell’arte contemporanea?

A: Sicuramente se si vogliono capire le opere d’arte di artiste donne e di gruppi di artisti emarginati, bisogna fare riferimento al loro contesto, non misurato in base ad un sistema o ad una narrazione (in questo caso una narrazione incentrata sul maschio o eurocentrica). Sì, dovremmo stabilire parametri diversi per capire qual è il messaggio e ciò che gli artisti cercano di esprimere. Certamente ci sono valori universali che potrebbero collegare una cultura o credenza ad un’altra, ma se vogliamo capire la complessità della mente umana e il suo modo di pensare, dobbiamo anche comprendere meglio le varietà delle differenze e i loro aspetti, quindi sicuramente abbiamo bisogno di diversi tipi di parametri. La combinazione di entrambe le conoscenze sarà la migliore.

Come spiegare che la donna è stata lasciata fuori dal mondo dell’arte, giusto?

Ok, basta esaminare l’elenco delle opere che sono state acquistate dai musei. Controllare la lista degli artisti riguardo importanti eventi espositivi nel mondo. O verificare i libri su artiste o opere d’arte prodotte da donne che sono stati pubblicati finora. Questo rivelerà il fatto e la verità su ciò che accade alle donne artiste e qual è la loro posizione (marginale e minoritaria) nel mondo dell’arte.

E poi leggendo anche articoli su riviste d’arte o magazine vari, si scopre come il numero di articoli sulle opere o sulle attività di artiste femmine è limitato, subordinato ed escludente rispetto a quelli riguardanti i maschi!

L’attenzione al femminismo nell’arte contemporanea è un dovere!

E non è solo per favorire il posizionamento della donna nella scena artistica o nel mondo dell’arte. Ma si tratta anche della voce della donna come parte di voci alternative, necessarie per affrontare i problemi e la situazione del mondo di oggi (che è dominato dal sistema patriarcale e da un modo di gestire il sistema che sembra bloccato!). E ormai tutti sappiamo e comprendiamo che questi sono fattori molto problematici e creano distruzione e catastrofi. Oltre ad essere discriminatori, ingiusti e disumani.

Arahmaiani, Offerings-from-A-Z, performance, 1997.

EV: Non è il femminismo una nozione occidentale e quindi abbastanza irrilevante nel sud-est asiatico? Questa domanda viene raramente sollevata come una domanda. Viene posta, invece, come un’accusa, un attacco o addirittura un fatto non importante (perché oggettivato come bianco, borghese e occidentale) ma che invece nasce in opposizione alla subordinazione delle donne e non è importato ideologicamente da nessuno. Nel sud-est asiatico quale era il dibattito sulla posizione delle donne nella società prima del colonialismo?

A: Si potrebbe dire che il femminismo è una nozione e un’invenzione occidentale, ma la lotta di potere della donna rispetto alla sua sottomissione da parte dell’uomo è qualcosa di molto antico e accade in ogni società. Si riferisce alla natura umana che lotta per il potere e la posizione, o addirittura il dominio! Quindi questo è un problema universale e le donne sono anche esseri umani (anche se il colore della pelle e le dimensioni del corpo possono essere diverse). Durante i tempi antichi, nel sud-est asiatico in realtà la donna si trovava in una posizione rispettata. Alcune diventarono Regine o Alte Sacerdotesse, dato che nelle antiche credenze o in religioni che si basano sull’animismo, come l’induismo e il buddismo (prima di essere istituzionalizzati e forse manipolati) la posizione della donna era uguale a quella dell’uomo, poteva diventare Dea e perfino incarnare il Buddha.

In questo tipo di società, in cui la donna era rispettata e poteva assumere una posizione sociale elevata, sono sicura che questo empowerment ha attraversato un processo di pensiero e di dibattito tra i membri della società. E ho potuto considerarlo nell’eredità della tradizione del monastero Buddista durante il VII-XI secolo, quando nel mio paese la cosiddetta credenza Shiwa-Buddha era fiorente. Il focus della loro pratica è la filosofia e la comprensione del punto di vista spirituale sulla realtà. Dove il fatto materiale della vita non viene visto come l’aspetto più importante. Quindi, nel determinare il potere dello spirito, non ci si basa o giudica solo sulla realtà fisica, ma sulla comprensione del cosiddetto “principio di equilibrio tra le energie femminili e maschili”. E lo scopo di questo tipo di approccio è raggiungere una conoscenza olistica e la cosiddetta saggezza.

Arahmaiani, His-Story, Soho Baby, 2004. Documentazione della performance. Courtesy l’artista.

Arahmaiani, His-Story, Soho Baby, 2004. Documentazione della performance. Courtesy l’artista.

Arahmaiani, His-Story, Soho Baby, 2004. Documentazione della performance. Courtesy l’artista.

EV: In molte delle tue azioni, come His-Story (Storia- di lui) del 2000 e in varie esecuzioni successive, durante esposizioni e festival, hai tracciato alcune parole, come dominazione, sfruttamento o abuso di potere, sul tuo corpo invitando poi il pubblico a scrivere sulla tua pelle in una società in cui nella sfera pubblica gli uomini non possono toccare le donne. In un’altra versione del lavoro, rimani di fronte a un muro pieno di scritte e affermi: “c’è una chiara connessione tra la storia della violenza e il corpo”. Qual è la relazione tra corpo e scrittura? Quale funzione ha il corpo scritto per te?

A: Sono un’artista performativa e visiva. E anche scrittrice e poeta. Quindi il Corpo è stato ed è tuttora argomento principale nel mio lavoro, insieme all’interesse per il testo e per la scrittura. Nel contesto delle mie ricerche riguardanti “His-story”, osservavo anche al modo in cui il corpo della donna viene visto e percepito dagli altri. E quanto il contatto corporeo abbia significato all’interno di questo quadro di comprensione. Ad esempio, quando un corpo è visto come basso e sporco, l’altro non lo toccherà mai o addirittura ne sarà spaventato. Oppure, il colore scuro della pelle sarà considerato non conforme ai canoni della bellezza o addirittura sgradevole da una prospettiva culturale manipolatoria in base ad un determinato programma politico o scopo di sfruttamento.

Il corpo femminile, nella storia, è sempre stato sottoposto ai regimi di sorveglianza imposti dal regime del patriarcato. Così è diventato un campo di battaglia dove si consumano lotte politiche e conflitti d’interesse.

Arahmaiani, Handle Without Care, Germany, 2006.

Arahmaiani, Handle Without Care, frame da video, Bandung, 1996.

EV: Nella tua performance Nation for Sale (Nazione in Vendita) del 1996, indossi un copricapo balinese, un paio di occhiali da sole e impugni una pistola di plastica colorata. In un altro lavoro Offering From A-Z dello stesso anno, attraversi due percorsi delimitati da file di mitragliatrici e fucili, o di nuovo in Handle without care (Maneggiare senza cura), degli stessi anni, con un costume ispirato al tradizionale abbigliamento cerimoniale balinese compi una danza rituale. Ancora feticci del capitalismo consumista (la bottiglia di Coca Cola) e due pistole di plastica. Un chiaro rimando al rapporto tra donne e armi, nel tuo caso simboli della violenza oppressiva militarista, che attraverso il linguaggio del corpo nell’arte è assunto per denunciare una società di stampo patriarcale, fuori da qualsiasi postura vittimistica della donna, penso all’iconica e radicale immagine dalla leggendaria Kathleen Cleaver dei Black Panthers o nel contesto artistico, alla provocatoria Genitalpanik di VALIE EXPORT: che significato hanno le armi in queste tue performance?

Arahmaiani, Offerings-from-A-Z, performance, 1997.

A: Le armi hanno una prima connotazione di “arma” ma anche un significato simbolico come strumenti di potere. Le armi nella vita reale ricoprono una varietà di funzioni, oltre ad essere strumenti per uccidere, risultano anche merci preziose nell’industria omonima. E questo è un business molto redditizio nel mondo odierno. Ciò spinge i padroni delle industrie belliche e gli alleati a creare e manipolare la situazione politica in modo che le persone combattano ed entrino in conflitto l’una con l’altra. Oggi il business delle armi è diventato un affare molto redditizio!

Nelle mie performance ho usato spesso pistole giocattolo (sia quelle che sembrano armi vere, sia quelle di plastica chiaramente finte e colorate). Quelle che sembrano più giocose sono state scelte appositamente, per esprimere la mia fiducia nel principio di non violenza e come io sia riuscita a “giocare” in modo creativo nel trattare questo grave problema, trovando modalità e soluzioni alternative. Attraverso l’esplorazione creativa o un modo di pensare creativo.

Arahmaiani, Lingga-Yoni, 2013, acrylic and rice paper on canvas, 63 x 55 in. (160 x 140 cm). Courtesy of the artist and Tyler Rollins Fine Art.

EV: “La realtà del sesso, come fonte di piacere e mezzo con cui la vita è continuata, è troppo spesso nascosto o considerato come qualcosa di scandaloso” – hai affermato. Nel dipinto Lingga-Yoni (1993), che ti ha causato molti problemi, l’iconografia indù dell’emblema fallico del lingam è rovesciato nel potere femminile dello yoni. O in Etalase, riunisci diversi simboli: dell’Islam, della cultura occidentale e della sessualità. Esposti sotto un vetro, gli oggetti sembrano indistinguibili da una tradizionale vetrina da museo, ma si presentano come simboli per eccellenza della religione, del sesso e del capitalismo. Hai lottato a lungo contro ogni discriminazione nei confronti delle donne; considerate spesso serve e oggetti di piacere. La sessualità è ancora un tabù e la sua emancipazione dalla violenza, l’affermazione e il controllo del nostro corpo, è ancora uno dei temi dell’agenda politica femminista (insieme a una severa critica del capitalismo patriarcale). C’è una differenza tra come ti definivi artista donna quando hai iniziato il tuo percorso e come ti definisci adesso?

A: Penso che il concetto di base della mia pratica artistica sia sempre lo stesso (il principio di “equilibrio tra le energie femminili e maschili”). I metodi invece si sono sviluppati nel tempo. Ho capito che esistono diverse strategie che potrebbero essere implementate e adattate ai vari contesti culturali e ai vari credo. Mi rendo conto che il mio ruolo è uno stimolatore della creatività e il mio lavoro non solo esprime me stessa o la mia idea, ma ispira e stimola anche il pubblico o la comunità con cui entro in contatto. Quando il pubblico o la comunità rispondono alla mia idea e diventano attivi sviluppando una propria idea creativa, la mia opera allora ha funzionato. Sicuramente questo è un processo creativo più complesso e stimolante, ma per me questa è la parte più interessante del lavoro, perché l’ispirazione potrebbe arrivare anche dal “pubblico” stesso. Quindi esiste una sorta di “energia creativa in movimento e dinamica” tra di noi, che ci permette di scorgere molteplici possibilità in divenire nel trovare soluzioni alternative (se si affrontano dei problemi).

EV: Cosa include o esclude per te la “femminilità” e come è cambiata la tua interpretazione e comprensione del termine nel corso degli anni?

A: Nei primi stadi del mio percorso artistico (quando ero giovane), la comprensione della femminilità riguardava più il ruolo e la posizione della donna all’interno di una società patriarcale, o la relazione di potere tra uomo e donna. Poi per anni è stata ulteriormente sviluppata nella direzione della relazione di potere tra “il forte e il debole”. E poi ancora di più, ora si è trasformata in una relazione di potere tra “aspetti opposti in natura”.

Wukir Suryadi, particolare dell’installazione Memory of Nature, strumento musicale, Second Yinchuan Biennale, 2018.

Arahmaiani e Wukir Suryadi, Memory of Nature, veduta del mandala, Second Yinchuan Biennale, 2018.

Arahmaiani e Wukir Suryadi, Memory of Nature, veduta del mandala, Second Yinchuan Biennale, 2018.

Arahmaiani e Wukir Suryadi, Memory of Nature, veduta del mandala, Second Yinchuan Biennale, 2018.

EV: Lo sviluppo più recente della tua ricerca esplora l’ambiente naturale e la spiritualità, come nel progetto partecipativo e community-based in Tibet. A Yinchuan, nei giorni della Biennale, ho assistito a una performance potente con una coinvolgente composizione sonora, insieme al musicista sperimentale Wukir Suryadi – entrambi membri del Rendra’s Bengkel theatre, il primo gruppo teatrale che negli anni ’70 si era ribellato contro il governo militare, attraverso esibizioni in spazi pubblici e dell’arte – che rientra in un ciclo di lavori realizzati in seguito a una lunga permanenza in un monastero tibetano, con una comunità di monaci: Memory of Nature (2010 – in corso) in cui usi la forma del tempio di Borobudur a Giava. Come è nato l’interesse per il Tibet e questo progetto a lungo termine? Cosa significa “creatività collettiva”?

A: In realtà lavoro già sulle questioni ambientali dagli anni ‘90. Quando fui invitata alla 2a edizione dell’Asia Pacific Triennale a Brisbane, in Australia nel 1996, formai un gruppo di artisti del Sud-est asiatico e avviai il progetto chiamato: “Plastic Project & Other Waste”. Era un tipo di progetto artistico comunitario e le opere prodotte sono poi state esposte nella galleria della Chulalongkorn University a Bangkok, in Thailandia. Poi nel 2010 sono stata invitata a una mostra collettiva (di artisti indonesiani contemporanei) al Museo di arte contemporanea di Shanghai in Cina. I curatori (originari dell’Indonesia e della Cina) Aminuddin Siregar e Biljana Ciric hanno selezionato l’opera di natura comunitaria The Flag Project. Ma poi mi sono resa conto che questo tipo di pratica artistica era qualcosa di nuovo (specialmente in Cina), quindi ho suggerito ai curatori di darmi la possibilità di lavorare con comunità emarginate o colpite da calamità naturali nel territorio. Un devastante terremoto aveva coinvolto (un mese prima che proponessi l’idea) l’area di Kham ad est del Tibet centrale. Ho dovuto firmare un accordo con il museo per sollevarlo da qualsiasi responsabilità nel caso in cui mi fosse accaduto qualcosa di pericoloso nel recarmi nella regione di Kham, in quanto sostenevano che agli stranieri non era permesso entrare in quella zona!

Arahmaiani, The Tibet Project (2010 – in corso). Progetto partecipativo e community-based. Courtesy l’artista.

Arahmaiani, The Tibet Project (2010 – in corso). Progetto partecipativo e community-based. Courtesy l’artista.

Ma dal momento che il mio assistente, il giovane artista Li Mu da Shanghai, mi ha convinto che sarebbe andato tutto bene se avessi viaggiato con lui, dato che era cinese, ho deciso di andarci. E da quel momento ho instaurato un rapporto lavorativo sull’altopiano del Tibet con un gruppo monastico (la setta Gelugpa) e un gruppo di laici che continua ancora oggi. I tibetani mi hanno davvero accolto e hanno risposto alle mie idee in modo molto positivo. Ho quindi ottenuto un permesso dal governo per lavorare in quell’area, anche se a una condizione rigorosa: che non mi fosse permesso usufruire di alcun sostegno o finanziamento dall’esterno! Ad ogni modo, siamo riusciti a realizzare dei buoni progetti nei primi 5 anni, iniziando dalla gestione dello smaltimento e del riciclaggio dei rifiuti e poi dalla piantumazione di alberi, dal rilancio e dal recupero di forme di agricoltura biologica, a quello della cultura e dello stile di vita nomade.

Arahmaiani, The Tibet Project (2010 – in corso). Progetto partecipativo e community-based. Courtesy l’artista.

L’ultimo progetto, il più importante, è quello che riguarda la gestione dell’acqua e delle risorse idriche. Poiché l’Altopiano del Tibet è noto come “Asia Water Tower”, più di 2 miliardi di asiatici vivono dell’acqua proveniente da lì, è noto anche come “Il terzo polo” o uno dei più grandi ghiacciai sulla terra (dopo il Polo Nord e il Polo Sud). Oggi a causa del riscaldamento globale il ghiacciaio si scioglie molto velocemente e minaccia che la riserva di acqua si prosciughi! Inoltre lo scioglimento del permafrost si trasformerà in CO2, influenzando l’intero ecosistema del pianeta! Di sicuro il riscaldamento globale peggiorerà!

Sì, la creatività collettiva è un’attività e una capacità che viene condivisa all’interno della comunità, dove tutti sono coinvolti e si stimolano a vicenda. Mentre il cosiddetto artista ha il compito speciale di avviare il processo. Questo è un tipo di esplorazione creativa non egotistica in cui ognuno deve sempre considerare l’altro oltre a sé stessa, o sé stesso.

Arahmaiani, Shadow of the Past, 2015, performance. Courtesy l’artista e Tyler Rollins Fine Art.

EV: Politics of Disaster. Gender, Environment, Religion è la tua prima esposizione personale in Italia: in che modo sono raccontate le diverse fasi della tua traiettoria artistica – focalizzata su argomenti diversi come il genere e la religione, le battaglie per la giustizia sociale e l’ecologia?

A: Marco Scotini mi ha invitato l’anno scorso e ho accettato con piacere. In realtà ci siamo incontrati e abbiamo lavorato insieme alla Biennale di Yinchuan di due anni fa. Immagino che dopo aver appreso la mia arte e la mia pratica, mi abbia chiamata per la mostra personale al PAV. In realtà la mia comprensione di argomenti diversi come il genere, la religione, la giustizia sociale e l’ecologia sono concatenati. Vedo che le materie sono in realtà collegate l’una all’altra (in termini accademici si definisce come approccio “transdisciplinare”). Un procedimento che parte sempre da una prima idea, passo dopo passo e in relazione alla realtà con la quale mi sto confrontando, per concentrarmi solo su un argomento quando necessario, o quando la situazione lo richiede. Ma quando affronto ognuno di questi argomenti singolarmente, alla fine risulta sempre collegato agli altri.

E adoro lavorare con Marco dato che riesce a capire il mio modo di pensare e operare, il mio metodo e le modalità con cui mi pongo verso questi stessi argomenti che sono la mia ricerca. Il tutto attraversato dalla filosofia orientale, che è alla base della mia esistenza e del mio approccio.

Arahmaiani, The Tibet Project (2010 – in corso). Progetto partecipativo e community-based. Courtesy l’artista.

Arahmaiani, The Tibet Project (2010 – in corso). Progetto partecipativo e community-based. Courtesy l’artista.

EV: Staying with the Trouble, secondo Donna Haraway significa imparare a vivere e morire insieme “in un pianeta infetto, danneggiato, irritabile”, in un tempo profondamente disturbato; sopravvivere nel disagio, coesistere con la devastazione. Cosa possiamo imparare da questa emergenza globale che stiamo attraversando? Cosa significa per te il concetto di “disastro”?

A: In realtà, possiamo imparare molto da questa situazione di emergenza che noi umani abbiamo creato. Nel momento in cui siamo in grado di vederla e accettare la sua esistenza, ammettere che abbiamo commesso un errore, che ci dimentichiamo di controllarci dall’essere egoisti, avidi e ossessionati dal potere! Questo è un momento molto triste e molto oscuro. Ma è anche un buon momento per imparare rendersi conto degli errori e della stupidità che abbiamo creato noi stessi! Si può vedere la luce più chiaramente quando è buio, giusto?!

Ora è il momento di cambiare il nostro modo di pensare e di approcciarci alla natura e gli altri esseri. È tempo di smettere di vedere la natura e gli altri esseri umani e non umani come un semplice oggetto da sfruttare e utilizzare a nostro vantaggio o solo a scopo di lucro! Quindi, quando facciamo arte, dobbiamo interrogarci seriamente sul perché e per che cosa produciamo. Se è solo per fare soldi e profitto, o semplicemente per creare una merce, penso che non dovremmo chiamarla opera d’arte. Sì, dovremmo porci domande sul significato della creatività e sul perché dobbiamo ancora lavorare con essa. E su quale sia la funzione dell’arte nella vita/mondo problematico di oggi.

Arahmaiani, The Tibet Project (2010 – in corso). Progetto partecipativo e community-based. Courtesy l’artista.

Nella mia pratica cerco di esprimere il mio pensiero e il mio atteggiamento attraverso la mia arte. Ci sono molti problemi a cui penso o su cui sono critica. Ma poi ho anche capito che interrogare o protestare non è abbastanza. E anche esprimerlo attraverso un’opera d’arte in senso tradizionale non è ancora abbastanza per me!

Questo è il motivo per cui la mia tendenza a fare arte può essere definita “sperimentale”, nel senso che non voglio che la mia creatività sia limitata ad una “forma d’arte convenzionale”. Lascio che la mia arte esplori la cosiddetta creatività in tutte le sue possibilità, andando oltre i confini tradizionali.

 

Arahmaiani, The Tibet Project (2010 – in corso). Progetto partecipativo e community-based. Courtesy l’artista.

Arahmaiani, The Tibet Project (2010 – in corso). Progetto partecipativo e community-based. Courtesy l’artista.

Poi sono riuscita a vedere che esiste una soluzione alternativa ai problemi che dobbiamo affrontare, ci lavoro, e fondo su questo pensiero il punto di partenza della mia esperienza con le comunità: fronteggiare tutti i tipi di problemi che la comunità deve affrontare in modo creativo. Il mio compito è quello di stimolare la creatività, non solo la mia ma anche quella della comunità.

Il concetto di disastro per me è molto profondo, come ho già detto in precedenza, è una situazione in cui “devo alzarmi” ed esplorare forme inedite di creatività per trovare soluzioni alternative e originali ai problemi che stiamo affrontando!

Il disastro è una situazione oscura in senso negativo, ma questo è “un tempo che ci permetterà di vedere la luce”.

[traduzione di Giordano Cruciani]

Arahmaiani, The Tibet Project (2010 – in corso). Progetto partecipativo e community-based. Courtesy l’artista.

note:

[i] Angela Dimitrakaki, The Premise of Contradiction and Feminist Politics: Reflections on Arahmaiani’s Art and Life, ibidem.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *