«Sulle barricate c’erano delle bandiere rosse e su una c’era un cartello con su scritto: Cosa vogliamo? Vogliamo tutto» Nanni Balestrini, Vogliamo tutto, Feltrinelli, 1971.
«Ero a Milano, per questo non sono stato arrestato. Io risiedevo a Roma, ma ero a Milano per lavoro. Stavo fondando Alfabeta.
Ricordo benissimo quel momento: ho attraversato piazza Cadorna per comprare il Corriere d’Informazione, che usciva in edizione pomeridiana. Un grande titolo in prima pagina diceva “Il terzo ricercato è Balestrini”. E allora mi sono un pò preoccupato [ride], non sono più andato nella casa dove stavo ma da un amico molto defilato, che non destava sospetti. Sono stato lì un paio di giorni. Mia sorella aveva un fidanzato che era un campione di sci, e che stava facendo il servizio militare come maestro di sci a Courmayeur: così l’ho raggiunto, e una mattina all’alba abbiamo preso la funivia che sale sul Monte Bianco. In cima c’era un carabiniere assonnato che a malapena ci ha guardati. Siamo scesi sciando dall’altra parte, verso Chamonix, in Francia» intervista a Nanni Balestrini.
Uliano Lucas, Lo scrittore Nanni Balestrini in un caffè di via Nino Bixio, Milano, 1986.
Nanni Balestrini, La polizia, 1972.
«Nei primi anni Sessanta, anche se non esisteva ancora il digitale, si sperimentavano le prime tecnologie elettroniche. A Milano c’era lo Studio di Fonologia della RAI, dove i musicisti producevano la prima musica elettronica. Ci operavano Bruno Madera, Luciano Berio e Luigi Nono con cui collaboravo. Nel 1961 ho realizzato la prima poesia con un calcolatore elettronico. L’IBM mi aveva messo a disposizione un ingegnere con il quale preparammo un programma che combinava una serie di versi secondo alcune semplici regole che venivano comunicate alla macchina con le schede perforate che si usavano allora. E in poco tempo il calcolatore produsse un grandissimo numero di poesie, tutte diverse combinazioni di quei versi. La cosa fece scandalo: in che modo una cosa sublime come la poesia poteva essere creata da una macchina (che in verità non crea niente, esegue solo passivamente delle istruzioni)? L’interesse dell’esperimento è nella velocità con cui le combinazioni si compiono, e nei risultati imprevisti e casuali che si ottengono »[i].
Nanni Balestrini, Come si agisce, Feltrinelli, 1963.
Tape Mark I è una “poesia combinatoria composta con l’ausilio di un calcolatore elettronico IBM (così allora veniva chiamato il computer)” nel 1961 da Nanni Balestrini, pubblicata insieme a un articolo esplicativo apparso nell’Almanacco Letterario Bompiani nel 1962; il numero dei risultati e delle associazioni possibili era ampissimo, quindi quella che apparve come una piccola serie di varianti, di uno dei primissimi testi (certamente il primo in Italia) di scrittura poetica combinatoria e computeristica, costituiva un campione sufficiente a mostrare il senso dell’operazione, in cui una serie di frammenti di frasi venivano montate in successione, fino a formare sequenze di versi, seguendo semplici regole trasformate in un algoritmo che guidava il lavoro della macchina, capace di effettuare concatenazioni di diversi elementi linguistici secondo un programma prestabilito[ii]. Tape Mark I non è una poesia lineare, nè di facile lettura, le parole si mescolano in un flusso narrativo asintattico e polisemico, ad alto grado di figuralità, con accumuli di versi spezzati che stravolgono i normali rapporti di causa e tempo, in un riuso linguistico di lacerti e citazioni, collage testuali e frammenti di varia provenienza letteraria, configurati in un “meccanismo puramente verbale” e aleatorio, di completa autonomia del significante.
Nanni Balestrini, L’intellettuale stanco, 1972.
«Arrivati a Balestrini non basta essere preparati a una violazione radicale del codice. Occorre, a intendere il suo lavoro, rendersi conto che ci si trova di fronte a un codice totalmente nuovo»[iii]. Una poesia priva di soggetto: la messa al lavoro del processo creativo attraverso un sistema meccanico e tecnologico, oltre che programmatico, è connessa alla posizione dell’intellettuale calato nella realtà industriale. La scrittura non è l’esito dell’affermazione di un’istanza autoriale ma tende piuttosto alla sparizione del soggetto, alla riduzione della sua presenza: “non c’è nessun linguaggio ma un processo di ricombinazione. Non c’è nessun soggetto ma un effetto di soggettività”[iv]. In generale rispetto alla produzione di questi anni il funzionamento strutturale del segno linguistico, che conserva ancora una base semantica, ossia assolve alla sua funzione di rappresentazione, si colloca radicalmente in una dimensione extra-soggettiva ed extra-estetica, che fa della poesia un’arte della ricombinazione e non dell’espressione.
Nanni Balestrini, Revolution de Mai, 1968.
“I muri della Sorbona”: la proletarizzazione del lavoro intellettuale e la de-soggettivazione dell’autore
Tape Mark I cotituisce ancora oggi una esplorazione estrema del mezzo, la “creazione di strutture testuali con l’assemblaggio meccanico di spezzoni di tessuto linguistico (Sanguineti parla di una “poesia ex machina” a proposito degli esperimenti di poesia elettronica). Se Giuliani evoca, in una prospettiva artistica autonoma, i collages di Schwitters, Sanguineti, in Ideologia e linguaggio, evidenzia l’eteronomia balestriniana: l’apertura del testo viene infatti situata nell’accidente formale (performativo), calcolata proposta in un universo formato da infinite potenziali possibilitá e combinazioni”[v].
Nanni Baletrini, Tristano, Feltrinelli, 1964.
La funzione intra-verbale della parole e i suoi significati, si muove dentro al nostro sistema linguistico, ma le micro-sequenze narrative non sono prodotte da nessun autore, se non quello meccanico-tecnologico dell’elaboratore di dati elettronico (o come disse Umberto Eco: «Balestrini si presenta come lo scrittore più pigro che sia mai esistito, perché si potrebbe dire – esagerando un poco – che di suo non ha mai scritto una sola parola e ha soltanto ricomposto brandelli di testi altrui»). Seguiranno il primo romanzo multiplo in copia unica» Tristano (1967) e Tristanoil, «il film più lungo del mondo» (di oltre 2.400 ore) generato attraverso un computer che riassembla configurazioni potenzialmente infinite, presentato nel 2012 alla kermesse internazionale dOCUMENTA (13) di Kassel. Un approccio che, come vedremo più avanti, si rivela di grande anticipazione, come tutta la sua potente versatilità artistica e attività intellettuale, di proliferazione della moltitudine e delle soggettività contemporanee, nell’indisponibilità alla mediazione intellettuale, nell’emersione di una prospettiva conflittuale dentro i binari del paradigma estetico di opere ed enunciati collettivi, senza però riconoscersi nella prassi creativa dell’istituzione artistico-culturale né tantomeno nella matrice rappresentativa e predicatoria dei contributi politici:
«La proletarizzazione del lavoro intellettuale apre la prospettiva dell’uso operaio della tecnologia. Lo sviluppo capitalistico raggiunge il suo limite, e la contraddizione tra produzione di valore d’uso e valorizzazione si rivela in tutta la sua pienezza. Per il potere la cultura deve funzionare come mediazione tra gli interessi della società capitalistica e gli interessi dello strato intellettuale, ma deve cercare di realizzare questa funzione in modo complesso. Ma ormai la mistificazione dell’indipendenza della cultura dal processo produttivo è messa in crisi dalla stessa massificazione di questa figura sociale. Il movimento operaio ha pensato che l’aggregazione degli intellettuali avesse la forma della mediazione culturale (Gramsci), oppure la forma di un’adesione volontaristica al partito (Lenin). Queste ipotesi sono superate nel momento in cui il lavoro intellettuale entra a far parte della composizione sociale del lavoro produttivo» [vi]
Nanni Balestrini, 65000 Etudiants, 1972.
“I testi di Balestrini praticano una violenta oggettivazione della parola”[vii], appropriandosi di una procedura fondata sul remix, sul cut-up, sul collage, al fine di ricostruire uno sguardo che sia al contempo personale e collettivo; come scrittore e artista assume una metodologia che può essere chiamata “ricombinazione”, in quanto preleva e ricombina frammenti preesistenti e di natura disparata tratti dal discorso pubblico in corso (notizie estrapolate dai giornali, volantini, pubblicità, voci di strada, discorsi politici, testi scientifici e tecnici di vario genere e registro narrativo). Dai suoi assemblaggi testuali e visuali iniziati con i primi Cronogrammi nel 1963, questa pratica è poi trasposta anche su un’ampia parte della sua produzione letteraria. Il collage, nelle arti visive, produce una frattura linguistica e concettuale, il cui layout, l’estetica dello slogan, la composizione grafica, la parola-oggetto e le sue implicazioni semantiche riposizionano la natura retorica e mendace della comunicazione mediale e dei fatti di cronaca, con un risultato visivamente violento, che esprime tutta la rabbia, l’incertezza e l’utopia di un’epoca di lotte sociali: Potere operaio, Sì alla violenza operaia.
“Sulle barricate c’erano delle bandiere rosse e su una c’era un cartello con su scritto: Cosa vogliamo? Vogliamo tutto”. Anche negli esperimenti letterari, come accade ne La violenza illustrata (1976), Balestrini sceglie un “protagonista corale”, un individuo singolo la cui espressione assume una postura plurale. è questo il criterio compositivo che si ritrova nel romanzo Vogliamo tutto (1971) che ha per protagonista un operaio della Fiat migrato in cerca di fortuna dall’Italia Meridionale, la cui voce collettiva è trascritta da Balestrini come se fosse un documento politico, la cronaca di una conflittualità operaia e sociale, nel corso dell’autunno caldo delle lotte alla FIAT, raccontate attraverso un nuovo soggetto politico, l’operaio-massa, che è parte di un’organizzazione antagonista e della sua storia.
Nanni Balestrini, La violenza illustrata, Einaudi, 1976.
“Le politiche della letteratura non sono le politiche dei suoi scrittori. Non si occupano del loro impegno personale nei confronti delle questioni sociali e politiche e delle lotte del prprio tempo. Non si tratta né dei modi di rappresentazione degli eventi politici, né della struttura sociale e delle lotte sociali nei loro libri o discorsi. Il sintagma “politiche della letteratura” significa che la letteratura «fa» politica come letteratura in sé – che c’è uno specifico legame tra la politica come modo definito di fare e la letteratura come pratica definita di scrittura e di parola”[viii].
Così, fin dagli esordi letterari accompagnanti dalle eccedenze linguistiche della neoavanguardia letteraria – dai Novissimi all’’esperienza nel Gruppo 63 di tendenza marxista e strutturalista – Balestrini manifesta la propria criticità nei confronti dei codici della letteratura dominante ma certo è che nei suoi romanzi successivi, da Vogliamo tutto (1970) a La violenza illustrata (1976), Le Ballate della signorina Richmond (1977), Blackout (1980), da Gli invisibili (1987) a L’editore (1989), da I furiosi (1994) a Una mattina ci siam svegliati (1995), a Carboniaeravamo tutti comunisti (2012), si è riappropriato di un forte rapporto con la realtà, senza abbandonare tuttavia lo sperimentalismo, in cui scrittura e azione politica sono inestricabili[ix].
Nanni Balestrini, Potere operaio, 1971.
Incriminato nel quadro dell’inchiesta del «7 aprile» dal teorema Calogero, a causa della sua aperta militanza politica a favore dei gruppi dell’autonomia, si rifugia in Francia. Nel 1988 firma con Primo Moroni “L’orda d’oro”, pietra miliare di ricostruzione di quella ondata rivoluzionaria e creativa, politica ed esistenziale che era stato il lungo 68 italiano, da un punto di vista interno alle lotte. «Dopo vent’anni – aveva scritto Balestrini – la vendetta contro i “cattivi maestri” non è ancora terminata, a monito di tutti coloro che siano tentati di immaginare l’esercizio intellettuale libero dalla costrizione a riprodurre unicamente la società esistente»[x].
In mezzo c’è stato il ’68.
“C’era il Maggio francese, io ero già andato a Parigi più volte in quel periodo – racconta Balestrini in una intervista su Flash Art -. Quando a La Tartaruga ci fu il progetto intitolato ‘Teatro delle Mostre‘ ero là per raccogliere materiale per la rivista di cui mi occupavo, Quindici. Plinio De Martiis mi aveva chiesto di ideare qualcosa per il “Teatro delle Mostre”, e vedendo gli slogan della contestazione scritti sui muri della Sorbona avevo pensato di trasferirli sulle pareti della galleria. Tornai a Roma in aereo all’ultimo momento il giorno dell’inaugurazione e dall’aeroporto dettai per telefono le prime frasi tradotte per farle scrivere sui muri della galleria”[xi].
Nanni Balestrini, I muri della Sorbona, da “Teatro delle mostre”, Galeria La Tartaruga, Roma, 1968.
Nanni Balestrini, I muri della Sorbona, da “Teatro delle mostre”, Galeria La Tartaruga, Roma, 1968.
Nanni Balestrini, I muri della Sorbona, da “Teatro delle mostre”, Galeria La Tartaruga, Roma, 1968.
Il Teatro delle mostre si tenne nel mese di maggio dal 6 al 31, alla galleria romana “La Tartaruga”. Ciascuno degli artisti invitati, non solo artisti visivi ma anche scrittori e musicisti, esponeva per un solo giorno in una dimensione di contingenza vicina all’happening. Plinio de Martiis, l’ideatore del format espositivo, voleva riportare il teatro in galleria, ma la concezione di teatro, non era legata alla spettacolarità delle opere quanto al loro carattere preminente di azioni, nonchè alla trovata della successione scenica degli artisti-attori. Così in pieno clima di contestazione Nanni Balestrini, di ritorno da Parigi, dettò telefonicamente i primi slogan delle lotte studentesche durante il maggio francese che avevano gettato il germe della soggettivazione politica (da cui il titolo dell’azione I muri della Sorbona[xii], tra le scritte: “L’immaginazione prende il potere”, “É proibito proibire”, “La più bella scultura è il pavé”, “Dire sempre di NO per principio”, etc.) che venivano riportate e ripetute con i gessetti colorati nelle pareti dello spazio espositivo da Alfredo Giuliani, Cesare Milanese, Giulia Niccolai e Achille Bonito Oliva (che si era occupato delle schede critiche degli artisti in catalogo). Poi giunse direttamente Balestrini dall’areoporto e completò la trascrizione. Questa azione non è stata la rappresentazione di una manifestazione ma il montaggio straniante e decontestualizzato in una pittura murale delle scritte della rivolta. Maurizio Calvesi, curatore della mostra affermava nel saggio introduttivo: “Impassibilmente distaccata (una pura operazione di riporto), ma ostentatamente ideologica l’operazione di Balestrini, che trasferendo le scritte della Sorbona occupata sui muri della galleria ne ha verificato, tra l’altro, il parziale spaesamento, riproponendosi il rapporto strutturale tra parola e medium. Balestrini è riuscito a inserirsi nel solco della comune esperienza figurativa, visualizzando le parole, sfruttando, in sostanza, ad un livello non più formalistico bensì esistenziale, risolto in un gesto, le risorse a lui ben note della poesia visiva. La scrittura inneggiante a “l’immaginazione al potere” forniva del resto, in termini marcusiani, la chiave di volta del nuovo sodalizio tra estetica e ideologia”[xiii].
Nanni Balestrini, I muri della Sorbona, da “Teatro delle mostre”, Galeria La Tartaruga, Roma, 1968.
Come ha acutamente scritto Bifo nella recente prefazione alla traduzione inglese di Blakout definendo Balestrini come il poeta più radicalmente formalista della scena italiana e il più esplicitamente impegnato in un senso politico: “Fin dagli anni Sessanta la cultura italiana è stata attraversata dal fuoco freddo di un certo tipo di sperimentalismo chiamato Neoavanguardia, per distinguere quel movimento dall’avanguardia storica che nel primo decennio del secolo bruciava con un fuoco passionale, aggressivo e distruttivo. Umberto Eco, Edoardo Sanguineti, Alberto Arbasino e molti altri erano coinvolti nella Neoavanguardia, il cui stile era basato su un elegante gioco di citazioni, ammiccando e suggerendo. Poi, dal suo fuoco freddo emerse il volto angelico e diabolico di Nanni Balestrini, dalla sua testa fredda e il cuore caldo. O, contrariamente, il cuore freddo e la testa calda, chissà. […] Comunque, Balestrini riuscì a mantenere uno stile sperimentale freddo mentre si occupava di soggetti molto caldi e oggetti verbali. […] Balestrini è stato testimone letterario nel teatro del conflitto sociale, ma contemporaneamente è stato un attore sul palco. Tuttavia è riuscito ad essere ironico e lontano, pur essendo coinvolto nel corpo e nell’anima. Ecco perché il suo sguardo letterario è sia complice che distaccato”[xiv].
Nanni Balestrini, Pericolosamente, dalla serie “Non succederà mai più”, 1969.
«Cosa importa chi parla?»: è il punto di partenza della conferenza intitolata Che cos’è un autore? pronunciata nel 1969 davanti alla Société Française de Philosophie da Michel Foucault che teorizzava così una collocazione della funzione-autore non nell’individuo parlante che ha pronunciato o scritto un testo o un enunciato, ma l’autore come principio di raggruppamento dei discorsi, come unità ed origine dei loro significati.
Come non avvicinare a quest’analisi la decentralizzazione del soggetto (che accomuna Balestrini ad altre figure radicali del sistema dell’arte italiano, da Piero Gilardi a Carla Lonzi, per fare due esempi)? Non semplicemente il paradigma della sparizione dell’autore che si dissolve in una funzione collettiva rispetto alle assegnazioni delle gerarchie del potere, ma l’autore come fondatore di discorsività, o moltiplicatore di discorsi, in cui la pluralità delle fenomenizzazioni della letteratura, la comunicazione, il linguaggio e l’informazione, soprattutto nell’opera e nella vita di Balestrini, si rivelano terreno di scontro sociale.
Nanni Balestrini, Le ballate della signorina Richmond, Cooperativa Scrittori, 1977.
Il libro come agente di enunciazione collettiva pone la questione del linguaggio in un processo di deterritorializzazione in cui l’uso della lingua è voce dell’impegno rivoluzionario attraverso rivisitazioni e cut-up letterari sperimentati nei linguaggi visivi. Nell’avanguardia letteraria di Balestrini il linguaggio è esperienza diretta e immagine della lotta e della violenza, in un controcanto composto di discorsi reali, proclami e slogan.
“Dopo il ’68, dopo la fine dello sperimentalismo italiano, trova spazio una tendenza che i critici hanno definito ‘letteratura selvaggia’. É stata un’esperienza di spiazzamento del luogo stesso della scrittura: testi di operai, carcerati, donne […] il soggetto collettivo scrive nella storia reale contro l’ordine costituito delle cose. L’interruzione del flusso razionale del processo produttivo di merci, della valorizzazione è il modo in cui il soggetto collettivo scrive […] ma il soggetto collettivo scrive, oltre che nella sua pratica complessiva di deterritorializzazione pratica, anche sul terreno specifico della comunicazione, della produzione di testi. […] Nei testi del movimento è un soggetto collettivo che parla: non c’è un soggetto esterno al mondo, lo scrittore, intento a osservare un oggetto nuovo, il proletario in lotta, dal luogo dell’istituzione letteraria democratizzata. Il soggetto che entra nelle forme di comunicazione dominanti, le interrompe ironicamente, le riduce ad essere – loro – oggetto, le osserva inerti, disarticolate, ridotte a segni deconcettualizzati”[xv],
Così, oltre dieci anni più tardi, per Guattari era subito chiara la grande novità che uno strumento di comunicazione come la radio veniva ad assumere all’interno del movimento. “La guerriglia dell’informazione, il ribaltamento organizzato della circolazione delle informazioni, la rottura del rapporto tra emissione e circolazione dei dati… si situa all’interno della lotta generale contro l’organizzazione e il controllo del lavoro.”
Tanto Radio Alice che la rivista “A/traverso” diventeranno laboratori per l’emersione di un nuovo linguaggio in grado di promuovere nuovi rapporti fra classi sociali e rapporti di produzione per cui il lavoro intellettuale non si pone più all’esterno o al servizio del movimento ma all’interno.
Nanni Balestrini, Sì alla violenza operaia, 1972.
Quello di Balestrini resterà sempre un soggetto collettivo, allo stesso modo per cui “i testi prodotti dal movimento non sono da vedere nè come prodotti dell’istituzione letteraria, nè come un contributo politico predicatorio […] Non si tratta di mettere gli intellettuali al servizio del popolo: qui gli intellettuali (istituzione letteraria), là il popolo (la politica) […] Nei testi del movimento è un soggetto collettivo che parla: non c’è un soggetto esterno al mondo”[xvi].
«Occupazione senza soggetto. Movimento senza soggetto. Composizione asoggettiva. Gli attuali movimenti di occupazione sono caratterizzati dal loro fare a meno di qualsiasi soggetto» – riflettendo sul microfono umano Gerald Raunig descrive così le giornate di Occupy a Zuccotti Park: «Nessuna unità, nessuna totalità, nessuna classe identificabile. Le teorie classiche della rivoluzione vedrebbero tutto questo come un problema, dato che il soggetto (rivoluzionario) è la condizione per la possibilità della rivolta, dell’insorgenza, della rivoluzione, come una componente imprescindibile di una teoria a stadi: soltanto quando appare all’orizzonte un soggetto uniforme, un blocco molare, la classe operaia, un fronte unito, solo allora – guardando alle cose da questa prospettiva – la rivoluzione può avere inizio. Eppure, l’assenza del soggetto non deve essere interpretata come una mancanza. Al contrario, potrebbe indicare una nuova qualità nella rivoluzione, una rivoluzione d’ora in poi molecolare, e un primato della molteplicità al suo interno. Quando il soggetto non c’è, non è un difetto, come uno spazio vuoto (ancora) da riempire, che supplica di essere colmato. Dal punto di vista della composizione della rivoluzione molecolare non c’è l’esigenza di unità, o della rappresentazione di un soggetto (di classe) unificato dai leader, dal partito e dall’avanguardia». La frammentazione del soggetto appare in tutto il suo fervido potenziale: «In verità » prosegue Raunig, citando Deleuze e Guattari «non è abbastanza dire ‘Viva la moltitudine’ […]. La moltitudine va creata»[xvii].
Nanni Balestrini, Blackout, Feltrinelli, 1980.
Non era stata una straordinaria anticipazione, quella di Balestrini di questo processo dissoluzione dell’uomo/soggetto/autore verso l’intellettualità di massa? L’espressione (o meglio la ricombinazione) estetica, linguistica e creativa può essere svincolata dai rapporti materiali di produzione? In questo principio di rinuncia, da parte dello scrittore, a rivestire il ruolo dell’artista-creatore isolato, a favore di dinamiche moltitudinarie e plurali, pensiamo ancora a Vogliamo Tutto (1971) in cui Balestrini rinuncia all’autoralità, se non quella del ‘montatore’ di un collage testuale composto dalle rivendicazioni, dalle parole e dai desideri collettivi che muovono gli operai stessi. E se, come ormai ampiamente sostenuto, nell’età del lavoro cognitivo “l’attività artistica è completamente integrata alla valorizzazione capitalistica”[xviii], queste operazioni di Balestrini (da Tape Mark I, ai I muri della Sorbona, agli esperimenti letterari e gli assemblaggi verbo-visuali) dimostrano, al contrario, come i mezzi di produzione non sempre intaccano quelle stesse azioni artistiche, o almeno le sue libertà.
Elvira Vannini
Nanni Balestrini alla mostra L’Inarchiviabile The Unarchivable. Italia anni ’70 a cura di Marco Scotini, FM Centro per l’Arte Contemporanea, Milano, 2016.
note:
[i] Citazione tratta dall’intervista di Nanni Balestrini con Giacinto di Pietrantonio: http://www.flashartonline.it/article/nanni-balestrini/
[ii] Così spiega il procedimento combinatorio del calcolatore elettronico lo stesso Balestrini, (http://gammm.org/wp-content/uploads/2007/02/nanni-balestrini.-tape-mark-I.pdf); “Letteratura e arte hanno nell’ultimo cinquantennio costantemente prestato una attenzione vivissima ai fondamenti dei propori processi immaginativi e costruttivi, individuabili e riassumibili nelle successive fasi di decomposizione dei materiali precostituiti, e di ricomposizione in un risultato creativo.”
[iii] “Il Verri e i Novissimi ovvero la Nuova avanguardia, in Fausto Curi, La poesia italiana nel Novecento, Edizioni Laterza, 2001, p. 375.
[iv] Franco Berardi Bifo al convegno “Tutto” in una volta: Nanni Balestrini, FM Centro per l’Arte Cotemporanea, Milano, giugno 2016 a cura di Manuela Gandini e Marco Scotini.
[v] Tommaso Lisa, Le poetiche dell’oggetto da Luciano Anceschi ai Novissimi. Linee evolutive di un’istituzione della poesia del Novecento, Firenze Univesity Press, 2007, p.200.
[vi] «A/traverso», ottobre 1975
[vii] Tommaso Lisa, Le poetiche dell’oggetto…, ibidem, p. 195.
[viii] Jacques Rancière, Dissensus. On Politics and Aesthetics, Continuum Publishing Group, 2010, p.152.
[ix] Basti pensare anche all’esperienza della Cooperativa Area fondata da Balestrini nel 1976 riunisce sotto un’unica sigla editoriale una decina di case editrici autogestite (Squi/libri, Librirossi, Edizioni del No, Coop Scrittori, Edizioni delle Donne, Lavoro Liberato, L’Erba Voglio ecc.).
[x] “Cattivi maestri”, in Settantasette. La rivoluzione che viene, a cura di Sergio Bianchi e Lanfranco Caminiti, DeriveApprodi 1997.
[xii]”Ma era nientedimeno che il maggio Sessantotto. Gli studenti parigini urlavano «l’immaginazione al potere», rifacendo il verso ai surrealisti che avevano attinto ai futuristi («L’arte al potere!» di Marinetti). Nanni Balestrini, dalla Sorbona, telefonò le scritte studentesche che cominciarono a essere riportate sui muri della galleria; altre ne dettò da Orly e poi da Fiumicino; un’ora dopo entrò in galeria e trascrisse egli stesso gli ultimi slogan. Molto coinvolgente”. Maurizio Calvesi, “Cronache e coordinate di un’avventura”, in Roma Anni ’60. Al di là della pittura, cat. Della mostra, 1990, Edizioni Carte Segrete, p. 31.
[xiii]Ibidem
[xiv] Franco Berardi Bifo, “On Nanni Balestrini, the Most Radically Formalist Poet of the Italian Scene”, introduzione a Blackout di Nanni Balestrini, traduzione Peter Valente, courtesy AK Press, 2017.
[xv] Félix Guattari e le Radio libere; Felix Guattari,Desiderio e rivoluzione, Squi/libri, Milano, 1977.
[xvi] Franco Berardi BIFO, La barca dell’amore si è spezzata, 1978
«Sulle barricate c’erano delle bandiere rosse e su una c’era un cartello con su scritto: Cosa vogliamo? Vogliamo tutto» Nanni Balestrini, Vogliamo tutto, Feltrinelli, 1971.
«Ero a Milano, per questo non sono stato arrestato. Io risiedevo a Roma, ma ero a Milano per lavoro. Stavo fondando Alfabeta.
Ricordo benissimo quel momento: ho attraversato piazza Cadorna per comprare il Corriere d’Informazione, che usciva in edizione pomeridiana. Un grande titolo in prima pagina diceva “Il terzo ricercato è Balestrini”. E allora mi sono un pò preoccupato [ride], non sono più andato nella casa dove stavo ma da un amico molto defilato, che non destava sospetti. Sono stato lì un paio di giorni. Mia sorella aveva un fidanzato che era un campione di sci, e che stava facendo il servizio militare come maestro di sci a Courmayeur: così l’ho raggiunto, e una mattina all’alba abbiamo preso la funivia che sale sul Monte Bianco. In cima c’era un carabiniere assonnato che a malapena ci ha guardati. Siamo scesi sciando dall’altra parte, verso Chamonix, in Francia» intervista a Nanni Balestrini.
Uliano Lucas, Lo scrittore Nanni Balestrini in un caffè di via Nino Bixio, Milano, 1986.
Nanni Balestrini, La polizia, 1972.
«Nei primi anni Sessanta, anche se non esisteva ancora il digitale, si sperimentavano le prime tecnologie elettroniche. A Milano c’era lo Studio di Fonologia della RAI, dove i musicisti producevano la prima musica elettronica. Ci operavano Bruno Madera, Luciano Berio e Luigi Nono con cui collaboravo. Nel 1961 ho realizzato la prima poesia con un calcolatore elettronico. L’IBM mi aveva messo a disposizione un ingegnere con il quale preparammo un programma che combinava una serie di versi secondo alcune semplici regole che venivano comunicate alla macchina con le schede perforate che si usavano allora. E in poco tempo il calcolatore produsse un grandissimo numero di poesie, tutte diverse combinazioni di quei versi. La cosa fece scandalo: in che modo una cosa sublime come la poesia poteva essere creata da una macchina (che in verità non crea niente, esegue solo passivamente delle istruzioni)? L’interesse dell’esperimento è nella velocità con cui le combinazioni si compiono, e nei risultati imprevisti e casuali che si ottengono »[i].
Nanni Balestrini, Come si agisce, Feltrinelli, 1963.
Tape Mark I è una “poesia combinatoria composta con l’ausilio di un calcolatore elettronico IBM (così allora veniva chiamato il computer)” nel 1961 da Nanni Balestrini, pubblicata insieme a un articolo esplicativo apparso nell’Almanacco Letterario Bompiani nel 1962; il numero dei risultati e delle associazioni possibili era ampissimo, quindi quella che apparve come una piccola serie di varianti, di uno dei primissimi testi (certamente il primo in Italia) di scrittura poetica combinatoria e computeristica, costituiva un campione sufficiente a mostrare il senso dell’operazione, in cui una serie di frammenti di frasi venivano montate in successione, fino a formare sequenze di versi, seguendo semplici regole trasformate in un algoritmo che guidava il lavoro della macchina, capace di effettuare concatenazioni di diversi elementi linguistici secondo un programma prestabilito[ii]. Tape Mark I non è una poesia lineare, nè di facile lettura, le parole si mescolano in un flusso narrativo asintattico e polisemico, ad alto grado di figuralità, con accumuli di versi spezzati che stravolgono i normali rapporti di causa e tempo, in un riuso linguistico di lacerti e citazioni, collage testuali e frammenti di varia provenienza letteraria, configurati in un “meccanismo puramente verbale” e aleatorio, di completa autonomia del significante.
Nanni Balestrini, L’intellettuale stanco, 1972.
«Arrivati a Balestrini non basta essere preparati a una violazione radicale del codice. Occorre, a intendere il suo lavoro, rendersi conto che ci si trova di fronte a un codice totalmente nuovo»[iii]. Una poesia priva di soggetto: la messa al lavoro del processo creativo attraverso un sistema meccanico e tecnologico, oltre che programmatico, è connessa alla posizione dell’intellettuale calato nella realtà industriale. La scrittura non è l’esito dell’affermazione di un’istanza autoriale ma tende piuttosto alla sparizione del soggetto, alla riduzione della sua presenza: “non c’è nessun linguaggio ma un processo di ricombinazione. Non c’è nessun soggetto ma un effetto di soggettività”[iv]. In generale rispetto alla produzione di questi anni il funzionamento strutturale del segno linguistico, che conserva ancora una base semantica, ossia assolve alla sua funzione di rappresentazione, si colloca radicalmente in una dimensione extra-soggettiva ed extra-estetica, che fa della poesia un’arte della ricombinazione e non dell’espressione.
Nanni Balestrini, Revolution de Mai, 1968.
“I muri della Sorbona”: la proletarizzazione del lavoro intellettuale e la de-soggettivazione dell’autore
Tape Mark I cotituisce ancora oggi una esplorazione estrema del mezzo, la “creazione di strutture testuali con l’assemblaggio meccanico di spezzoni di tessuto linguistico (Sanguineti parla di una “poesia ex machina” a proposito degli esperimenti di poesia elettronica). Se Giuliani evoca, in una prospettiva artistica autonoma, i collages di Schwitters, Sanguineti, in Ideologia e linguaggio, evidenzia l’eteronomia balestriniana: l’apertura del testo viene infatti situata nell’accidente formale (performativo), calcolata proposta in un universo formato da infinite potenziali possibilitá e combinazioni”[v].
Nanni Baletrini, Tristano, Feltrinelli, 1964.
La funzione intra-verbale della parole e i suoi significati, si muove dentro al nostro sistema linguistico, ma le micro-sequenze narrative non sono prodotte da nessun autore, se non quello meccanico-tecnologico dell’elaboratore di dati elettronico (o come disse Umberto Eco: «Balestrini si presenta come lo scrittore più pigro che sia mai esistito, perché si potrebbe dire – esagerando un poco – che di suo non ha mai scritto una sola parola e ha soltanto ricomposto brandelli di testi altrui»). Seguiranno il primo romanzo multiplo in copia unica» Tristano (1967) e Tristanoil, «il film più lungo del mondo» (di oltre 2.400 ore) generato attraverso un computer che riassembla configurazioni potenzialmente infinite, presentato nel 2012 alla kermesse internazionale dOCUMENTA (13) di Kassel. Un approccio che, come vedremo più avanti, si rivela di grande anticipazione, come tutta la sua potente versatilità artistica e attività intellettuale, di proliferazione della moltitudine e delle soggettività contemporanee, nell’indisponibilità alla mediazione intellettuale, nell’emersione di una prospettiva conflittuale dentro i binari del paradigma estetico di opere ed enunciati collettivi, senza però riconoscersi nella prassi creativa dell’istituzione artistico-culturale né tantomeno nella matrice rappresentativa e predicatoria dei contributi politici:
«La proletarizzazione del lavoro intellettuale apre la prospettiva dell’uso operaio della tecnologia. Lo sviluppo capitalistico raggiunge il suo limite, e la contraddizione tra produzione di valore d’uso e valorizzazione si rivela in tutta la sua pienezza. Per il potere la cultura deve funzionare come mediazione tra gli interessi della società capitalistica e gli interessi dello strato intellettuale, ma deve cercare di realizzare questa funzione in modo complesso. Ma ormai la mistificazione dell’indipendenza della cultura dal processo produttivo è messa in crisi dalla stessa massificazione di questa figura sociale. Il movimento operaio ha pensato che l’aggregazione degli intellettuali avesse la forma della mediazione culturale (Gramsci), oppure la forma di un’adesione volontaristica al partito (Lenin). Queste ipotesi sono superate nel momento in cui il lavoro intellettuale entra a far parte della composizione sociale del lavoro produttivo» [vi]
Nanni Balestrini, 65000 Etudiants, 1972.
“I testi di Balestrini praticano una violenta oggettivazione della parola”[vii], appropriandosi di una procedura fondata sul remix, sul cut-up, sul collage, al fine di ricostruire uno sguardo che sia al contempo personale e collettivo; come scrittore e artista assume una metodologia che può essere chiamata “ricombinazione”, in quanto preleva e ricombina frammenti preesistenti e di natura disparata tratti dal discorso pubblico in corso (notizie estrapolate dai giornali, volantini, pubblicità, voci di strada, discorsi politici, testi scientifici e tecnici di vario genere e registro narrativo). Dai suoi assemblaggi testuali e visuali iniziati con i primi Cronogrammi nel 1963, questa pratica è poi trasposta anche su un’ampia parte della sua produzione letteraria. Il collage, nelle arti visive, produce una frattura linguistica e concettuale, il cui layout, l’estetica dello slogan, la composizione grafica, la parola-oggetto e le sue implicazioni semantiche riposizionano la natura retorica e mendace della comunicazione mediale e dei fatti di cronaca, con un risultato visivamente violento, che esprime tutta la rabbia, l’incertezza e l’utopia di un’epoca di lotte sociali: Potere operaio, Sì alla violenza operaia.
Nanni Balestrini, Vogliamo tutto, Feltrinelli, 1971.
“Sulle barricate c’erano delle bandiere rosse e su una c’era un cartello con su scritto: Cosa vogliamo? Vogliamo tutto”. Anche negli esperimenti letterari, come accade ne La violenza illustrata (1976), Balestrini sceglie un “protagonista corale”, un individuo singolo la cui espressione assume una postura plurale. è questo il criterio compositivo che si ritrova nel romanzo Vogliamo tutto (1971) che ha per protagonista un operaio della Fiat migrato in cerca di fortuna dall’Italia Meridionale, la cui voce collettiva è trascritta da Balestrini come se fosse un documento politico, la cronaca di una conflittualità operaia e sociale, nel corso dell’autunno caldo delle lotte alla FIAT, raccontate attraverso un nuovo soggetto politico, l’operaio-massa, che è parte di un’organizzazione antagonista e della sua storia.
Nanni Balestrini, La violenza illustrata, Einaudi, 1976.
“Le politiche della letteratura non sono le politiche dei suoi scrittori. Non si occupano del loro impegno personale nei confronti delle questioni sociali e politiche e delle lotte del prprio tempo. Non si tratta né dei modi di rappresentazione degli eventi politici, né della struttura sociale e delle lotte sociali nei loro libri o discorsi. Il sintagma “politiche della letteratura” significa che la letteratura «fa» politica come letteratura in sé – che c’è uno specifico legame tra la politica come modo definito di fare e la letteratura come pratica definita di scrittura e di parola”[viii].
Così, fin dagli esordi letterari accompagnanti dalle eccedenze linguistiche della neoavanguardia letteraria – dai Novissimi all’’esperienza nel Gruppo 63 di tendenza marxista e strutturalista – Balestrini manifesta la propria criticità nei confronti dei codici della letteratura dominante ma certo è che nei suoi romanzi successivi, da Vogliamo tutto (1970) a La violenza illustrata (1976), Le Ballate della signorina Richmond (1977), Blackout (1980), da Gli invisibili (1987) a L’editore (1989), da I furiosi (1994) a Una mattina ci siam svegliati (1995), a Carbonia eravamo tutti comunisti (2012), si è riappropriato di un forte rapporto con la realtà, senza abbandonare tuttavia lo sperimentalismo, in cui scrittura e azione politica sono inestricabili[ix].
Nanni Balestrini, Potere operaio, 1971.
Incriminato nel quadro dell’inchiesta del «7 aprile» dal teorema Calogero, a causa della sua aperta militanza politica a favore dei gruppi dell’autonomia, si rifugia in Francia. Nel 1988 firma con Primo Moroni “L’orda d’oro”, pietra miliare di ricostruzione di quella ondata rivoluzionaria e creativa, politica ed esistenziale che era stato il lungo 68 italiano, da un punto di vista interno alle lotte. «Dopo vent’anni – aveva scritto Balestrini – la vendetta contro i “cattivi maestri” non è ancora terminata, a monito di tutti coloro che siano tentati di immaginare l’esercizio intellettuale libero dalla costrizione a riprodurre unicamente la società esistente»[x].
In mezzo c’è stato il ’68.
“C’era il Maggio francese, io ero già andato a Parigi più volte in quel periodo – racconta Balestrini in una intervista su Flash Art -. Quando a La Tartaruga ci fu il progetto intitolato ‘Teatro delle Mostre‘ ero là per raccogliere materiale per la rivista di cui mi occupavo, Quindici. Plinio De Martiis mi aveva chiesto di ideare qualcosa per il “Teatro delle Mostre”, e vedendo gli slogan della contestazione scritti sui muri della Sorbona avevo pensato di trasferirli sulle pareti della galleria. Tornai a Roma in aereo all’ultimo momento il giorno dell’inaugurazione e dall’aeroporto dettai per telefono le prime frasi tradotte per farle scrivere sui muri della galleria”[xi].
Nanni Balestrini, I muri della Sorbona, da “Teatro delle mostre”, Galeria La Tartaruga, Roma, 1968.
Nanni Balestrini, I muri della Sorbona, da “Teatro delle mostre”, Galeria La Tartaruga, Roma, 1968.
Nanni Balestrini, I muri della Sorbona, da “Teatro delle mostre”, Galeria La Tartaruga, Roma, 1968.
Il Teatro delle mostre si tenne nel mese di maggio dal 6 al 31, alla galleria romana “La Tartaruga”. Ciascuno degli artisti invitati, non solo artisti visivi ma anche scrittori e musicisti, esponeva per un solo giorno in una dimensione di contingenza vicina all’happening. Plinio de Martiis, l’ideatore del format espositivo, voleva riportare il teatro in galleria, ma la concezione di teatro, non era legata alla spettacolarità delle opere quanto al loro carattere preminente di azioni, nonchè alla trovata della successione scenica degli artisti-attori. Così in pieno clima di contestazione Nanni Balestrini, di ritorno da Parigi, dettò telefonicamente i primi slogan delle lotte studentesche durante il maggio francese che avevano gettato il germe della soggettivazione politica (da cui il titolo dell’azione I muri della Sorbona[xii], tra le scritte: “L’immaginazione prende il potere”, “É proibito proibire”, “La più bella scultura è il pavé”, “Dire sempre di NO per principio”, etc.) che venivano riportate e ripetute con i gessetti colorati nelle pareti dello spazio espositivo da Alfredo Giuliani, Cesare Milanese, Giulia Niccolai e Achille Bonito Oliva (che si era occupato delle schede critiche degli artisti in catalogo). Poi giunse direttamente Balestrini dall’areoporto e completò la trascrizione. Questa azione non è stata la rappresentazione di una manifestazione ma il montaggio straniante e decontestualizzato in una pittura murale delle scritte della rivolta. Maurizio Calvesi, curatore della mostra affermava nel saggio introduttivo: “Impassibilmente distaccata (una pura operazione di riporto), ma ostentatamente ideologica l’operazione di Balestrini, che trasferendo le scritte della Sorbona occupata sui muri della galleria ne ha verificato, tra l’altro, il parziale spaesamento, riproponendosi il rapporto strutturale tra parola e medium. Balestrini è riuscito a inserirsi nel solco della comune esperienza figurativa, visualizzando le parole, sfruttando, in sostanza, ad un livello non più formalistico bensì esistenziale, risolto in un gesto, le risorse a lui ben note della poesia visiva. La scrittura inneggiante a “l’immaginazione al potere” forniva del resto, in termini marcusiani, la chiave di volta del nuovo sodalizio tra estetica e ideologia”[xiii].
Nanni Balestrini, I muri della Sorbona, da “Teatro delle mostre”, Galeria La Tartaruga, Roma, 1968.
Come ha acutamente scritto Bifo nella recente prefazione alla traduzione inglese di Blakout definendo Balestrini come il poeta più radicalmente formalista della scena italiana e il più esplicitamente impegnato in un senso politico: “Fin dagli anni Sessanta la cultura italiana è stata attraversata dal fuoco freddo di un certo tipo di sperimentalismo chiamato Neoavanguardia, per distinguere quel movimento dall’avanguardia storica che nel primo decennio del secolo bruciava con un fuoco passionale, aggressivo e distruttivo. Umberto Eco, Edoardo Sanguineti, Alberto Arbasino e molti altri erano coinvolti nella Neoavanguardia, il cui stile era basato su un elegante gioco di citazioni, ammiccando e suggerendo. Poi, dal suo fuoco freddo emerse il volto angelico e diabolico di Nanni Balestrini, dalla sua testa fredda e il cuore caldo. O, contrariamente, il cuore freddo e la testa calda, chissà. […] Comunque, Balestrini riuscì a mantenere uno stile sperimentale freddo mentre si occupava di soggetti molto caldi e oggetti verbali. […] Balestrini è stato testimone letterario nel teatro del conflitto sociale, ma contemporaneamente è stato un attore sul palco. Tuttavia è riuscito ad essere ironico e lontano, pur essendo coinvolto nel corpo e nell’anima. Ecco perché il suo sguardo letterario è sia complice che distaccato”[xiv].
Nanni Balestrini, Pericolosamente, dalla serie “Non succederà mai più”, 1969.
«Cosa importa chi parla?»: è il punto di partenza della conferenza intitolata Che cos’è un autore? pronunciata nel 1969 davanti alla Société Française de Philosophie da Michel Foucault che teorizzava così una collocazione della funzione-autore non nell’individuo parlante che ha pronunciato o scritto un testo o un enunciato, ma l’autore come principio di raggruppamento dei discorsi, come unità ed origine dei loro significati.
Come non avvicinare a quest’analisi la decentralizzazione del soggetto (che accomuna Balestrini ad altre figure radicali del sistema dell’arte italiano, da Piero Gilardi a Carla Lonzi, per fare due esempi)? Non semplicemente il paradigma della sparizione dell’autore che si dissolve in una funzione collettiva rispetto alle assegnazioni delle gerarchie del potere, ma l’autore come fondatore di discorsività, o moltiplicatore di discorsi, in cui la pluralità delle fenomenizzazioni della letteratura, la comunicazione, il linguaggio e l’informazione, soprattutto nell’opera e nella vita di Balestrini, si rivelano terreno di scontro sociale.
Nanni Balestrini, Le ballate della signorina Richmond, Cooperativa Scrittori, 1977.
Il libro come agente di enunciazione collettiva pone la questione del linguaggio in un processo di deterritorializzazione in cui l’uso della lingua è voce dell’impegno rivoluzionario attraverso rivisitazioni e cut-up letterari sperimentati nei linguaggi visivi. Nell’avanguardia letteraria di Balestrini il linguaggio è esperienza diretta e immagine della lotta e della violenza, in un controcanto composto di discorsi reali, proclami e slogan.
“Dopo il ’68, dopo la fine dello sperimentalismo italiano, trova spazio una tendenza che i critici hanno definito ‘letteratura selvaggia’. É stata un’esperienza di spiazzamento del luogo stesso della scrittura: testi di operai, carcerati, donne […] il soggetto collettivo scrive nella storia reale contro l’ordine costituito delle cose. L’interruzione del flusso razionale del processo produttivo di merci, della valorizzazione è il modo in cui il soggetto collettivo scrive […] ma il soggetto collettivo scrive, oltre che nella sua pratica complessiva di deterritorializzazione pratica, anche sul terreno specifico della comunicazione, della produzione di testi. […] Nei testi del movimento è un soggetto collettivo che parla: non c’è un soggetto esterno al mondo, lo scrittore, intento a osservare un oggetto nuovo, il proletario in lotta, dal luogo dell’istituzione letteraria democratizzata. Il soggetto che entra nelle forme di comunicazione dominanti, le interrompe ironicamente, le riduce ad essere – loro – oggetto, le osserva inerti, disarticolate, ridotte a segni deconcettualizzati”[xv],
Così, oltre dieci anni più tardi, per Guattari era subito chiara la grande novità che uno strumento di comunicazione come la radio veniva ad assumere all’interno del movimento. “La guerriglia dell’informazione, il ribaltamento organizzato della circolazione delle informazioni, la rottura del rapporto tra emissione e circolazione dei dati… si situa all’interno della lotta generale contro l’organizzazione e il controllo del lavoro.”
Tanto Radio Alice che la rivista “A/traverso” diventeranno laboratori per l’emersione di un nuovo linguaggio in grado di promuovere nuovi rapporti fra classi sociali e rapporti di produzione per cui il lavoro intellettuale non si pone più all’esterno o al servizio del movimento ma all’interno.
Nanni Balestrini, Sì alla violenza operaia, 1972.
Quello di Balestrini resterà sempre un soggetto collettivo, allo stesso modo per cui “i testi prodotti dal movimento non sono da vedere nè come prodotti dell’istituzione letteraria, nè come un contributo politico predicatorio […] Non si tratta di mettere gli intellettuali al servizio del popolo: qui gli intellettuali (istituzione letteraria), là il popolo (la politica) […] Nei testi del movimento è un soggetto collettivo che parla: non c’è un soggetto esterno al mondo”[xvi].
«Occupazione senza soggetto. Movimento senza soggetto. Composizione asoggettiva. Gli attuali movimenti di occupazione sono caratterizzati dal loro fare a meno di qualsiasi soggetto» – riflettendo sul microfono umano Gerald Raunig descrive così le giornate di Occupy a Zuccotti Park: «Nessuna unità, nessuna totalità, nessuna classe identificabile. Le teorie classiche della rivoluzione vedrebbero tutto questo come un problema, dato che il soggetto (rivoluzionario) è la condizione per la possibilità della rivolta, dell’insorgenza, della rivoluzione, come una componente imprescindibile di una teoria a stadi: soltanto quando appare all’orizzonte un soggetto uniforme, un blocco molare, la classe operaia, un fronte unito, solo allora – guardando alle cose da questa prospettiva – la rivoluzione può avere inizio. Eppure, l’assenza del soggetto non deve essere interpretata come una mancanza. Al contrario, potrebbe indicare una nuova qualità nella rivoluzione, una rivoluzione d’ora in poi molecolare, e un primato della molteplicità al suo interno. Quando il soggetto non c’è, non è un difetto, come uno spazio vuoto (ancora) da riempire, che supplica di essere colmato. Dal punto di vista della composizione della rivoluzione molecolare non c’è l’esigenza di unità, o della rappresentazione di un soggetto (di classe) unificato dai leader, dal partito e dall’avanguardia». La frammentazione del soggetto appare in tutto il suo fervido potenziale: «In verità » prosegue Raunig, citando Deleuze e Guattari «non è abbastanza dire ‘Viva la moltitudine’ […]. La moltitudine va creata»[xvii].
Nanni Balestrini, Blackout, Feltrinelli, 1980.
Non era stata una straordinaria anticipazione, quella di Balestrini di questo processo dissoluzione dell’uomo/soggetto/autore verso l’intellettualità di massa? L’espressione (o meglio la ricombinazione) estetica, linguistica e creativa può essere svincolata dai rapporti materiali di produzione? In questo principio di rinuncia, da parte dello scrittore, a rivestire il ruolo dell’artista-creatore isolato, a favore di dinamiche moltitudinarie e plurali, pensiamo ancora a Vogliamo Tutto (1971) in cui Balestrini rinuncia all’autoralità, se non quella del ‘montatore’ di un collage testuale composto dalle rivendicazioni, dalle parole e dai desideri collettivi che muovono gli operai stessi. E se, come ormai ampiamente sostenuto, nell’età del lavoro cognitivo “l’attività artistica è completamente integrata alla valorizzazione capitalistica”[xviii], queste operazioni di Balestrini (da Tape Mark I, ai I muri della Sorbona, agli esperimenti letterari e gli assemblaggi verbo-visuali) dimostrano, al contrario, come i mezzi di produzione non sempre intaccano quelle stesse azioni artistiche, o almeno le sue libertà.
Elvira Vannini
Nanni Balestrini alla mostra L’Inarchiviabile The Unarchivable. Italia anni ’70 a cura di Marco Scotini, FM Centro per l’Arte Contemporanea, Milano, 2016.
note:
[i] Citazione tratta dall’intervista di Nanni Balestrini con Giacinto di Pietrantonio: http://www.flashartonline.it/article/nanni-balestrini/
[ii] Così spiega il procedimento combinatorio del calcolatore elettronico lo stesso Balestrini, (http://gammm.org/wp-content/uploads/2007/02/nanni-balestrini.-tape-mark-I.pdf); “Letteratura e arte hanno nell’ultimo cinquantennio costantemente prestato una attenzione vivissima ai fondamenti dei propori processi immaginativi e costruttivi, individuabili e riassumibili nelle successive fasi di decomposizione dei materiali precostituiti, e di ricomposizione in un risultato creativo.”
[iii] “Il Verri e i Novissimi ovvero la Nuova avanguardia, in Fausto Curi, La poesia italiana nel Novecento, Edizioni Laterza, 2001, p. 375.
[iv] Franco Berardi Bifo al convegno “Tutto” in una volta: Nanni Balestrini, FM Centro per l’Arte Cotemporanea, Milano, giugno 2016 a cura di Manuela Gandini e Marco Scotini.
[v] Tommaso Lisa, Le poetiche dell’oggetto da Luciano Anceschi ai Novissimi. Linee evolutive di un’istituzione della poesia del Novecento, Firenze Univesity Press, 2007, p.200.
[vi] «A/traverso», ottobre 1975
[vii] Tommaso Lisa, Le poetiche dell’oggetto…, ibidem, p. 195.
[viii] Jacques Rancière, Dissensus. On Politics and Aesthetics, Continuum Publishing Group, 2010, p.152.
[ix] Basti pensare anche all’esperienza della Cooperativa Area fondata da Balestrini nel 1976 riunisce sotto un’unica sigla editoriale una decina di case editrici autogestite (Squi/libri, Librirossi, Edizioni del No, Coop Scrittori, Edizioni delle Donne, Lavoro Liberato, L’Erba Voglio ecc.).
[x] “Cattivi maestri”, in Settantasette. La rivoluzione che viene, a cura di Sergio Bianchi e Lanfranco Caminiti, DeriveApprodi 1997.
[xi] http://www.flashartonline.it/article/nanni-balestrini/
[xii]”Ma era nientedimeno che il maggio Sessantotto. Gli studenti parigini urlavano «l’immaginazione al potere», rifacendo il verso ai surrealisti che avevano attinto ai futuristi («L’arte al potere!» di Marinetti). Nanni Balestrini, dalla Sorbona, telefonò le scritte studentesche che cominciarono a essere riportate sui muri della galleria; altre ne dettò da Orly e poi da Fiumicino; un’ora dopo entrò in galeria e trascrisse egli stesso gli ultimi slogan. Molto coinvolgente”. Maurizio Calvesi, “Cronache e coordinate di un’avventura”, in Roma Anni ’60. Al di là della pittura, cat. Della mostra, 1990, Edizioni Carte Segrete, p. 31.
[xiii]Ibidem
[xiv] Franco Berardi Bifo, “On Nanni Balestrini, the Most Radically Formalist Poet of the Italian Scene”, introduzione a Blackout di Nanni Balestrini, traduzione Peter Valente, courtesy AK Press, 2017.
[xv] Félix Guattari e le Radio libere; Felix Guattari, Desiderio e rivoluzione, Squi/libri, Milano, 1977.
[xvi] Franco Berardi BIFO, La barca dell’amore si è spezzata, 1978
[xii] Gerald Raunig, http://eipcp.net/transversal/1011/raunig2/it
[xviii] Maurizio Lazzarato, Lavoro immateriale: forme di vita e produzione di soggettività, Ombre Corte, 1997, p.109.