Womanvision è stata definita come un «week end per le donne coinvolte nei media e, ancora più importante, un week end per le donne interessate a scoprire di essere donne»
«Si supponeva che gli uomini facessero cose e le donne fossero decorative» Martha Ansara
«Nella nostra argomentazione il cosiddetto Creative Development Fund era davvero sottosviluppato e poco creativo in virtù della forzatura o dell’uso del cinema mainstream come modello del percorso che i registi avrebbero dovuto assumere; alcune persone hanno sottolineato che in effetti molti di questi cortometraggi…in realtà erano a lungo termine più redditizi di quelle caratteristiche su cui stavano perdendo soldi…in pratica sembrava che lo stesso Creative Development Fund dovesse essere sfidato» Helen Grace.
«La logica della co-op è diventata non esattamente mainstream, questa è ancora al di fuori del mainstream in un certo senso, anche se è al limite, e il mainstream sta tentando furiosamente di monetizzarlo tutto il tempo; ma nondimeno il principio di condivisione, di produzione, di scambio e di fruizione dei benefici di questo processo, in una sorta di modalità collettiva e collaborativa, è la chiave logica del movimento cooperativo dei filmmakers, e questa logica esiste ancora. Eravamo delle dilettanti in quel processo; oggi è meglio organizzato dai giovani di quanto non lo fossimo noi» Helen Grace.
Poster, ‘Women propose a new feminist cinema’ Made in Sydney, New South Wales, Australia, 1978.
Le cooperative cinematografiche sono nate per necessità, sia economiche che politiche durante gli anni ’60 e ’70. Il cinema d’avanguardia e sperimentale, l’expanded cinema e vari filoni indipendenti cercarono di accrescere il proprio pubblico per contrastare la distribuzione commerciale dei circuiti mainstream. Il Cinema-Action Collective di Londra fondato nel 1968 era formato da un gruppo di attivisti, nello stesso anno nasce a Vienna la cooperativa di cineasti austriaci che continua ancora oggi la sua produzione (con qualche interruzione negli anni ’70), così come la Canyon Films di San Francisco. Tali strutture cooperative proponevano alternative all’impresa privata creando istituzioni baste sui principi di “autenticità”, creatività e cooperazione – in contrasto con l’autoritarismo repressivo, dominante e “diretto” della cultura di massa. Inutile dire che questa panoramica era molto più complessa e compromessa di quella che potrebbe suggerire una semplice dicotomia, come dimostrano gli esempi australiani.
Carol Jerrems – Jane Oehr, “Womenvision”, Filmaker’s Co-Op 1973.
Le cooperative Australiane offrono una prospettiva unica sui movimenti sociali del paese attraverso i decenni ’60, ’70 e ’80. In effetti il record audiovisivo è unico ed è accompagnato da un archivio “invisibile” complesso e stratificato. politica sessuale e il femminismo, l’emergere di movimenti gay e lesbici e l’attivismo indigeno hanno avuto un enorme impatto trasformativo durante questo periodo, in particolare tra i giovani. Questi sconvolgimenti sociali e rotture ideologiche si sono manifestati anche nella politica interpersonale delle cooperative e nelle vite delle persone coinvolte.
Gli anni ’60 per molti australiani sono stati un periodo di enorme privilegio: l’istruzione universitaria era gratuita, i posti di lavoro non erano un problema, l’alloggio condiviso era economico e il sesso, la droga e il rock and roll erano già diffusi. La cultura delle merci era ampiamente derisa e contrastata con la moda degli op-shop. Allo stesso tempo, però, per le donne, gli aborigeni, gli immigrati appena arrivati, i gay e le lesbiche si era rivelato come un periodo di selvaggia crudeltà e discriminazione. Il sesso gay era perseguito penalmente, così come lo era l’aborto. La censura della letteratura e del cinema era comune. La guerra americana in Vietnam, e i colpi da parte della CIA in America Latina e altrove, furono opportunamente sostenuti da politici e militari australiani, inoltre la sinistra fu accuratamente allontanata quando il Partito Laburista di Gough Whitlam vinse le elezioni nel 1972. Si potrebbe dire che in Australia con gli anni ‘70 si siano emancipati i costumi sociali e la vita privata, liberando diverse politiche di identità e sessualità, mentre gli anni ’80 hanno deregolamentato l’economia e liberato un enorme capitale finanziario. La nascita di un cinema indipendente australiano è strettamente legata alla performance d’avanguardia, al cinema materialista e a forme narrative alternative grazie alle quali si è sviluppato un bene culturale orientato ideologicamente.
Nel 1968 il governo federale Australiano ha annunciato il finanziamento di un fondo per i film sperimentali. Questo cambiamento ha riguardato l’industria cinematografica più ampia permettendo di andare oltre i documentari governativi, la TV e le pubblicità che avevano dominato la precedente produzione australiana. I vari gruppi che si sono organizzati hanno adottato il modello collettivo o cooperativo all’interno della produzione cinematografica per consentire la condivisione di ruoli creativi e tecnici, anziché confermare la struttura gerarchica comune all’industria cinematografica dominante.
Melbourne Co-op, luglio1977, da sinistra, Christine Johnston, Trevor Bergroth and the author, John Hughes. Photo Ivan Gaal.
I Filmmakers Co-op sono stati fondati a Melbourne e Sydney tra il 1970 e il 1971, con origini parallele ma diverse nella metà degli anni ’60. A Brisbane, invece, la Co-op di Filmmakers (1975-77) è stata preceduta negli anni ’60 dalla famosa sede multimediale politicizzata, FOCO, dove film underground e “happening” cinematografici hanno condiviso lo spazio (e il tempo) con film anti-guerra del Vietnam come Il corto di Kit-Guyaat, Vietnam Report (1966). Nel 1970 i fondatori di Melbourne Co-op si resero conto che avevano bisogno di uno spazio di proiezione attrezzato e dedicato. Questo è stato fornito al 161 di Spring Street ai margini del CBD dall’artista Don Laycock, che aveva precedentemente utilizzato la location come proprio studio. Le esibizioni presso Spring Street hanno attirato un buon pubblico, fino a quando una visita del Dipartimento della Salute ha chiuso il cinema. Nonostante la proposta da parte della Co-op di porre rimedio alle strutture dell’edificio, sia il Dipartimento della Salute che i Vigili del Fuoco hanno emesso richieste impossibili da realizzare: non avrebbero permesso alla Co-op di funzionare come “club room”. Fortunatamente nel 1973 nuove energie arrivarono a Melbourne quando trovarono una nuova sede a Lygon Street, Carlton dove allestirono un cinema da 70 posti. Contemporaneamente alla Melbourne Co-op, a Sydney nasce la Sydney Filmmakers Co-operative, una cooperativa di cineasti indipendenti creata per distribuire ed esporre film a basso budget e documentari che ponessero una particolare attenzione ai problemi sociali contemporanei. I membri fondatori erano registi sperimentali tra cui Aggy Read, David Perry, Albie Thoms, Phillip Adams, Phillip Noyce e in seguito Bruce Petty.
Nata dal precedente e meno formale gruppo UBU Films, la Co-op ha tenuto il suo primo incontro ufficiale nel maggio 1970 quando improvvisamente i cineasti hanno avuto il supporto governativo per la produzione indipendente dall’Australian Film Commission (AFC). Nel 1973 la Co-op di Sydney ha quindi aperto il proprio cinema da 100 posti a St Peters Lane, Darlinghurst, utilizzando i locali al piano superiore per la distribuzione e la produzione del giornale Filmnews, una rivista indipendente che forniva uno sguardo critico ai problemi che interessavano la produzione, la distribuzione e l’esposizione di film e video in Australia.
Poster ‘Don’t be too polite girl’s, printed by Earthworks Poster Collective, Sydney, New South Wales, Australia, 1972-1979.
For Love or Money, Megan McMurchy, Margot Nash, Margot Oliver and Jeni Thornley, film still, 1983.
Con gli inizi della Co-op e in concomitanza al nascente movimento per la liberazione delle donne e al movimento per i diritti della terra degli aborigeni, nascono il Sydney Women’s Film Group (SWFG) e Reel Women a Melbourne. Un certo numero di cineaste, tra cui Jeni Thornley, Sarah Gibson, Susan Lambert, Martha Ansara, Margot Nash e Megan McMurchy, hanno colto le opportunità disponibili per dare vita a collettivi che ponessero una particolare attenzione alla distribuzione di film femminili. I gruppi sono nati con l’intenzione di creare storie che esaminassero il ruolo delle donne all’interno della società apportando così nuove consapevolezze. Gli argomenti andavano dal ruolo delle donne nella forza lavoro e in casa, alla riforma sociale e all’oggettivazione del corpo femminile da parte dei media.
Il Sydney Women’s Film Group è apparso per la prima volta nei titoli di produzione di tre film realizzati nei primi anni ’70: Film for Discussion (1975), Woman’s Day 20Cents (1973) e Home (1973). Film for Discussion è un film documentario girato nel 1970 da Barbara Creed, ma non completato fino al 1973. Il film ha cercato di incapsulare in una forma filmica sperimentale questioni che erano emerse all’interno del Movimento di Liberazione delle Donne con l’intento quindi di contribuire all’azione per il cambiamento.
A Film for Discussion. Mother and daughter, frame, 1973.
Il personaggio di Jeni era interpretato da Jeni Thornley, un aspirante attrice che si era da poco trasferita a Sydney da Melbourne. Il film segue un giorno lavorativo all’interno dell’ufficio in cui Jeni è impiegata e mostra come raggiunge una liberazione identitaria attraverso il risveglio della coscienza femminile. La sensibilizzazione delle femministe australiane della seconda ondata è stata influenzata dalle strategie del movimento americano per i diritti civili. L’SWFG ha lavorato sodo per distribuire Film for Discussion: circa 20.000 donne lo hanno guardato nelle sale della comunità e l’influenza femminista è stata tale che all’inizio degli anni ’80 i film sulle molestie sessuali erano tra i più visti.
We Aim to Please, Robin Laurie and Margot Nash, 1976.
Poster, ‘Won’t it be fine’, designed by Marie McMahon, 1977.
Altrettanto importante è stato continuare a fornire sostegno morale e materiale alle donne registe attraverso laboratori cinematografici femminili il weekend di Womenvision, tenutosi presso la Sydney Filmmakers Co-operative (SFMC) nel novembre 1973. Il workshop è stato definito “un fine settimana per le donne coinvolte nei media, ma soprattutto è un fine settimana per le donne interessate a scoprire di essere donne”. Frequentato da oltre 200 donne, il suo primo risultato pratico è stato quello di esercitare pressione presso la neonata scuola di cinema e televisione australiana per il finanziamento di un Women’s Film Workshop indipendente. Il seminario è stato coordinato da Martha Ansara e Jane Oehr e i 10 film che ne risultarono si unirono alla crescente collezione di film indipendenti distribuiti attraverso la SFMC.
Sarebbe ingenuo raccontare gli anni ’70 come un periodo di radicalismo senza problemi e nemmeno si dovrebbe ricordare il femminismo australiano della seconda ondata come un’irrilevanza anacronistica. Le femministe di quegli anni arrivarono ad un’ideologia comune solo dopo aver applicato le lezioni apprese nei movimenti anti-apartheid, anti-guerra e operai. L’SWFG ha infatti realizzato i primi film affrontando argomenti come la situazione delle donne nelle fabbriche, la violenza domestica e la vita delle donne migranti.
Poster ‘Women’s Centre’, Made in Sydney, New South Wales, Australia, 1976-1978.
Come accennato precedentemente, un altro dei filoni storici individuabili attraverso i cataloghi di co-op e i programmi di screening degli anni ’60 e ’70 è la solidarietà tra cineasti con l’attivismo indigeno. Ciò non è stato esclusivo per le cooperative, naturalmente, ma solo attraverso queste era presente un “Black Film Worker” in quegli anni.
Black Fire di Bruce McGuiness (1972), realizzato con Martin Bartfeld, membro della Melbourne Co-op, è generalmente riconosciuto come il primo film australiano realizzato sotto il controllo creativo indigeno. Seguirono Ningla A-Na di Alessandro Cavadini (1972) e Protected (1975) che rappresentano una sorta di “preistoria” del cinema indigeno australiano.
L’interpretazione del corpus di opere di questo sostanziale “archivio invisibile” deve figurare con le condizioni radicalmente trasformate di produzione e ricezione della cultura digitale. Questo è un archivio analogico spesso in bianco e nero, girato con Aaton, Arri, Balieau, Bolex wind-up o porta-video. Come si potrebbe avere un migliore approccio senza ridurre questo patrimonio a semplici “filmati” o bit e byte nell’onnipresente e indifferenziato archivio di internet? È necessaria una risposta completa, un resoconto delle opere, dell’archeologia del mezzo, delle persone e delle istituzioni che hanno permesso a questo settore del cinema indipendente australiano di funzionare come ha fatto. Una storiografia abbinata a questo particolare archivio di immagini in movimento richiede la responsabilità di una certa pratica curatoriale, che implica il rispetto delle opere come artefatti, come film, e rifiuta decisamente il discorso depoliticizzante della nostalgia.
Feminist film workers in Sydney, 1979. Photo Sandy Edwards.
Dopo il 1975 i movimenti cooperativi basati sulla comunità si scontrarono con i governi che perseguivano una politica sempre più condizionata dalle ideologie neo-liberali. L’Australian Film Commission (AFC) è stata creata nel 1976 con l’intento di riunire in seno alla Commissione sia il settore cinematografico che le sezioni film-as-art dell’industria cinematografica in Australia. Una Commissione singolare ed “efficiente” di funzioni standardizzate ha molto più senso per una burocrazia centralizzata. È come se la cultura istituzionale alimentasse l’imperativo di proiettare la propria identità aziendale sui suoi dipendenti.
Il 4 luglio del 1977 l’AFC ritirò il sussidio alla Melbourne Filmmakers Co-op costringendola così alla bancarotta. L’argomentazione dell’AFC fu che il gruppo stava “duplicando” il lavoro di altre agenzie sovvenzionate – in particolare la Co-op del Sydney Filmmaker. In realtà ciò accadde successivamente al colpo di stato del 1975 nel quale cadde il governo di Whitlam e che costrinsero a tagli di bilancio su tutta la linea, ma in gran parte era la conseguenza della crisi petrolifera del 1973-4.
La risposta della Cooperativa fu “lavorare dall’interno” attraverso una messa in discussione dello stesso Fondo per lo sviluppo creativo. Continuò così la distribuzione e grazie alle continue prenotazioni da parte degli spettatori venne creato un “fondo di lotta” che diede vita al “Media Resistance Alliance”, comprendente la Co-op e altre organizzazioni dei media che erano state oggetto di tagli e chiusure. Grazie al lavoro volontario e alle consistenti prenotazioni le proiezioni dei film andarono avanti per tre mesi.
Posters ‘Films by women’, by Earthworks Poster Collective, 1972-1979.
Mentre gli anni Sessanta lasciavano il posto agli anni ’80, le cooperative erano sempre più richieste per dare vita ad una conformità manageriale che fosse comune alla burocrazia stessa, mentre allo stesso tempo venivano negate le risorse per farlo.
Nel 1985 la Sydney Co-op aveva 325 titoli nel loro catalogo e circa 90 titoli in distribuzione attiva. Si trattava per lo più di pellicole da 16mm, con alcuni video U-matic e quasi tutti australiani (eccezioni includevano film di Emile De Antonio, Maya Deren, Jonas Mekas, John Jost, Yoko Ono e Menelik Shabazz). Questo è un periodo in cui il video come mezzo di distribuzione (Betamax e VHS) ha iniziato a sfidare in modo sostanziale gli affitti e le vendite di stampe cinematografiche. Questo nuovo distributore, non sovvenzionato, con abilità di marketing avanzate, iniziò a raccogliere i diritti di distribuzione esclusiva per i titoli più redditizi.
A quel tempo la lingua del mercato era inevitabilmente egemonica. Una delle condizioni del supporto di AFC nel 1984-5 era che la Cooperativa si spostasse da St Peter’s Lane ai locali più di Harris Street Pyrmont, ma questa mossa non fu finanziata paralizzando così l’organizzazione.
Posters ‘Films on Black Australia’, printed by Earthworks Poster Collective, 1970s.
Mentre la Co-op ha continuato a lavorare per far entrare i film nei cinema attraverso i punti vendita indipendenti rimasti nel paese, la chiusura del cinema di St Peter’s Lane è stata l’ultima goccia per molti dei membri originali della Sydney Filmmakers Co-operative.
Successivamente con un sorprendente sciopero, Gillian Leahy, Joy Toma e Frank Maloney del gruppo d’azione cooperativa dei cineasti (il Co-op Action Group), sono riusciti a organizzare un incontro con il ministro per le arti Barry Cohen. Il Co-op Action Group ha illustrato i problemi derivati dall’assorbimento da parte dell’AFC di tutte le sovvenzioni e le pratiche di distribuzione.
The original Film News Collective c1980.
La proposta del Gruppo d’azione di finanziare un’alternativa all’AFC è stata respinta a causa di significative debolezze nella struttura, nell’amministrazione e nella gestione finanziaria dei ricavi.
La lobby per salvare la Co-op è fallita perché fondamentalmente l’AFC non avrebbe più potuto controllare il settore cinematografico negando la fiducia ai collettivi. La Commissione non si è mai resa conto di quanta più energia volontaria viene rilasciata quando un’organizzazione è governata da un controllo democratico da parte di coloro che vi lavorano e di quelli che serve.
Oggi la logica della cooperativa in Australia non è diventata ancora mainstream ma il governo sta tentando furiosamente di monetizzare quei principi di condivisione, di produzione e fruizione che nella logica della collaborazione sono la chiave del movimento collettivo.
Referenze:
Albie Thoms, My Generation. The Rocks, 2012.
Jeni Thornley, Sixteen Year of Women and Film Groups: A Personal Recollection, 1987.
Jeni Thornley, Past, Present and Future: The Women’s Film Fund, 1987.
Anna Grieve, Big Mother/Little Sister: The Women’s Film Fund, 1987.
Poster ‘Filmnews’, printed by Earthworks Poster Collective. Made by Mackay, Jan, 1972-1979.
Poster ‘Fancy Work’, by the Womens Domestic Needlework Group, 1979.
Poster ‘Hot Crusifixon Dance’ by Earthworks Poster Collective, Made in Sydney, New South Wales, Australia, 1979.
di Clarissa Falco
Womanvision è stata definita come un «week end per le donne coinvolte nei media e, ancora più importante, un week end per le donne interessate a scoprire di essere donne»
«Si supponeva che gli uomini facessero cose e le donne fossero decorative» Martha Ansara
«Nella nostra argomentazione il cosiddetto Creative Development Fund era davvero sottosviluppato e poco creativo in virtù della forzatura o dell’uso del cinema mainstream come modello del percorso che i registi avrebbero dovuto assumere; alcune persone hanno sottolineato che in effetti molti di questi cortometraggi…in realtà erano a lungo termine più redditizi di quelle caratteristiche su cui stavano perdendo soldi…in pratica sembrava che lo stesso Creative Development Fund dovesse essere sfidato» Helen Grace.
«La logica della co-op è diventata non esattamente mainstream, questa è ancora al di fuori del mainstream in un certo senso, anche se è al limite, e il mainstream sta tentando furiosamente di monetizzarlo tutto il tempo; ma nondimeno il principio di condivisione, di produzione, di scambio e di fruizione dei benefici di questo processo, in una sorta di modalità collettiva e collaborativa, è la chiave logica del movimento cooperativo dei filmmakers, e questa logica esiste ancora. Eravamo delle dilettanti in quel processo; oggi è meglio organizzato dai giovani di quanto non lo fossimo noi» Helen Grace.
Poster, ‘Women propose a new feminist cinema’ Made in Sydney, New South Wales, Australia, 1978.
Le cooperative cinematografiche sono nate per necessità, sia economiche che politiche durante gli anni ’60 e ’70. Il cinema d’avanguardia e sperimentale, l’expanded cinema e vari filoni indipendenti cercarono di accrescere il proprio pubblico per contrastare la distribuzione commerciale dei circuiti mainstream. Il Cinema-Action Collective di Londra fondato nel 1968 era formato da un gruppo di attivisti, nello stesso anno nasce a Vienna la cooperativa di cineasti austriaci che continua ancora oggi la sua produzione (con qualche interruzione negli anni ’70), così come la Canyon Films di San Francisco. Tali strutture cooperative proponevano alternative all’impresa privata creando istituzioni baste sui principi di “autenticità”, creatività e cooperazione – in contrasto con l’autoritarismo repressivo, dominante e “diretto” della cultura di massa. Inutile dire che questa panoramica era molto più complessa e compromessa di quella che potrebbe suggerire una semplice dicotomia, come dimostrano gli esempi australiani.
Carol Jerrems – Jane Oehr, “Womenvision”, Filmaker’s Co-Op 1973.
Le cooperative Australiane offrono una prospettiva unica sui movimenti sociali del paese attraverso i decenni ’60, ’70 e ’80. In effetti il record audiovisivo è unico ed è accompagnato da un archivio “invisibile” complesso e stratificato. politica sessuale e il femminismo, l’emergere di movimenti gay e lesbici e l’attivismo indigeno hanno avuto un enorme impatto trasformativo durante questo periodo, in particolare tra i giovani. Questi sconvolgimenti sociali e rotture ideologiche si sono manifestati anche nella politica interpersonale delle cooperative e nelle vite delle persone coinvolte.
Gli anni ’60 per molti australiani sono stati un periodo di enorme privilegio: l’istruzione universitaria era gratuita, i posti di lavoro non erano un problema, l’alloggio condiviso era economico e il sesso, la droga e il rock and roll erano già diffusi. La cultura delle merci era ampiamente derisa e contrastata con la moda degli op-shop. Allo stesso tempo, però, per le donne, gli aborigeni, gli immigrati appena arrivati, i gay e le lesbiche si era rivelato come un periodo di selvaggia crudeltà e discriminazione. Il sesso gay era perseguito penalmente, così come lo era l’aborto. La censura della letteratura e del cinema era comune. La guerra americana in Vietnam, e i colpi da parte della CIA in America Latina e altrove, furono opportunamente sostenuti da politici e militari australiani, inoltre la sinistra fu accuratamente allontanata quando il Partito Laburista di Gough Whitlam vinse le elezioni nel 1972. Si potrebbe dire che in Australia con gli anni ‘70 si siano emancipati i costumi sociali e la vita privata, liberando diverse politiche di identità e sessualità, mentre gli anni ’80 hanno deregolamentato l’economia e liberato un enorme capitale finanziario. La nascita di un cinema indipendente australiano è strettamente legata alla performance d’avanguardia, al cinema materialista e a forme narrative alternative grazie alle quali si è sviluppato un bene culturale orientato ideologicamente.
Nel 1968 il governo federale Australiano ha annunciato il finanziamento di un fondo per i film sperimentali. Questo cambiamento ha riguardato l’industria cinematografica più ampia permettendo di andare oltre i documentari governativi, la TV e le pubblicità che avevano dominato la precedente produzione australiana. I vari gruppi che si sono organizzati hanno adottato il modello collettivo o cooperativo all’interno della produzione cinematografica per consentire la condivisione di ruoli creativi e tecnici, anziché confermare la struttura gerarchica comune all’industria cinematografica dominante.
Melbourne Co-op, luglio1977, da sinistra, Christine Johnston, Trevor Bergroth and the author, John Hughes. Photo Ivan Gaal.
I Filmmakers Co-op sono stati fondati a Melbourne e Sydney tra il 1970 e il 1971, con origini parallele ma diverse nella metà degli anni ’60. A Brisbane, invece, la Co-op di Filmmakers (1975-77) è stata preceduta negli anni ’60 dalla famosa sede multimediale politicizzata, FOCO, dove film underground e “happening” cinematografici hanno condiviso lo spazio (e il tempo) con film anti-guerra del Vietnam come Il corto di Kit-Guyaat, Vietnam Report (1966). Nel 1970 i fondatori di Melbourne Co-op si resero conto che avevano bisogno di uno spazio di proiezione attrezzato e dedicato. Questo è stato fornito al 161 di Spring Street ai margini del CBD dall’artista Don Laycock, che aveva precedentemente utilizzato la location come proprio studio. Le esibizioni presso Spring Street hanno attirato un buon pubblico, fino a quando una visita del Dipartimento della Salute ha chiuso il cinema. Nonostante la proposta da parte della Co-op di porre rimedio alle strutture dell’edificio, sia il Dipartimento della Salute che i Vigili del Fuoco hanno emesso richieste impossibili da realizzare: non avrebbero permesso alla Co-op di funzionare come “club room”. Fortunatamente nel 1973 nuove energie arrivarono a Melbourne quando trovarono una nuova sede a Lygon Street, Carlton dove allestirono un cinema da 70 posti. Contemporaneamente alla Melbourne Co-op, a Sydney nasce la Sydney Filmmakers Co-operative, una cooperativa di cineasti indipendenti creata per distribuire ed esporre film a basso budget e documentari che ponessero una particolare attenzione ai problemi sociali contemporanei. I membri fondatori erano registi sperimentali tra cui Aggy Read, David Perry, Albie Thoms, Phillip Adams, Phillip Noyce e in seguito Bruce Petty.
Nata dal precedente e meno formale gruppo UBU Films, la Co-op ha tenuto il suo primo incontro ufficiale nel maggio 1970 quando improvvisamente i cineasti hanno avuto il supporto governativo per la produzione indipendente dall’Australian Film Commission (AFC). Nel 1973 la Co-op di Sydney ha quindi aperto il proprio cinema da 100 posti a St Peters Lane, Darlinghurst, utilizzando i locali al piano superiore per la distribuzione e la produzione del giornale Filmnews, una rivista indipendente che forniva uno sguardo critico ai problemi che interessavano la produzione, la distribuzione e l’esposizione di film e video in Australia.
Poster ‘Don’t be too polite girl’s, printed by Earthworks Poster Collective, Sydney, New South Wales, Australia, 1972-1979.
For Love or Money, Megan McMurchy, Margot Nash, Margot Oliver and Jeni Thornley, film still, 1983.
Con gli inizi della Co-op e in concomitanza al nascente movimento per la liberazione delle donne e al movimento per i diritti della terra degli aborigeni, nascono il Sydney Women’s Film Group (SWFG) e Reel Women a Melbourne. Un certo numero di cineaste, tra cui Jeni Thornley, Sarah Gibson, Susan Lambert, Martha Ansara, Margot Nash e Megan McMurchy, hanno colto le opportunità disponibili per dare vita a collettivi che ponessero una particolare attenzione alla distribuzione di film femminili. I gruppi sono nati con l’intenzione di creare storie che esaminassero il ruolo delle donne all’interno della società apportando così nuove consapevolezze. Gli argomenti andavano dal ruolo delle donne nella forza lavoro e in casa, alla riforma sociale e all’oggettivazione del corpo femminile da parte dei media.
Il Sydney Women’s Film Group è apparso per la prima volta nei titoli di produzione di tre film realizzati nei primi anni ’70: Film for Discussion (1975), Woman’s Day 20Cents (1973) e Home (1973). Film for Discussion è un film documentario girato nel 1970 da Barbara Creed, ma non completato fino al 1973. Il film ha cercato di incapsulare in una forma filmica sperimentale questioni che erano emerse all’interno del Movimento di Liberazione delle Donne con l’intento quindi di contribuire all’azione per il cambiamento.
A Film for Discussion. Mother and daughter, frame, 1973.
Il personaggio di Jeni era interpretato da Jeni Thornley, un aspirante attrice che si era da poco trasferita a Sydney da Melbourne. Il film segue un giorno lavorativo all’interno dell’ufficio in cui Jeni è impiegata e mostra come raggiunge una liberazione identitaria attraverso il risveglio della coscienza femminile. La sensibilizzazione delle femministe australiane della seconda ondata è stata influenzata dalle strategie del movimento americano per i diritti civili. L’SWFG ha lavorato sodo per distribuire Film for Discussion: circa 20.000 donne lo hanno guardato nelle sale della comunità e l’influenza femminista è stata tale che all’inizio degli anni ’80 i film sulle molestie sessuali erano tra i più visti.
We Aim to Please, Robin Laurie and Margot Nash, 1976.
Poster, ‘Won’t it be fine’, designed by Marie McMahon, 1977.
Altrettanto importante è stato continuare a fornire sostegno morale e materiale alle donne registe attraverso laboratori cinematografici femminili il weekend di Womenvision, tenutosi presso la Sydney Filmmakers Co-operative (SFMC) nel novembre 1973. Il workshop è stato definito “un fine settimana per le donne coinvolte nei media, ma soprattutto è un fine settimana per le donne interessate a scoprire di essere donne”. Frequentato da oltre 200 donne, il suo primo risultato pratico è stato quello di esercitare pressione presso la neonata scuola di cinema e televisione australiana per il finanziamento di un Women’s Film Workshop indipendente. Il seminario è stato coordinato da Martha Ansara e Jane Oehr e i 10 film che ne risultarono si unirono alla crescente collezione di film indipendenti distribuiti attraverso la SFMC.
Sarebbe ingenuo raccontare gli anni ’70 come un periodo di radicalismo senza problemi e nemmeno si dovrebbe ricordare il femminismo australiano della seconda ondata come un’irrilevanza anacronistica. Le femministe di quegli anni arrivarono ad un’ideologia comune solo dopo aver applicato le lezioni apprese nei movimenti anti-apartheid, anti-guerra e operai. L’SWFG ha infatti realizzato i primi film affrontando argomenti come la situazione delle donne nelle fabbriche, la violenza domestica e la vita delle donne migranti.
Poster ‘Women’s Centre’, Made in Sydney, New South Wales, Australia, 1976-1978.
Come accennato precedentemente, un altro dei filoni storici individuabili attraverso i cataloghi di co-op e i programmi di screening degli anni ’60 e ’70 è la solidarietà tra cineasti con l’attivismo indigeno. Ciò non è stato esclusivo per le cooperative, naturalmente, ma solo attraverso queste era presente un “Black Film Worker” in quegli anni.
Black Fire di Bruce McGuiness (1972), realizzato con Martin Bartfeld, membro della Melbourne Co-op, è generalmente riconosciuto come il primo film australiano realizzato sotto il controllo creativo indigeno. Seguirono Ningla A-Na di Alessandro Cavadini (1972) e Protected (1975) che rappresentano una sorta di “preistoria” del cinema indigeno australiano.
L’interpretazione del corpus di opere di questo sostanziale “archivio invisibile” deve figurare con le condizioni radicalmente trasformate di produzione e ricezione della cultura digitale. Questo è un archivio analogico spesso in bianco e nero, girato con Aaton, Arri, Balieau, Bolex wind-up o porta-video. Come si potrebbe avere un migliore approccio senza ridurre questo patrimonio a semplici “filmati” o bit e byte nell’onnipresente e indifferenziato archivio di internet? È necessaria una risposta completa, un resoconto delle opere, dell’archeologia del mezzo, delle persone e delle istituzioni che hanno permesso a questo settore del cinema indipendente australiano di funzionare come ha fatto. Una storiografia abbinata a questo particolare archivio di immagini in movimento richiede la responsabilità di una certa pratica curatoriale, che implica il rispetto delle opere come artefatti, come film, e rifiuta decisamente il discorso depoliticizzante della nostalgia.
Feminist film workers in Sydney, 1979. Photo Sandy Edwards.
Dopo il 1975 i movimenti cooperativi basati sulla comunità si scontrarono con i governi che perseguivano una politica sempre più condizionata dalle ideologie neo-liberali. L’Australian Film Commission (AFC) è stata creata nel 1976 con l’intento di riunire in seno alla Commissione sia il settore cinematografico che le sezioni film-as-art dell’industria cinematografica in Australia. Una Commissione singolare ed “efficiente” di funzioni standardizzate ha molto più senso per una burocrazia centralizzata. È come se la cultura istituzionale alimentasse l’imperativo di proiettare la propria identità aziendale sui suoi dipendenti.
Il 4 luglio del 1977 l’AFC ritirò il sussidio alla Melbourne Filmmakers Co-op costringendola così alla bancarotta. L’argomentazione dell’AFC fu che il gruppo stava “duplicando” il lavoro di altre agenzie sovvenzionate – in particolare la Co-op del Sydney Filmmaker. In realtà ciò accadde successivamente al colpo di stato del 1975 nel quale cadde il governo di Whitlam e che costrinsero a tagli di bilancio su tutta la linea, ma in gran parte era la conseguenza della crisi petrolifera del 1973-4.
La risposta della Cooperativa fu “lavorare dall’interno” attraverso una messa in discussione dello stesso Fondo per lo sviluppo creativo. Continuò così la distribuzione e grazie alle continue prenotazioni da parte degli spettatori venne creato un “fondo di lotta” che diede vita al “Media Resistance Alliance”, comprendente la Co-op e altre organizzazioni dei media che erano state oggetto di tagli e chiusure. Grazie al lavoro volontario e alle consistenti prenotazioni le proiezioni dei film andarono avanti per tre mesi.
Posters ‘Films by women’, by Earthworks Poster Collective, 1972-1979.
Mentre gli anni Sessanta lasciavano il posto agli anni ’80, le cooperative erano sempre più richieste per dare vita ad una conformità manageriale che fosse comune alla burocrazia stessa, mentre allo stesso tempo venivano negate le risorse per farlo.
Nel 1985 la Sydney Co-op aveva 325 titoli nel loro catalogo e circa 90 titoli in distribuzione attiva. Si trattava per lo più di pellicole da 16mm, con alcuni video U-matic e quasi tutti australiani (eccezioni includevano film di Emile De Antonio, Maya Deren, Jonas Mekas, John Jost, Yoko Ono e Menelik Shabazz). Questo è un periodo in cui il video come mezzo di distribuzione (Betamax e VHS) ha iniziato a sfidare in modo sostanziale gli affitti e le vendite di stampe cinematografiche. Questo nuovo distributore, non sovvenzionato, con abilità di marketing avanzate, iniziò a raccogliere i diritti di distribuzione esclusiva per i titoli più redditizi.
A quel tempo la lingua del mercato era inevitabilmente egemonica. Una delle condizioni del supporto di AFC nel 1984-5 era che la Cooperativa si spostasse da St Peter’s Lane ai locali più di Harris Street Pyrmont, ma questa mossa non fu finanziata paralizzando così l’organizzazione.
Posters ‘Films on Black Australia’, printed by Earthworks Poster Collective, 1970s.
Mentre la Co-op ha continuato a lavorare per far entrare i film nei cinema attraverso i punti vendita indipendenti rimasti nel paese, la chiusura del cinema di St Peter’s Lane è stata l’ultima goccia per molti dei membri originali della Sydney Filmmakers Co-operative.
Successivamente con un sorprendente sciopero, Gillian Leahy, Joy Toma e Frank Maloney del gruppo d’azione cooperativa dei cineasti (il Co-op Action Group), sono riusciti a organizzare un incontro con il ministro per le arti Barry Cohen. Il Co-op Action Group ha illustrato i problemi derivati dall’assorbimento da parte dell’AFC di tutte le sovvenzioni e le pratiche di distribuzione.
The original Film News Collective c1980.
La proposta del Gruppo d’azione di finanziare un’alternativa all’AFC è stata respinta a causa di significative debolezze nella struttura, nell’amministrazione e nella gestione finanziaria dei ricavi.
La lobby per salvare la Co-op è fallita perché fondamentalmente l’AFC non avrebbe più potuto controllare il settore cinematografico negando la fiducia ai collettivi. La Commissione non si è mai resa conto di quanta più energia volontaria viene rilasciata quando un’organizzazione è governata da un controllo democratico da parte di coloro che vi lavorano e di quelli che serve.
Oggi la logica della cooperativa in Australia non è diventata ancora mainstream ma il governo sta tentando furiosamente di monetizzare quei principi di condivisione, di produzione e fruizione che nella logica della collaborazione sono la chiave del movimento collettivo.
Referenze:
Albie Thoms, My Generation. The Rocks, 2012.
Jeni Thornley, Sixteen Year of Women and Film Groups: A Personal Recollection, 1987.
Jeni Thornley, Past, Present and Future: The Women’s Film Fund, 1987.
Anna Grieve, Big Mother/Little Sister: The Women’s Film Fund, 1987.
Poster ‘Filmnews’, printed by Earthworks Poster Collective. Made by Mackay, Jan, 1972-1979.
Poster ‘Fancy Work’, by the Womens Domestic Needlework Group, 1979.
Poster ‘Hot Crusifixon Dance’ by Earthworks Poster Collective, Made in Sydney, New South Wales, Australia, 1979.