Il regalo di Anna Banana è una domanda che resta. Ci chiede di portare a casa quel dono pieno di domande, di giocarci e poi, strategicamente, di regalarlo di nuovo [Helen Marzlof]
Mi concentro non sul fare cose, ma sul far accadere le cose, concettualizzare e produrre eventi interattivi; con il coinvolgimento attivo e la partecipazione pubblica, mettendo in discussione le ipotesi sull’arte [Anna Banana]
Derrida parla di filosofia come di una cartolina. Scritta, compilata, inviata, una volta ricevuta letta in fretta e poi dimenticata in un cassetto. Ma la sua funziona risiede davvero nell’arrivare al mittente? La cartolina, come la filosofia, vive dello spostarsi, del viaggiare, del rimbalzare da un paese all’altro, del perdersi e arrivare a toccare mete insperate. La filosofia, la cartolina vivono nella circolazione o non vivono affatto.
E l’arte? Può essere come una cartolina?
cover di Fe Mail Art, issue n.6, Vile magazine, 1978.
Anna Banana fonda quasi cinquant’anni di ininterrotta attività artistica sulla creazione di piattaforme di scambio, di condivisione, di ricerca comune. Anna Banana è una delle regine della mail art, la sua produzione si stratifica in cartoline, francobolli, fanzine. Non si chiama nemmeno Anna Banana, ma Anna Lee Lang. Nasce in Canada, negli anni Settanta si autoproclama “Fool of the Town”, cambia il suo nome all’anagrafe e comincia a inserirsi, tra le poche donne, nel movimento silenzioso della mail art, all’interno della rete internazionale IMAN (International Mail Art Network), che come un fiume carsico attraversa gli anni Cinquanta e Sessanta a cavallo dell’onda Fluxus e si fa portavoce di un’arte egualitaria, in cui i confini fra autore e pubblico si fanno labili in favore della circolazione ininterrotta di idee, oggetti e immagini.
Anna Banana, Columbus Day Parade, 1976 San Francisco/Tarzana Banana, California, photo Charles Chickadel
Se fu Ray Johnson a fondare il primo network di artisti che producevano e scambiavano cartoline e francobolli (autenticandoli come arte solo con l’atto della spedizione), Anna Banana fa proprie le istanze democratiche, di creazione/produzione e circolazione/divulgazione del movimento; non si limita a stampare e scambiare francobolli e cartoline con altri artisti, ma comincia a raccogliere da un pubblico molto più ampio oggetti, storie e aneddoti sulle banane che poi raccoglie fedelmente su un bollettino autoprodotto, il Banana Rag. A questa attività archivistica, che assume tutt’altro significato quando tutti gli oggetti inviati dalle persone vengono regalati e rimessi in circolazione, si unisce l’organizzazione di eventi e spettacoli itineranti, dal Going Bananas Fashion Contest, alle Banana Olympics, in cui tutti gli strampalati manifestanti sono tenuti a presentarsi con un balzano costume homemade, o l’esuberante scrittura collettiva di un’Enciclopedia Bananica, i cui partecipanti vengono retribuiti con un attestato in Bananologia inviato dall’artista, ovviamente, per posta.
Anna Banana, Banana Olympics, program of events, documentation.
First Columbus Day Parade, San Francisco, 1975, Anna Banana indossa il costume da banana delle Banana Olympics del 1975.
Gli artistamps, le riviste autoprodotte come Banana Rag (1971- 2016) o VILE Magazine (1974 – 1982), gli attestati e le parate hanno avuto negli anni, oltre a una vastissima partecipazione, numerose critiche e altrettanti detrattori: si tratta davvero di arte? Da dove trae il suo principio di necessità? Risponde Anna Banana, commentando la prima volta che scese in piazza con un vestito arcobaleno e, dichiarandosi “la pazza del villaggio”, cercò di invertire il segno del proprio rapportarsi con le persone:
“la prima volta che feci il Fool of the Town, fu perché mi sentivo isolata, stavo cercando di trovare un modo per creare un contatto con le altre persone… alla fine tutti possono relazionarsi con una banana”
E ancora:
“di solito non ci relazioniamo con gli altri pubblicamente, apertamente… ho sempre voluto ricordare alle persone di essere qui e ora”
Anna Banana, Acollection’s Banana, alcuni tra i 1000 oggetti regalati durante l’esposizione “45 years of fooling around with Anna Banana”, Open Space, Victoria, 2015.
Liberata negli anni del Boom economico e della crescita incontrollata (e squilibrata) dell’agenda neo-liberale, insieme alla logica dell’accumulo e del consumo ossessivo, l’opera immensa di Anna Banana è, in tutte le declinazioni, un vero e proprio credo, una dichiarazione di intenti: dichiarazione di non potersi più prendere sul serio, dichiarazione di non conoscere creazione senza condivisione, senza confronto, senza partecipazione. Una pratica creativa, o una gift economy, che trova senso nelle connessioni che crea, nella sua capacità di abbattere le gerarchie e di costringere a mettersi in gioco, a metterci la faccia. Ma è anche una critica sociale e politica, chissà quanto involontaria, a quella “aesthetic of administration” (Buchloh) e al suo essere, ben presto, divenuta uno strumento di potere – o forse al suo superamento rispetto a un momento chiave nella storia dell’arte concettuale che avrebbe reso visibili i rapporti capitalistici che stanno alla base della produzione e della distribuzione nella sfera dell’arte – oltre che generato una forte tensione contro il sistema commerciale nei circuiti dell’auto-organizzazione.
“falso collage” di Bill Gaglione, accreditato alla Galleria Schwartz.
Ma se da una parte la partecipazione del pubblico è ciò che dà senso e vita all’opera di Anna Banana, dall’altra rimane come presenza fortissima e cifra inconfondibile, la sua firma, quella banana che con coerenza quasi maniacale compare in ogni fanzine, in ogni cartolina, in ogni performance. Banana che porta con sé una genealogia inscindibile di significati e allo stesso tempo è la garanzia di un pensiero netto e determinato. Un pensiero che non si ferma, che continua a produrre, che continua a coinvolgere. Anche quando la raccolta delle sue opere viene intercettata dalla piattaforma artistica itinerante Kunstverein e insieme ad essa viaggia da Toronto ad Amsterdam fino a Milano – ora negli spazi del The Art Book Shop Project, con le sue ‘artistamps’, ‘Banana rags’ (piccole pubblicazioni in formato giornale), le cartoline postali, le ‘mailers’, i manifesti e gli strampalati costumi – durante l’esposizione, vengono organizzati sondaggi e raccolte di materiale, il pubblico è invitato a partecipare, a scrivere, a sentirsi parte di un progetto più grande che ha la forma e l’irriverenza di una buccia di banana.
“Vile magazine”, No. 2/3, Summer 1976, with cover photo of Gaglione’s chest, with DADA shave, and 1/2 of Anna Banana’s face.
Così, se la pratica artistica di Anna Banana non può non affondare le sue radici in movimenti come Fluxus o il Neo-dadaismo, è proprio da questo non aver mai finito di dire, che trae la sua forza. Anna Banana non è artista del suo tempo, è artista di tutti i tempi possibili, di tutti i luoghi in cui le sue cartoline sono passate, forzando con la loro ironia le maglie strette di un sistema conformista e preordinato.
Le sue opere sono scanzonate, ironiche, non comunicano nulla se non loro stesse. Ogni azione, ogni creazione trova il proprio senso in chi vi ha preso parte, in chi ha deciso di uscire da un discorso solipsistico per creare un contatto, un confronto. E cos’è l’atto di creazione – si chiede Deleuze alla fine degli anni Ottanta – se non un atto di resistenza? Resistenza all’ordine sistematico delle cose, resistenza ai confini netti fra ciò che si può e non si può fare, fra ciò che arte, ciò che non lo è e ciò che – nel momento in cui si sposta, viaggia e rimbalza da un mittente all’altro – lo diventa.
Anna Banana, Banana Rag, 1981.
Kunstverein (Milano) è una piattaforma sperimentale nata nel 2010 come progetto di ricerca e produzione d’arte contemporanea. Parte di una rete internazionale di “Kunstvereins in franchise” con sede ad Amsterdam, New York e Toronto è diretto da Katia Anguelova, Alessandra Poggianti e Andrea Wiarda.
Kunstverein (Milano) funziona come uno spazio aperto, di dialogo e scambio, come meeting-point, screening-room e spazio espositivo itinerante nel quale si articola una ricerca material-semiotica a partire dalle pratiche artistiche.
Kunstverein (Milano) si avvale di metodi non convenzionali per la presentazione dei linguaggi delle arti visive, nella ospitalità, nella produzione di mostre e nel modo di fare ricerca, collaborando con artisti, curatori e professionisti dell’ambito culturale, dando così il proprio contributo alla scena artistica italiana e internazionale.
di Valentina Avanzini.
Il regalo di Anna Banana è una domanda che resta. Ci chiede di portare a casa quel dono pieno di domande, di giocarci e poi, strategicamente, di regalarlo di nuovo [Helen Marzlof]
Mi concentro non sul fare cose, ma sul far accadere le cose, concettualizzare e produrre eventi interattivi; con il coinvolgimento attivo e la partecipazione pubblica, mettendo in discussione le ipotesi sull’arte [Anna Banana]
Derrida parla di filosofia come di una cartolina. Scritta, compilata, inviata, una volta ricevuta letta in fretta e poi dimenticata in un cassetto. Ma la sua funziona risiede davvero nell’arrivare al mittente? La cartolina, come la filosofia, vive dello spostarsi, del viaggiare, del rimbalzare da un paese all’altro, del perdersi e arrivare a toccare mete insperate. La filosofia, la cartolina vivono nella circolazione o non vivono affatto.
E l’arte? Può essere come una cartolina?
cover di Fe Mail Art, issue n.6, Vile magazine, 1978.
Anna Banana fonda quasi cinquant’anni di ininterrotta attività artistica sulla creazione di piattaforme di scambio, di condivisione, di ricerca comune. Anna Banana è una delle regine della mail art, la sua produzione si stratifica in cartoline, francobolli, fanzine. Non si chiama nemmeno Anna Banana, ma Anna Lee Lang. Nasce in Canada, negli anni Settanta si autoproclama “Fool of the Town”, cambia il suo nome all’anagrafe e comincia a inserirsi, tra le poche donne, nel movimento silenzioso della mail art, all’interno della rete internazionale IMAN (International Mail Art Network), che come un fiume carsico attraversa gli anni Cinquanta e Sessanta a cavallo dell’onda Fluxus e si fa portavoce di un’arte egualitaria, in cui i confini fra autore e pubblico si fanno labili in favore della circolazione ininterrotta di idee, oggetti e immagini.
Anna Banana, Columbus Day Parade, 1976 San Francisco/Tarzana Banana, California, photo Charles Chickadel
Se fu Ray Johnson a fondare il primo network di artisti che producevano e scambiavano cartoline e francobolli (autenticandoli come arte solo con l’atto della spedizione), Anna Banana fa proprie le istanze democratiche, di creazione/produzione e circolazione/divulgazione del movimento; non si limita a stampare e scambiare francobolli e cartoline con altri artisti, ma comincia a raccogliere da un pubblico molto più ampio oggetti, storie e aneddoti sulle banane che poi raccoglie fedelmente su un bollettino autoprodotto, il Banana Rag. A questa attività archivistica, che assume tutt’altro significato quando tutti gli oggetti inviati dalle persone vengono regalati e rimessi in circolazione, si unisce l’organizzazione di eventi e spettacoli itineranti, dal Going Bananas Fashion Contest, alle Banana Olympics, in cui tutti gli strampalati manifestanti sono tenuti a presentarsi con un balzano costume homemade, o l’esuberante scrittura collettiva di un’Enciclopedia Bananica, i cui partecipanti vengono retribuiti con un attestato in Bananologia inviato dall’artista, ovviamente, per posta.
Anna Banana, Banana Olympics, program of events, documentation.
First Columbus Day Parade, San Francisco, 1975, Anna Banana indossa il costume da banana delle Banana Olympics del 1975.
Gli artistamps, le riviste autoprodotte come Banana Rag (1971- 2016) o VILE Magazine (1974 – 1982), gli attestati e le parate hanno avuto negli anni, oltre a una vastissima partecipazione, numerose critiche e altrettanti detrattori: si tratta davvero di arte? Da dove trae il suo principio di necessità? Risponde Anna Banana, commentando la prima volta che scese in piazza con un vestito arcobaleno e, dichiarandosi “la pazza del villaggio”, cercò di invertire il segno del proprio rapportarsi con le persone:
“la prima volta che feci il Fool of the Town, fu perché mi sentivo isolata, stavo cercando di trovare un modo per creare un contatto con le altre persone… alla fine tutti possono relazionarsi con una banana”
E ancora:
“di solito non ci relazioniamo con gli altri pubblicamente, apertamente… ho sempre voluto ricordare alle persone di essere qui e ora”
Anna Banana, A collection’s Banana, alcuni tra i 1000 oggetti regalati durante l’esposizione “45 years of fooling around with Anna Banana”, Open Space, Victoria, 2015.
Liberata negli anni del Boom economico e della crescita incontrollata (e squilibrata) dell’agenda neo-liberale, insieme alla logica dell’accumulo e del consumo ossessivo, l’opera immensa di Anna Banana è, in tutte le declinazioni, un vero e proprio credo, una dichiarazione di intenti: dichiarazione di non potersi più prendere sul serio, dichiarazione di non conoscere creazione senza condivisione, senza confronto, senza partecipazione. Una pratica creativa, o una gift economy, che trova senso nelle connessioni che crea, nella sua capacità di abbattere le gerarchie e di costringere a mettersi in gioco, a metterci la faccia. Ma è anche una critica sociale e politica, chissà quanto involontaria, a quella “aesthetic of administration” (Buchloh) e al suo essere, ben presto, divenuta uno strumento di potere – o forse al suo superamento rispetto a un momento chiave nella storia dell’arte concettuale che avrebbe reso visibili i rapporti capitalistici che stanno alla base della produzione e della distribuzione nella sfera dell’arte – oltre che generato una forte tensione contro il sistema commerciale nei circuiti dell’auto-organizzazione.
“falso collage” di Bill Gaglione, accreditato alla Galleria Schwartz.
Ma se da una parte la partecipazione del pubblico è ciò che dà senso e vita all’opera di Anna Banana, dall’altra rimane come presenza fortissima e cifra inconfondibile, la sua firma, quella banana che con coerenza quasi maniacale compare in ogni fanzine, in ogni cartolina, in ogni performance. Banana che porta con sé una genealogia inscindibile di significati e allo stesso tempo è la garanzia di un pensiero netto e determinato. Un pensiero che non si ferma, che continua a produrre, che continua a coinvolgere. Anche quando la raccolta delle sue opere viene intercettata dalla piattaforma artistica itinerante Kunstverein e insieme ad essa viaggia da Toronto ad Amsterdam fino a Milano – ora negli spazi del The Art Book Shop Project, con le sue ‘artistamps’, ‘Banana rags’ (piccole pubblicazioni in formato giornale), le cartoline postali, le ‘mailers’, i manifesti e gli strampalati costumi – durante l’esposizione, vengono organizzati sondaggi e raccolte di materiale, il pubblico è invitato a partecipare, a scrivere, a sentirsi parte di un progetto più grande che ha la forma e l’irriverenza di una buccia di banana.
“Vile magazine”, No. 2/3, Summer 1976, with cover photo of Gaglione’s chest, with DADA shave, and 1/2 of Anna Banana’s face.
Così, se la pratica artistica di Anna Banana non può non affondare le sue radici in movimenti come Fluxus o il Neo-dadaismo, è proprio da questo non aver mai finito di dire, che trae la sua forza. Anna Banana non è artista del suo tempo, è artista di tutti i tempi possibili, di tutti i luoghi in cui le sue cartoline sono passate, forzando con la loro ironia le maglie strette di un sistema conformista e preordinato.
Le sue opere sono scanzonate, ironiche, non comunicano nulla se non loro stesse. Ogni azione, ogni creazione trova il proprio senso in chi vi ha preso parte, in chi ha deciso di uscire da un discorso solipsistico per creare un contatto, un confronto. E cos’è l’atto di creazione – si chiede Deleuze alla fine degli anni Ottanta – se non un atto di resistenza? Resistenza all’ordine sistematico delle cose, resistenza ai confini netti fra ciò che si può e non si può fare, fra ciò che arte, ciò che non lo è e ciò che – nel momento in cui si sposta, viaggia e rimbalza da un mittente all’altro – lo diventa.
Anna Banana, Banana Rag, 1981.
Kunstverein (Milano) è una piattaforma sperimentale nata nel 2010 come progetto di ricerca e produzione d’arte contemporanea. Parte di una rete internazionale di “Kunstvereins in franchise” con sede ad Amsterdam, New York e Toronto è diretto da Katia Anguelova, Alessandra Poggianti e Andrea Wiarda.
Kunstverein (Milano) funziona come uno spazio aperto, di dialogo e scambio, come meeting-point, screening-room e spazio espositivo itinerante nel quale si articola una ricerca material-semiotica a partire dalle pratiche artistiche.
Kunstverein (Milano) si avvale di metodi non convenzionali per la presentazione dei linguaggi delle arti visive, nella ospitalità, nella produzione di mostre e nel modo di fare ricerca, collaborando con artisti, curatori e professionisti dell’ambito culturale, dando così il proprio contributo alla scena artistica italiana e internazionale.
http://www.kunstverein.it/
Anna Banana, BananaPost 89, artistamps, 1989.
Anna Banana, Heebe Post #664, Robert’s Creek, British Columbia, Canada.
Victoria Day Parade, 1974, la prima parata di Anna Banana.