La vita degli uomini e di molte altre specie è accomunata dalla medesima condizione di precarietà ecologica, provocata dalla deliberata bancarotta etica del neoliberismo. Non soltanto il capitale cerca di evitare qualsiasi relazione con le questioni inerenti alla riproduzione del sociale, salvo assicurarsi che non si esaurisca mai il bacino della forza-lavoro, ma non vuole avere niente a che fare neppure con la salvaguardia della vita in nessuna forma. La biosfera viene intesa solo e soltanto come una risorsa da utilizzare fino ad esaurimento.
[…]
Data per certa la possibilità di un cambiamento radicale e considerato il fatto che noi adesso stiamo ormai raschiando il fondo del barile del libero mercato, perché mai il prossimo capovolgimento non potrebbe essere positivo? Si potrebbe sostituire la triade uomo/fucile/carro armato con la meno gerarchica uomo/mattone /barricata. Secondo il CAE non c’è ragione per cui non si possa, impegnandosi a fondo nella lotta, tornare ad essere creature dotate di intelligenza e creatività, e insieme invertire il processo di precarietà in una forza positiva e costruttiva opposta alla generale condizione odierna.
Critical Art Ensemble, Reinventare la precarietà, in PAVzine #6 (da Metodo New Alliance, workshop e mostra a cura di Orietta Brombin, PAV, Torino, 2012).
Se la sinistra ha imparato qualcosa dalla resistenza contro la tecnocrazia capitalista, è che i processi democratici funzionano solo in minima parte quando si tratta di rallentare la macchina del profitto pancapitalista. Questi processi sono ormai in mano alle corporation e alle altre istituzioni al servizio del capitale, che tendono a muoversi al di fuori dei dettami democratici nazionali. Bisogna mettere a punto altri metodi di riappropriazione del potere.
[…]
Il sabotatore fuzzy sta in equilibrio sulla linea ambigua tra il legale e l’illegale (penale e civile). Da questa posizione un individuo o un gruppo possono innescare una catena di eventi in grado di portare al risultato desiderato. L’azione iniziale, l’unica cioè con cui il sabotatore dovrebbe avere un nesso causale diretto, dovrebbe essere più legale possibile e auspicabilmente rispettosa dei diritti di ogni individuo. Più sono gli anelli della catena, meglio è da un punto di vista legale, anche se aumentare i passaggi causali incrementa la difficoltà di controllare tutte le variabili che, in crescita esponenziale, potrebbero compromettere l’azione. La maggior parte di queste azioni avrà solamente due fasi: l’atto legittimo o fuzzy e il conseguente scombussolamento. Le autorità avranno il difficile compito di dimostrare l’illegalità di un atto indiretto, compito ingrato per i pubblici ministeri. In definitiva, il sabotare fuzzy, al contrario della Dc [Disobbedienza civile – NdC], non richiede né uno scontro fisico con l’autorità né, in molti casi, alcun tipo di infrazione legale.
Critical Art Ensemble, Sabotaggio Biologico “Fuzzy” (alfaDisobedience – speciale di Alfabeta2, giugno 2013)
Critical Art Ensemble, Winning Hearts And Minds, 2012.
Critical Art Ensemble (CAE)è uno storico collettivo di artisti e teorici statunitensi tra i pionieri della tactical media art che dagli anni Ottanta esplora i confini tra arte, teoria critica, tecnologia e attivismo politico radicale. Formato nel 1987 in Tallahassee, Florida, da Hope e Steve Kurtz, Steve Barnes, Dorian Burr, Beverly Schlee, Critcal Art Ensemble è stato indagato e accusato di bioterrorismo (a causa del Patriot Act – il provvedimento federale post 11 settembre contro il terrorismo – e in seguito al ritrovamento in casa di Steve Kurtz, dopo la morte della moglie Hope per arresto cardiaco, di colture batteriche non tossiche). CAE opera attraverso performance, processi di indagine molecolare, “recombinant theatre”, sabotaggi elettronici nonviolenti, forme di net strike e virtual sit in, tattiche di boicottaggio e riappropriazione creativa e sovversiva dei mezzi di comunicazione, servendosi di medium visuali, installazioni, esposizioni e conferenze, oltre a numerose pubblicazioni. Nel 2011, invitato al PAV per un progetto a lungo termine curato da Orietta Brombin, presenti Steve Kurtz, Steve Barnes e Lucia Sommer, il CAE con il Workshop_23/New Alliance aveva gettato le basi per la definizione collettiva di un vero e proprio “metodo” di ricerca per nuove alleanze, capace di riconnettere umani e territorio naturale attraverso una rinnovata collaborazione inter-specie, in risposta alla precarietà neoliberista delle comunità e dei loro habitat. Nel 2014, nel contesto della mostra Vegetation as a Political Agent curata da Marco Scotini, Critical Art Ensemble aveva creato nella corte del PAV, Parco Arte Vivente di Torino, uno Sterile Field, ossia una campionatura di terreno sterilizzante impiantato dall’esterno e trattato con un diserbante chimico anti-germinativo, chiamato ‘sterminatore’ e commercializzato da potenti società di biotecnologie agrarie, che consente solo agli OGM di crescere e distruggere la biodiversità. Di nuovo al PAV in occasione della mostra The God-Trick, sempre con la curatela di Scotini e inaugurata lo scorso 4 maggio, abbiamo incontrato Steve Kurtz, fondatore di Critical Art Ensemble, che, in coincidenza dell’opening, ha partecipato al convegno internazionale Antropocene – Crisi ecologica e potenzialità trasformative dell’arte e condotto il Workshop_55/Environmental Dilemmas: Necropolitics and Public, curato da Orietta Brombin con la partecipazione della naturalista Laura Canalis e dell’agronomo Daniele Fazio, al seguito del quale è avvenuta l’intervista che segue.
Il CAE ha avviato una ricerca sul tema della necropolitica, l’amministrazione della morte, concentrandosi sul principio del triage applicato all’ambiente. Il triage è una procedura che decide chi dovrà essere soccorso in maniera prioritaria: chi presenta maggiori urgenze, come negli ospedali, o chi ha più probabilità di sopravvivere, come nel caso militare. Il collettivo si chiede allora come saranno organizzate la rigenerazione e la bonifica degli ecosistemi. La loro installazione Environmental Triage: An Experiment in Democracy and Necropolitics consiste in una votazione pubblica di alcuni campioni idrici prelevati nei dintorni di Torino e sottoposti ad analisi. Sarà il pubblico a decidere, al termine del periodo della mostra, quale “acqua” salvare.
Critical Art Ensemble, Disturbances, 2012.
Marco Antelmi: In Marching plague criticavate la germ warfare [i] di Bush. Perché siete passati dall’analisi della germ warfare alla necropolitica? È cambiato qualcosa passando da Bush a Obama a Trump o è rimasto tutto uguale?
Steve Kurtz: La necropolitica è qualcosa che esisteva ed esisterà sempre perché è strettamente legata all’amministrazione politica. La politica avrà sempre a che fare con l’amministrazione della morte. I presidenti hanno l’incarico di organizzare la società, quindi il loro modo di organizzarla si riflette sulla necropolitica. Nel caso di Bush, era neo-conservatore. I neo-conservatori vogliono che il governo esecutivo si trovi a un livello superiore rispetto alle altre branche governative. Credono nell’azione militare come soluzione a qualsiasi problema. Ciò che li rende dei fascisti è che credono che il presidente sia un’autorità in ambito economico. Questo è il motivo per cui ora c’è Trump. Lui non è un fascista tipico. È un autoritario. Non è un fascista tradizionale, è convinto che il governo sia da mettere da parte e che debba essere l’economia a imporre le regole. In ogni caso, quando ci sono i neo-conservatori, le morti salgono, perché per loro chi riesce a creare il più alto tasso di morte vince.
MA: Questo approccio si riflette anche sull’ambiente?
SK: Può dirsi vero in alcuni casi, come quello del medio-oriente dove le zone ecologiche sono totalmente rovinate da ciò che ha fatto Bush. Ma non sul fronte americano, perché il modo in cui la politica americana si è evoluta non vede i fascisti come il pericolo più grande, ma i libertari, ovvero il gruppo di Trump. Credono che tutte le risorse debbano essere sfruttate e che tutti i rifiuti prodotti dalle industrie debbano essere riversati nello spazio pubblico.
MA: Hai visto miglioramenti durante la carica di Obama?
SK: Non ci sono stati miglioramenti su ciò che gli USA hanno fatto oltremare, ma ce ne sono stati in casa. A obama interessa l’ambiente e crede che debba essere regolato. Magari non democraticamente, ma almeno burocraticamente.
Per rispondere alla tua domanda se siamo passati dalla germ warfare alla necropolitica per un motivo specifico, abbiamo iniziato a lavorare sulla germ warfare nel 2005, quindi un bel po’ di tempo fa. Ciò che ci ha fatto virare verso la necropolitica è che nel 2007 abbiamo iniziato a realizzare progetti riguardanti l’ecologia e siamo arrivati a un punto in cui, studiando la teoria ed essendo frustrati dall’esito del nostro agire tattico, abbiamo realizzato di dover iniziare a pensare più strategicamente.
MA: Quindi per combattere il problema alla radice siete dovuti tornare indietro e cercare quale fosse il vero problema.
SK: Sì, stavamo compiendo azioni prima ancora di capire cosa stessimo facendo. E non stavamo capendo il peso della necropolitica in tutto ciò.
Critical Art Ensemble, Workshop_55/Environmental Dilemmas: Necropolitics and Public, a cura di Orietta Brombin, PAV Parco Arte Vivente, Torino, 2018.
Critical Art Ensemble, Environmental Triage: An Experiment in Democracy and Necropolitics, Installazione ambientale nella mostra The God-Trick, a cura di Marco Scotini, PAV Parco Arte Vivente, Torino, 2018.
Critical Art Ensemble, Environmental Triage: An Experiment in Democracy and Necropolitics, Installazione ambientale nella mostra The God-Trick, a cura di Marco Scotini, PAV Parco Arte Vivente, Torino, 2018.
MA: Nel vostro nuovo progetto si parla di triage e di modello militare, ma anche del contrasto tra evoluzionismo e ambientalismo, è giusto associare il triage all’ambientalismo e il modello militare all’evoluzionismo? Pensi che il modello militare applicato alla natura sia un equivalente eugenetico? quando parliamo di questi modelli mi viene subito in mente il dilemma del carrello ferroviario.
SK: È proprio ciò che è il triage, un modello utilitarista. Il modello militare nasce con la scarsità di risorse, non è un modello fascista, è un modello che fa il possibile nelle peggiori condizioni. Se hai risorse limitate non vuoi sprecarle per qualcuno che in ogni caso morirà, vuoi provare a salvare quante più persone possibili per il maggior tempo possibile.
Critical Art Ensemble, Environmental Triage: An Experiment in Democracy and Necropolitics, Installazione ambientale nella mostra The God-Trick, a cura di Marco Scotini, PAV Parco Arte Vivente, Torino, 2018.
MA: Cosa si può dire allora del soluzionismo? È solo un modello tecnocratico?
SK: Esattamente, ed è per questo che non apprezzo il soluzionismo. Si rifiuta di vedere la gestione della morte come un problema politico, ma come un problema tecnico. Così come per tutto il resto.
Per il soluzionismo il problema non è il capitalismo, il problema non è saccheggiare le risorse del pianeta. Il problema è che non disponiamo delle tecnologie necessarie per continuare a farlo; a volte la tecnologia deve venire prima del saccheggio, questa è la soluzione che risolverebbe tutto. Ma sappiamo che non è così. Non aiuta la Terra ma ancora peggio, genera la struttura sociale completamente sottosopra in cui viviamo. In cui c’è questo piccolo gruppo di persone, i più ricchi, e poi tutti gli altri che arrancano.
MA: Il soluzionismo può essere applicato parallelamente a una delle scelte del triage? Ovvero, abbiamo bisogno di essere tecnocratici ma dobbiamo essere più coscienti dal punto di vista politico.
SK: Il punto è che dobbiamo rielaborare la formazione degli ingegneri. Siamo passati a una cultura soluzionista. Quando vado a tenere lezione in posti come l’MIT è palese che gli studenti sono abituati a un tipo di insegnamento orientato alla risoluzione di problemi, senza dover pensare a cosa veramente comporta per la società la soluzione pensata. Questo tipo di ingegnerizzazione è il vero problema. Viene lasciata tutta la responsabilità ai politici. Abbiamo bisogno di ingegneri compassionevoli, ma specialmente negli USA non vogliono ingegneri che pensano oltre il problema proposto. Al contempo non sono d’accordo con chi dice che la soluzione è la fine dell’oggetto tecnologico, non è questa la riposta a tutto, ma di nuovo la politica di come le cose sono ingegnerizzate e di come vengono impiegate, è questo che mi preoccupa.
Critical Art Ensemble, Flesh Machine, 1997-98.
MA: Quale può essere allora l’alternativa all’evoluzionismo e all’ambientalismo?
SK: L’alternativa è l’antropocentrismo. Per esempio, è corretto dire “La biodiversità è una cosa buona… per gli umani!”. Questa è una frase dimostrabile, che può essere vera o falsa. Ma se dici soltanto che la biodiversità è positiva, è soltanto una frase non contestualizzata senza valore. Se guardiamo all’evoluzione da un punto di vista scientifico, è un processo assurdo e senza senso. Se vogliamo rivalorizzarla dobbiamo indicare che la biodiversità è positiva per gli umani. Così come credo che l’antropomorfismo sia positivo, non nella scienza, ma in tutto il resto, perché è ciò che crea empatia nell’uomo. Quando ci rivediamo in altri siamo portati a tirare fuori il meglio che c’è in noi. Quando sento un uccellino cinguettare non lo traduco come il verso di un animale che manda segnali ai suoi simili, ma dico che sta cantando una canzone, e sono felice di chiamarla così, anche se non lo è.
MA: Durante il convegno hai detto che non ha senso parlare di antropocentrismo. Forse è il caso di chiarire cosa pensi dei termini antropocene e antropocentrismo, se sono concetti utili o meno.
SK: L’antropocene non ha mai catturato la mia immaginazione, come ha fatto per altri artisti e umanisti. Ok, ora il processo è completo. Il mondo è gestito dagli esseri umani quasi totalmente già da un po’ di tempo. E magari tra poco raggiungeremo la totalità per cui, ovunque andremo, ci saranno rapporti causa-effetto dovuti all’uomo. Questo però non cambia i miei calcoli e il mio modo di rapportarmi alle questioni ambientali. L’antropocentrismo consiste in un mucchio di accademici che considerano le loro fantasie realtà.
Critical Art Ensemble, Marching Plague, 2005-2007.
MA: Pensi quindi che il legame tra necropolitica e ambiente sia immediato?
SK: Sì ed è per questo che dovremmo iniziare a parlarne invece di viverci dentro come se fosse sottinteso. Sia a destra che a sinistra si sottintende un tipo di necropolitica molto profondo. Si può risalire a questa modalità guardando ad Arne Ness e al suo deep green manifesto. La deep ecology fa lo stesso. Hanno questo stile molto poetico, suonano bene, ma se si legge ciò che implicano è una necropolitica orribile, come se la difesa dell’ambiente autorizzasse uno sterminio di massa. La crudeltà del giudizio inclusa in questi testi è quasi indicibile. E nessuno lo nota. Abbiamo questo atteggiamento New Age quando affermiamo che sarebbe bellissimo salvare tutti gli animali, fingendo di considerarli al pari degli umani, quando poi non accade. E le conseguenze dal punto di vista “necro” sono terribili. Questo è il motivo per cui l’umanità sta commettendo un suicidio. Non c’è più sensibilità pubblica.
MA: È per questo motivo che nelle vostre opere usate materiale da laboratorio di scuola superiore e rendete i vostri messaggi chiari e facili alla comprensione?
SK: Questo aspetto è stato proprio oggetto di discussione all’origine del CAE. Dopo il nostro primo libro, The electronic disturbance, che aveva un linguaggio esoterico e cercava di essere il più oscuro possibile. Mia moglie, Hope, era dell’opinione che bisogna essere chiari, perché se non c’è chiarezza non sai neanche a chi stai parlando. Alla fine Hope aveva ragione.
MA: Anche le vostre competenze non sono specialistiche ma spesso vi affidate a persone esterne durante le performance. Riassumete questa pratica nel ruolo dell’amateur. Cos’è per voi un amateur?
SK: Non ho una definizione precisa per l’amateur. Per essere amateur non puoi essere un idiota, non puoi essere ignorante della materia trattata, devi esserne appassionato e curioso, ma non così impegnato da esserne uno specialista, non un accademico. Un individuo che esplora attivamente il campo di interesse. È questo il problema che abbiamo con Trump: è ottimo avere degli idioti in ufficio, perché non avranno mai un normale comportamento politico. Vedo l’amatorialità come una categoria di tutto rispetto.
Critical Art Ensemble, New Alliance, a cura di Orietta Brombin, PAV, Torino, 2012 (Le piante di Catananche Caerulae cresciute nel giardino del Centro Diurno del Dipartimento di Salute Mentale “Basaglia” dell’ASL TO 2, via Leoncavallo 2, Torino).
MA: Cosa trovi di diverso in Italia e al PAV rispetto al vostro intervento New Alliances del 2011? Senti di stare utilizzando un diverso approccio?
SK: Sono entrambi progetti che abbiamo progettato sapendo qual è lo spazio in cui lavoriamo. Sono progetti tesi maggiormente verso un aspetto informativo ed educativo. L’aspetto straordinario è stato il grado di volontariato per quest’ultimo progetto: ha richiesto l’impegno di un anno perché il progetto si evolvesse a quello che è oggi, e la cosa fantastica è che è stato realizzato grazie ai volontari.
MA: È ciò che intendevi quando parlavi dei piccoli ammassi di stelle: sei ottimista verso il potere dell’arte ma pessimista in generale sul modo in cui la storia si sta muovendo, eppure non ti dimentichi di ricordare di non arrendersi, che oltre tutto lo spazio buio ci sono delle scintille positive. Ma cosa possiamo fare nel breve termine per far sì che queste scintille, questi piccoli eventi, si diffondano e per apportare un reale cambiamento?
SK: Come individui di piccoli gruppi possiamo ricreare territori, come in Reclaim the streets, riconvertire le strade in zone autonome e abitabili. Possiamo lavorare sulla soggettività, come credo sia successo durante il workshop: ogni persona che è uscita da quella stanza adesso dovrebbe avere una personale visione dell’argomento. Possiamo creare strumenti, e chissà se qualche strumento non potrà avere un effetto molecolare rivoluzionario, un effetto inaspettato. Come per l’invenzione della pillola contraccettiva, usata inizialmente per controllare i parti delle donne povere, ha infuocato la rivoluzione sessuale e ha iniziato un movimento femminile sul posto di lavoro. Questo è quello che accade quando si hanno tante persone creative al posto di soluzionisti.
Infine possiamo attuare interventi simbolici, far dire al mondo ciò che era progetto di non dire. Possiamo sovvertire il flusso semiotico e trasformarlo in un potere resistente.
Si può benissimo dire che questo progetto per il PAV non cambierà il mondo. Ovviamente è così, non c’è nessun progetto individuale che può farlo, forse uno strumento può. La maggior parte delle volte non avrà effetti evidenti, così come una protesta non ferma una guerra. Sono gli avvenimenti nel tempo che apportano dei cambiamenti. Ci vuole tempo per vedere cambiamenti e bisogna parlare in termini di aggregati.
Negli ultimi anni ho cambiato parere sull’agire tatticamente, probabilmente una organizzazione più strategica deve accompagnare quella tattica.
Critical Art Ensemble, Sterile Field [Campo Sterile], 2014, installazione ambientale; terra, trattamento Roundup Ready, Vegetation as a political agent a cura di Marco Scotini, PAV, Torino.
Critical Art Ensemble, Sterile Field [Campo Sterile], 2014, installazione ambientale; terra, trattamento Roundup Ready insieme a RozO (Philippe Zourgane e Severine Roussel), When vegetation is not decoration, 2014, architettura vegetale, foglie di palma e bambù, PAV, Torino.
MA: Avete pensato come CAE o come Steve Kurtz alla creazione di una comunità internazionale o a un think tank?
SK: Sarebbe un’ottima idea, ma se dovessi fondare un think tank credo che dovrei essere un po’ più giovane, credo che sia oltre le mie capacità in questo momento della mia vita, perché c’è davvero bisogno di persone giovani e piene di energia per metterci impegno. [ride]
MA: Non sono molto d’accordo con te. In ogni caso, nei vostri progetti parlate spesso di Resistenza. Solitamente si pensa a essa come a una salvaguardia di elementi preesistenti, se però vogliamo agire in maniera creativa credo che la Resistenza vada usata per creare un’alternativa. Ma cos’è per voi la Resistenza?
SK: Resistenza è qualsiasi cosa sfidi lo status quo, a varie intensità e grandezze. È una categoria molto ampia, che può voler dire distruggere lo status quo o creare un’alternativa o entrambi. È dire “Non continuo più così”.
Critical Art Ensemble, Cult of the New Eve, 1999-2000.
MA: Come avete affermato per il vostro progetto Cult of the new eve: “Il dna lega le persone e gli animali e ci differenzia per una piccolissima percentuale”. Pensate che internet possa fare lo stesso se usato nella giusta maniera?
SK: Internet ad oggi si è evoluto considerevolmente, ma nella sua prima fase offriva molta più potenzialità autonoma di oggi. Con questo non voglio dire che oggi non è più utile. Può essere utilizzato a fini organizzativi e per costruire una massa critica. Se vivi in una citta piccola potrebbe non essere presente un movimento politico in cui sentirmi a mio agio, ma posso trovarlo online e parteciparvi attraverso risorse virtuali. Questo però non basta. Il tutto funziona quando internet incontra l’attivismo di persona e viceversa. Devo dire di essere molto più depresso ora riguardo internet di quanto lo fossi negli anni novanta. Ciò che avevamo previsto in The electronic disturbance, che sarebbe stato corporativizzato e privatizzato, sta succedendo.
MA: Nei vostri progetti avete parlato anche di utopie. Le teorie di cui si parla oggi sono postumano, transumano, accelerazionismo. In esse è spesso presente l’utopia. Cosa pensate delle utopie? L’unico modo per vedere la realtà è la distopia huxleyana?
SK: Le utopie possono essere positive a un livello micro, in un piccolo gruppo di individui, con un tipo di utopia drop-out che porti a modi di vivere interessanti e inaspettati. Ma non mi convincono perché quando si entra nel campo del conflitto e della controversia, le utopie non possono esistere, perché l’utopia di uno diventa l’inferno di un altro. D’altra parte, alla destra piace parlare di utopie. A loro piace parlare di come andranno i mercati, di come si vivrà quando avremo impedito agli immigrati di entrare nelle nostre terre. Hanno moltissime splendide idee utopiche e di come le cose dovrebbero andare. Questo li porta a essere votati. Dobbiamo rivedere le utopie, le visioni utopiche sono esclusive, non inclusive. Sono davvero combattuto sull’introduzione delle utopie in una situazione macropolitica. Per esempio, si può parlare di futuri possibili e non essere utopici.
MA: Come pensate di portare avanti questo progetto sulla necropolitica?
SK: L’intenzione è quella di replicarlo e portarlo in posti diversi. La prossima versione sarà coreana.
Gli artisti Nomeda e Gediminas Urbonas, Steve Kurtz – Critical Art Ensemble, Bonnie Ora Sherk, Piero Gilardi e Michel Blazy durante il convegno internazionale Antropocene. Crisi ecologica e potenzialità trasformative dell’arte, PAV, Torino.
immagine di copertina: Critical Art Ensemble, Cult of the New Eve, 2000.
di Marco Antelmi
La vita degli uomini e di molte altre specie è accomunata dalla medesima condizione di precarietà ecologica, provocata dalla deliberata bancarotta etica del neoliberismo. Non soltanto il capitale cerca di evitare qualsiasi relazione con le questioni inerenti alla riproduzione del sociale, salvo assicurarsi che non si esaurisca mai il bacino della forza-lavoro, ma non vuole avere niente a che fare neppure con la salvaguardia della vita in nessuna forma. La biosfera viene intesa solo e soltanto come una risorsa da utilizzare fino ad esaurimento.
[…]
Data per certa la possibilità di un cambiamento radicale e considerato il fatto che noi adesso stiamo ormai raschiando il fondo del barile del libero mercato, perché mai il prossimo capovolgimento non potrebbe essere positivo? Si potrebbe sostituire la triade uomo/fucile/carro armato con la meno gerarchica uomo/mattone /barricata. Secondo il CAE non c’è ragione per cui non si possa, impegnandosi a fondo nella lotta, tornare ad essere creature dotate di intelligenza e creatività, e insieme invertire il processo di precarietà in una forza positiva e costruttiva opposta alla generale condizione odierna.
Critical Art Ensemble, Reinventare la precarietà, in PAVzine #6 (da Metodo New Alliance, workshop e mostra a cura di Orietta Brombin, PAV, Torino, 2012).
Se la sinistra ha imparato qualcosa dalla resistenza contro la tecnocrazia capitalista, è che i processi democratici funzionano solo in minima parte quando si tratta di rallentare la macchina del profitto pancapitalista. Questi processi sono ormai in mano alle corporation e alle altre istituzioni al servizio del capitale, che tendono a muoversi al di fuori dei dettami democratici nazionali. Bisogna mettere a punto altri metodi di riappropriazione del potere.
[…]
Il sabotatore fuzzy sta in equilibrio sulla linea ambigua tra il legale e l’illegale (penale e civile). Da questa posizione un individuo o un gruppo possono innescare una catena di eventi in grado di portare al risultato desiderato. L’azione iniziale, l’unica cioè con cui il sabotatore dovrebbe avere un nesso causale diretto, dovrebbe essere più legale possibile e auspicabilmente rispettosa dei diritti di ogni individuo. Più sono gli anelli della catena, meglio è da un punto di vista legale, anche se aumentare i passaggi causali incrementa la difficoltà di controllare tutte le variabili che, in crescita esponenziale, potrebbero compromettere l’azione. La maggior parte di queste azioni avrà solamente due fasi: l’atto legittimo o fuzzy e il conseguente scombussolamento. Le autorità avranno il difficile compito di dimostrare l’illegalità di un atto indiretto, compito ingrato per i pubblici ministeri. In definitiva, il sabotare fuzzy, al contrario della Dc [Disobbedienza civile – NdC], non richiede né uno scontro fisico con l’autorità né, in molti casi, alcun tipo di infrazione legale.
Critical Art Ensemble, Sabotaggio Biologico “Fuzzy” (alfaDisobedience – speciale di Alfabeta2, giugno 2013)
Critical Art Ensemble, Winning Hearts And Minds, 2012.
Critical Art Ensemble (CAE) è uno storico collettivo di artisti e teorici statunitensi tra i pionieri della tactical media art che dagli anni Ottanta esplora i confini tra arte, teoria critica, tecnologia e attivismo politico radicale. Formato nel 1987 in Tallahassee, Florida, da Hope e Steve Kurtz, Steve Barnes, Dorian Burr, Beverly Schlee, Critcal Art Ensemble è stato indagato e accusato di bioterrorismo (a causa del Patriot Act – il provvedimento federale post 11 settembre contro il terrorismo – e in seguito al ritrovamento in casa di Steve Kurtz, dopo la morte della moglie Hope per arresto cardiaco, di colture batteriche non tossiche). CAE opera attraverso performance, processi di indagine molecolare, “recombinant theatre”, sabotaggi elettronici nonviolenti, forme di net strike e virtual sit in, tattiche di boicottaggio e riappropriazione creativa e sovversiva dei mezzi di comunicazione, servendosi di medium visuali, installazioni, esposizioni e conferenze, oltre a numerose pubblicazioni. Nel 2011, invitato al PAV per un progetto a lungo termine curato da Orietta Brombin, presenti Steve Kurtz, Steve Barnes e Lucia Sommer, il CAE con il Workshop_23/New Alliance aveva gettato le basi per la definizione collettiva di un vero e proprio “metodo” di ricerca per nuove alleanze, capace di riconnettere umani e territorio naturale attraverso una rinnovata collaborazione inter-specie, in risposta alla precarietà neoliberista delle comunità e dei loro habitat. Nel 2014, nel contesto della mostra Vegetation as a Political Agent curata da Marco Scotini, Critical Art Ensemble aveva creato nella corte del PAV, Parco Arte Vivente di Torino, uno Sterile Field, ossia una campionatura di terreno sterilizzante impiantato dall’esterno e trattato con un diserbante chimico anti-germinativo, chiamato ‘sterminatore’ e commercializzato da potenti società di biotecnologie agrarie, che consente solo agli OGM di crescere e distruggere la biodiversità. Di nuovo al PAV in occasione della mostra The God-Trick, sempre con la curatela di Scotini e inaugurata lo scorso 4 maggio, abbiamo incontrato Steve Kurtz, fondatore di Critical Art Ensemble, che, in coincidenza dell’opening, ha partecipato al convegno internazionale Antropocene – Crisi ecologica e potenzialità trasformative dell’arte e condotto il Workshop_55/Environmental Dilemmas: Necropolitics and Public, curato da Orietta Brombin con la partecipazione della naturalista Laura Canalis e dell’agronomo Daniele Fazio, al seguito del quale è avvenuta l’intervista che segue.
Il CAE ha avviato una ricerca sul tema della necropolitica, l’amministrazione della morte, concentrandosi sul principio del triage applicato all’ambiente. Il triage è una procedura che decide chi dovrà essere soccorso in maniera prioritaria: chi presenta maggiori urgenze, come negli ospedali, o chi ha più probabilità di sopravvivere, come nel caso militare. Il collettivo si chiede allora come saranno organizzate la rigenerazione e la bonifica degli ecosistemi. La loro installazione Environmental Triage: An Experiment in Democracy and Necropolitics consiste in una votazione pubblica di alcuni campioni idrici prelevati nei dintorni di Torino e sottoposti ad analisi. Sarà il pubblico a decidere, al termine del periodo della mostra, quale “acqua” salvare.
Critical Art Ensemble, Disturbances, 2012.
Marco Antelmi: In Marching plague criticavate la germ warfare [i] di Bush. Perché siete passati dall’analisi della germ warfare alla necropolitica? È cambiato qualcosa passando da Bush a Obama a Trump o è rimasto tutto uguale?
Steve Kurtz: La necropolitica è qualcosa che esisteva ed esisterà sempre perché è strettamente legata all’amministrazione politica. La politica avrà sempre a che fare con l’amministrazione della morte. I presidenti hanno l’incarico di organizzare la società, quindi il loro modo di organizzarla si riflette sulla necropolitica. Nel caso di Bush, era neo-conservatore. I neo-conservatori vogliono che il governo esecutivo si trovi a un livello superiore rispetto alle altre branche governative. Credono nell’azione militare come soluzione a qualsiasi problema. Ciò che li rende dei fascisti è che credono che il presidente sia un’autorità in ambito economico. Questo è il motivo per cui ora c’è Trump. Lui non è un fascista tipico. È un autoritario. Non è un fascista tradizionale, è convinto che il governo sia da mettere da parte e che debba essere l’economia a imporre le regole. In ogni caso, quando ci sono i neo-conservatori, le morti salgono, perché per loro chi riesce a creare il più alto tasso di morte vince.
MA: Questo approccio si riflette anche sull’ambiente?
SK: Può dirsi vero in alcuni casi, come quello del medio-oriente dove le zone ecologiche sono totalmente rovinate da ciò che ha fatto Bush. Ma non sul fronte americano, perché il modo in cui la politica americana si è evoluta non vede i fascisti come il pericolo più grande, ma i libertari, ovvero il gruppo di Trump. Credono che tutte le risorse debbano essere sfruttate e che tutti i rifiuti prodotti dalle industrie debbano essere riversati nello spazio pubblico.
MA: Hai visto miglioramenti durante la carica di Obama?
SK: Non ci sono stati miglioramenti su ciò che gli USA hanno fatto oltremare, ma ce ne sono stati in casa. A obama interessa l’ambiente e crede che debba essere regolato. Magari non democraticamente, ma almeno burocraticamente.
Per rispondere alla tua domanda se siamo passati dalla germ warfare alla necropolitica per un motivo specifico, abbiamo iniziato a lavorare sulla germ warfare nel 2005, quindi un bel po’ di tempo fa. Ciò che ci ha fatto virare verso la necropolitica è che nel 2007 abbiamo iniziato a realizzare progetti riguardanti l’ecologia e siamo arrivati a un punto in cui, studiando la teoria ed essendo frustrati dall’esito del nostro agire tattico, abbiamo realizzato di dover iniziare a pensare più strategicamente.
MA: Quindi per combattere il problema alla radice siete dovuti tornare indietro e cercare quale fosse il vero problema.
SK: Sì, stavamo compiendo azioni prima ancora di capire cosa stessimo facendo. E non stavamo capendo il peso della necropolitica in tutto ciò.
Critical Art Ensemble, Workshop_55/Environmental Dilemmas: Necropolitics and Public, a cura di Orietta Brombin, PAV Parco Arte Vivente, Torino, 2018.
Critical Art Ensemble, Environmental Triage: An Experiment in Democracy and Necropolitics, Installazione ambientale nella mostra The God-Trick, a cura di Marco Scotini, PAV Parco Arte Vivente, Torino, 2018.
Critical Art Ensemble, Environmental Triage: An Experiment in Democracy and Necropolitics, Installazione ambientale nella mostra The God-Trick, a cura di Marco Scotini, PAV Parco Arte Vivente, Torino, 2018.
MA: Nel vostro nuovo progetto si parla di triage e di modello militare, ma anche del contrasto tra evoluzionismo e ambientalismo, è giusto associare il triage all’ambientalismo e il modello militare all’evoluzionismo? Pensi che il modello militare applicato alla natura sia un equivalente eugenetico? quando parliamo di questi modelli mi viene subito in mente il dilemma del carrello ferroviario.
SK: È proprio ciò che è il triage, un modello utilitarista. Il modello militare nasce con la scarsità di risorse, non è un modello fascista, è un modello che fa il possibile nelle peggiori condizioni. Se hai risorse limitate non vuoi sprecarle per qualcuno che in ogni caso morirà, vuoi provare a salvare quante più persone possibili per il maggior tempo possibile.
Critical Art Ensemble, Environmental Triage: An Experiment in Democracy and Necropolitics, Installazione ambientale nella mostra The God-Trick, a cura di Marco Scotini, PAV Parco Arte Vivente, Torino, 2018.
MA: Cosa si può dire allora del soluzionismo? È solo un modello tecnocratico?
SK: Esattamente, ed è per questo che non apprezzo il soluzionismo. Si rifiuta di vedere la gestione della morte come un problema politico, ma come un problema tecnico. Così come per tutto il resto.
Per il soluzionismo il problema non è il capitalismo, il problema non è saccheggiare le risorse del pianeta. Il problema è che non disponiamo delle tecnologie necessarie per continuare a farlo; a volte la tecnologia deve venire prima del saccheggio, questa è la soluzione che risolverebbe tutto. Ma sappiamo che non è così. Non aiuta la Terra ma ancora peggio, genera la struttura sociale completamente sottosopra in cui viviamo. In cui c’è questo piccolo gruppo di persone, i più ricchi, e poi tutti gli altri che arrancano.
MA: Il soluzionismo può essere applicato parallelamente a una delle scelte del triage? Ovvero, abbiamo bisogno di essere tecnocratici ma dobbiamo essere più coscienti dal punto di vista politico.
SK: Il punto è che dobbiamo rielaborare la formazione degli ingegneri. Siamo passati a una cultura soluzionista. Quando vado a tenere lezione in posti come l’MIT è palese che gli studenti sono abituati a un tipo di insegnamento orientato alla risoluzione di problemi, senza dover pensare a cosa veramente comporta per la società la soluzione pensata. Questo tipo di ingegnerizzazione è il vero problema. Viene lasciata tutta la responsabilità ai politici. Abbiamo bisogno di ingegneri compassionevoli, ma specialmente negli USA non vogliono ingegneri che pensano oltre il problema proposto. Al contempo non sono d’accordo con chi dice che la soluzione è la fine dell’oggetto tecnologico, non è questa la riposta a tutto, ma di nuovo la politica di come le cose sono ingegnerizzate e di come vengono impiegate, è questo che mi preoccupa.
Critical Art Ensemble, Flesh Machine, 1997-98.
MA: Quale può essere allora l’alternativa all’evoluzionismo e all’ambientalismo?
SK: L’alternativa è l’antropocentrismo. Per esempio, è corretto dire “La biodiversità è una cosa buona… per gli umani!”. Questa è una frase dimostrabile, che può essere vera o falsa. Ma se dici soltanto che la biodiversità è positiva, è soltanto una frase non contestualizzata senza valore. Se guardiamo all’evoluzione da un punto di vista scientifico, è un processo assurdo e senza senso. Se vogliamo rivalorizzarla dobbiamo indicare che la biodiversità è positiva per gli umani. Così come credo che l’antropomorfismo sia positivo, non nella scienza, ma in tutto il resto, perché è ciò che crea empatia nell’uomo. Quando ci rivediamo in altri siamo portati a tirare fuori il meglio che c’è in noi. Quando sento un uccellino cinguettare non lo traduco come il verso di un animale che manda segnali ai suoi simili, ma dico che sta cantando una canzone, e sono felice di chiamarla così, anche se non lo è.
MA: Durante il convegno hai detto che non ha senso parlare di antropocentrismo. Forse è il caso di chiarire cosa pensi dei termini antropocene e antropocentrismo, se sono concetti utili o meno.
SK: L’antropocene non ha mai catturato la mia immaginazione, come ha fatto per altri artisti e umanisti. Ok, ora il processo è completo. Il mondo è gestito dagli esseri umani quasi totalmente già da un po’ di tempo. E magari tra poco raggiungeremo la totalità per cui, ovunque andremo, ci saranno rapporti causa-effetto dovuti all’uomo. Questo però non cambia i miei calcoli e il mio modo di rapportarmi alle questioni ambientali. L’antropocentrismo consiste in un mucchio di accademici che considerano le loro fantasie realtà.
Critical Art Ensemble, Marching Plague, 2005-2007.
MA: Pensi quindi che il legame tra necropolitica e ambiente sia immediato?
SK: Sì ed è per questo che dovremmo iniziare a parlarne invece di viverci dentro come se fosse sottinteso. Sia a destra che a sinistra si sottintende un tipo di necropolitica molto profondo. Si può risalire a questa modalità guardando ad Arne Ness e al suo deep green manifesto. La deep ecology fa lo stesso. Hanno questo stile molto poetico, suonano bene, ma se si legge ciò che implicano è una necropolitica orribile, come se la difesa dell’ambiente autorizzasse uno sterminio di massa. La crudeltà del giudizio inclusa in questi testi è quasi indicibile. E nessuno lo nota. Abbiamo questo atteggiamento New Age quando affermiamo che sarebbe bellissimo salvare tutti gli animali, fingendo di considerarli al pari degli umani, quando poi non accade. E le conseguenze dal punto di vista “necro” sono terribili. Questo è il motivo per cui l’umanità sta commettendo un suicidio. Non c’è più sensibilità pubblica.
MA: È per questo motivo che nelle vostre opere usate materiale da laboratorio di scuola superiore e rendete i vostri messaggi chiari e facili alla comprensione?
SK: Questo aspetto è stato proprio oggetto di discussione all’origine del CAE. Dopo il nostro primo libro, The electronic disturbance, che aveva un linguaggio esoterico e cercava di essere il più oscuro possibile. Mia moglie, Hope, era dell’opinione che bisogna essere chiari, perché se non c’è chiarezza non sai neanche a chi stai parlando. Alla fine Hope aveva ragione.
MA: Anche le vostre competenze non sono specialistiche ma spesso vi affidate a persone esterne durante le performance. Riassumete questa pratica nel ruolo dell’amateur. Cos’è per voi un amateur?
SK: Non ho una definizione precisa per l’amateur. Per essere amateur non puoi essere un idiota, non puoi essere ignorante della materia trattata, devi esserne appassionato e curioso, ma non così impegnato da esserne uno specialista, non un accademico. Un individuo che esplora attivamente il campo di interesse. È questo il problema che abbiamo con Trump: è ottimo avere degli idioti in ufficio, perché non avranno mai un normale comportamento politico. Vedo l’amatorialità come una categoria di tutto rispetto.
Critical Art Ensemble, New Alliance, a cura di Orietta Brombin, PAV, Torino, 2012 (Le piante di Catananche Caerulae cresciute nel giardino del Centro Diurno del Dipartimento di Salute Mentale “Basaglia” dell’ASL TO 2, via Leoncavallo 2, Torino).
MA: Cosa trovi di diverso in Italia e al PAV rispetto al vostro intervento New Alliances del 2011? Senti di stare utilizzando un diverso approccio?
SK: Sono entrambi progetti che abbiamo progettato sapendo qual è lo spazio in cui lavoriamo. Sono progetti tesi maggiormente verso un aspetto informativo ed educativo. L’aspetto straordinario è stato il grado di volontariato per quest’ultimo progetto: ha richiesto l’impegno di un anno perché il progetto si evolvesse a quello che è oggi, e la cosa fantastica è che è stato realizzato grazie ai volontari.
MA: È ciò che intendevi quando parlavi dei piccoli ammassi di stelle: sei ottimista verso il potere dell’arte ma pessimista in generale sul modo in cui la storia si sta muovendo, eppure non ti dimentichi di ricordare di non arrendersi, che oltre tutto lo spazio buio ci sono delle scintille positive. Ma cosa possiamo fare nel breve termine per far sì che queste scintille, questi piccoli eventi, si diffondano e per apportare un reale cambiamento?
SK: Come individui di piccoli gruppi possiamo ricreare territori, come in Reclaim the streets, riconvertire le strade in zone autonome e abitabili. Possiamo lavorare sulla soggettività, come credo sia successo durante il workshop: ogni persona che è uscita da quella stanza adesso dovrebbe avere una personale visione dell’argomento. Possiamo creare strumenti, e chissà se qualche strumento non potrà avere un effetto molecolare rivoluzionario, un effetto inaspettato. Come per l’invenzione della pillola contraccettiva, usata inizialmente per controllare i parti delle donne povere, ha infuocato la rivoluzione sessuale e ha iniziato un movimento femminile sul posto di lavoro. Questo è quello che accade quando si hanno tante persone creative al posto di soluzionisti.
Infine possiamo attuare interventi simbolici, far dire al mondo ciò che era progetto di non dire. Possiamo sovvertire il flusso semiotico e trasformarlo in un potere resistente.
Si può benissimo dire che questo progetto per il PAV non cambierà il mondo. Ovviamente è così, non c’è nessun progetto individuale che può farlo, forse uno strumento può. La maggior parte delle volte non avrà effetti evidenti, così come una protesta non ferma una guerra. Sono gli avvenimenti nel tempo che apportano dei cambiamenti. Ci vuole tempo per vedere cambiamenti e bisogna parlare in termini di aggregati.
Negli ultimi anni ho cambiato parere sull’agire tatticamente, probabilmente una organizzazione più strategica deve accompagnare quella tattica.
Critical Art Ensemble, Sterile Field [Campo Sterile], 2014, installazione ambientale; terra, trattamento Roundup Ready, Vegetation as a political agent a cura di Marco Scotini, PAV, Torino.
Critical Art Ensemble, Sterile Field [Campo Sterile], 2014, installazione ambientale; terra, trattamento Roundup Ready insieme a RozO (Philippe Zourgane e Severine Roussel), When vegetation is not decoration, 2014, architettura vegetale, foglie di palma e bambù, PAV, Torino.
SK: Sarebbe un’ottima idea, ma se dovessi fondare un think tank credo che dovrei essere un po’ più giovane, credo che sia oltre le mie capacità in questo momento della mia vita, perché c’è davvero bisogno di persone giovani e piene di energia per metterci impegno. [ride]
MA: Non sono molto d’accordo con te. In ogni caso, nei vostri progetti parlate spesso di Resistenza. Solitamente si pensa a essa come a una salvaguardia di elementi preesistenti, se però vogliamo agire in maniera creativa credo che la Resistenza vada usata per creare un’alternativa. Ma cos’è per voi la Resistenza?
SK: Resistenza è qualsiasi cosa sfidi lo status quo, a varie intensità e grandezze. È una categoria molto ampia, che può voler dire distruggere lo status quo o creare un’alternativa o entrambi. È dire “Non continuo più così”.
Critical Art Ensemble, Cult of the New Eve, 1999-2000.
MA: Come avete affermato per il vostro progetto Cult of the new eve: “Il dna lega le persone e gli animali e ci differenzia per una piccolissima percentuale”. Pensate che internet possa fare lo stesso se usato nella giusta maniera?
SK: Internet ad oggi si è evoluto considerevolmente, ma nella sua prima fase offriva molta più potenzialità autonoma di oggi. Con questo non voglio dire che oggi non è più utile. Può essere utilizzato a fini organizzativi e per costruire una massa critica. Se vivi in una citta piccola potrebbe non essere presente un movimento politico in cui sentirmi a mio agio, ma posso trovarlo online e parteciparvi attraverso risorse virtuali. Questo però non basta. Il tutto funziona quando internet incontra l’attivismo di persona e viceversa. Devo dire di essere molto più depresso ora riguardo internet di quanto lo fossi negli anni novanta. Ciò che avevamo previsto in The electronic disturbance, che sarebbe stato corporativizzato e privatizzato, sta succedendo.
MA: Nei vostri progetti avete parlato anche di utopie. Le teorie di cui si parla oggi sono postumano, transumano, accelerazionismo. In esse è spesso presente l’utopia. Cosa pensate delle utopie? L’unico modo per vedere la realtà è la distopia huxleyana?
SK: Le utopie possono essere positive a un livello micro, in un piccolo gruppo di individui, con un tipo di utopia drop-out che porti a modi di vivere interessanti e inaspettati. Ma non mi convincono perché quando si entra nel campo del conflitto e della controversia, le utopie non possono esistere, perché l’utopia di uno diventa l’inferno di un altro. D’altra parte, alla destra piace parlare di utopie. A loro piace parlare di come andranno i mercati, di come si vivrà quando avremo impedito agli immigrati di entrare nelle nostre terre. Hanno moltissime splendide idee utopiche e di come le cose dovrebbero andare. Questo li porta a essere votati. Dobbiamo rivedere le utopie, le visioni utopiche sono esclusive, non inclusive. Sono davvero combattuto sull’introduzione delle utopie in una situazione macropolitica. Per esempio, si può parlare di futuri possibili e non essere utopici.
MA: Come pensate di portare avanti questo progetto sulla necropolitica?
SK: L’intenzione è quella di replicarlo e portarlo in posti diversi. La prossima versione sarà coreana.
Gli artisti Nomeda e Gediminas Urbonas, Steve Kurtz – Critical Art Ensemble, Bonnie Ora Sherk, Piero Gilardi e Michel Blazy durante il convegno internazionale Antropocene. Crisi ecologica e potenzialità trasformative dell’arte, PAV, Torino.
immagine di copertina: Critical Art Ensemble, Cult of the New Eve, 2000.
[i] http://critical-art.net/?p=34
Steve Kurtz [CAE/Critical Art Ensemble] insieme a Marco Scotini, PAV – Parco Arte Vivente, inaugurazione mostra “The God Trick” e convegno internazionale, Torino, 2018, © Filippo Alfero.