“Ciascuno dei nostri percorsi ha coinciso con il suo. Frida Kahlo è stata radicalizzata da un attivismo che riguardava la decolonizzazione, il suo interrogarsi sull’imperialismo e il suo impegno in vari movimenti politici per la giustizia sociale. E la sua politicizzazione inizia intorno alla questione di classe, non intorno alla questione di genere. Così penso sia ironico che sia stata “scelta” dalle femministe bianche per occupare un rispettabile posto nel loro pantheon femminista […] Voglio dire, prendono una donna artista di colore il cui essere politico è fondato sul pensiero marxista e socialista, che è in corrispondenza con Emma Goldman e altri radicali per tutta la sua vita, e poi la trasformano in una persona che ha a che fare con la ribellione stilistica!” [bell hooks]
bell hooks: Le icone (o immagini visuali) mainstream non sono certamente radicali o visionarie. Nel mondo delle lettere e della scrittura c’è stata un’espansione delle cosiddette “black female icone” da cui attingere. Molte di queste immagini però si dichiarano fuori dal mondo dell’arte – incluse quelle prodotte dai black artists – continuando a colonizzare il discorso (già colonizzato) del desiderio, che è molto differente dal discorso della libertà. Negli ultimi vent’anni un ampissimo spazio è stato dedicato ad analizzare e interrogare la rappresentazione, e sento con forza che oggi abbiamo bisogno di produrre rapidamente un nuovo campo visuale di rappresentazioni decolonizzate. Ora sto cercando di creare libri fotografici per bambini, questo mi consente di collaborare con illustratori che producono nuovi e differenti scenari. Scrivendo Happy to be Nappy e affermando “i nostri capelli sono come petali di fiori” abbiamo trovato un nuovo modo di parlare del corpo delle donne di colore. In contrasto con il libro Nappy Hair che invece diceva: “I tuoi capelli sono brutti ma tu puoi arrivare ad amarli”. Bene, questo è un vecchio messaggio superato, colonizzato, razzista e sessista. Volevo creare un senso gioioso e totalmente differente dell’adolescenza femminile delle ragazze di colore.
Quando parliamo di immaginari, rappresentazioni, la mia guida (o mentore) è un artista come Frida Kahlo, che mi ha ispirata dal momento in cui ho scoperto il suo lavoro. Ho ammirato le immagini e le icone che ha prodotto ma ho anche apprezzato la sua auto-invenzione (e auto-rappresentazione). Fino a quel momento, solo artisti maschi e bianchi, riconosciuti e di successo, avevano osato progettare i loro ritratti come degni di uno sguardo globale. Quello che Frida ha fatto, come donna di colore, è stata un’operazione radicale. Guardiamo alle forme e alle strategie che ha deciso di usare per creare la sua icona: Rembrandt dipingeva infiniti autoritratti, ma dentro il canone di una pittura dichiaratamente europea nelle sue fonti; Frida Kahlo usava strategie associate ad artisti popolari – dipingeva su stagno, creava di fianco e prendeva in prestito da immaginari folkloristici – così fondamentalmente ha sfidato il binarismo tra le Belle Arti e la cultura popolare.
Amalia Mesa-Bains: Veniva da una discendenza ebrea-ungherese da parte paterna, che ha represso col passare degli anni, ma se le sue attitudini attiviste vengono invece proprio dal padre, che aveva assunto una posizione particolarmente forte durante la seconda guerra mondiale nelle vicende totalitarie tedesche del regime nazista. Frida aveva già una relazione aperta precedentemente con il comunismo, quando molti intellettuali messicani si avvicinarono in quel periodo, e aveva anche tentato con forza di abbracciare le origini indigene materne. C’è stato un momento in cui la scelta di sopprimere la derivazione europea e affermare la sua “mexicanidad” ha creato dei problemi nel suo rapporto con Diego Rivera. Frida è stata una persona complicata e non facilmente compresa; una persona che ha vissuto molte contraddizioni, dalle quali trascendeva per le sue energie spirituali e intellettuali. E poi è stata inseguita dalle femministe bianche negli Stati Uniti che l’hanno sradicata e depoliticizzata. Hanno creato un’icona femminista senza comprenderne il ruolo nazionalista che ha giocato in Messico dentro il movimento rivoluzionario.
Diego Rivera e Frida Kahlo, New Workers School, NYC, 1933.
bell: Ciascuno dei nostri percorsi ha coinciso con il suo. É stata radicalizzata da un attivismo che riguardava la decolonizzazione, il suo interrogarsi sull’imperialismo e il suo impegno in vari movimenti politici per la giustizia sociale. E la sua politicizzazione inizia intorno alla questione di classe, non intorno alla questione di genere; era molto preoccupata per chi doveva imparare e chi no, per chi mangiava e chi no. Così penso sia ironico che sia stata “scelta” dalle femministe bianche per occupare un rispettabile posto nel loro pantheon femminista, perché le stesse femministe bianche non hanno generalmente a che fare con le questioni di classe. Voglio dire, prendono una donna artista di colore il cui essere politico è fondato sul pensiero marxista e socialista, che è in corrispondenza con Emma Goldman e altri radicali per tutta la sua vita, e poi la trasformano in una persona che ha a che fare con la ribellione stilistica! Hanno appiattito le sue curiosità e il suo intelletto in uno scandalo sessuale, sul fatto che sia stata o meno lesbica, o sul quando e sul perché si sia trovata in contrasto con il suo compagno.
L’ultima foto di Frida la mostra nella sua sedia a rotelle, protestando durante la manifestazione contro l’intervento militare degli Stati Uniti in Guatemala nel 1954. Aveva una gamba amputata, era in una sedia a rotelle, pallida e tesa, e questa è stata l’ultima cosa che è stata capace di fare. Così c’è sempre stata in lei una lotta tra i desideri di amore, continuità, casa e il suo immenso bisogno di dipingere quella realtà che qualcuno ha chiamato magica. Ricordo una citazione di Breton o un altro dei surrealisti che descriveva le sue pitture come “bombe avvolte in tessuto e legate con un nastro di seta”. Raccontarono che il suo lavoro era surrealista e magico. E lei avrebbe risposto: “No, era la realtà del Messico”. Se in vita, Frida Kahlo è stata coinvolta con i tentativi di svincolarsi dalle definizioni imposte, questo continua anche dopo la sua morte.
Gli incontri culturali che hanno formato le sue percezioni e la sua arte erano incontri con persone indigene – contadini, braccianti agricoli – ma la sua sensibilità veniva dai modi dell’alta società. Kahlo rigetta e rifiuta le fissazioni sulle maniere e i comportamenti da signora – solo la forte identificazione con i lavoratori nutriva la sua ribellione e resistenza – ma è stata immersa in questa sensibilità in quanto giovane donna.
Quando ha incontrato Diego Rivera riaffiorava, ancora una volta, questo scontro culturale. Avevano differenze politiche, non semplicemente romantiche. Le loro tensioni e i conflitti erano alimentati dalle questioni intorno a cui si erano entrambi posizionati politicamente; con chi stare; e, come tutti noi, dagli errori che avevano compiuto. Ma soprattutto, hanno tentato di correggere questi errori restavano legati come partner e come artisti.
Diego Rivera e Frida Kahlo sui ponteggi a Detroit nel 1933.
Amalia: E ricorda, lui era significativamente più vecchio di lei. Questo era il suo terzo matrimonio, aveva viaggiato molto, così voleva cose differenti da questa relazione rispetto a Frida. Per me, Frida ha anche incarnato un ponte tra il movimento chicano, cui ho partecipato durante gli anni ‘60 e ‘70 e il movimento della mexicanidad degli anni ‘30. Entrambi emersi da un grande conflitto civile, erano anche movimenti di trasformazione politica e culturale. Durante il patriottismo della rinascita messicana (mexicanidad), venuta dopo la rivoluzione, persone come Josè Vasconcellos, Ministro della Cultura, e altri, avevano concettualizzato la raza còsmica, negli anni Trenta. Erano impegnati in una vera, ampia e filosofica, nozione di identità, in quanto artisti sia come nazione che come individui. Così in alcune modalità fondamentali c’erano dei parallelismi tra i due movimenti.
Frida Kahlo, New Workers School, 1933.
bell: Bene, cominciamo dall’inizio. Cosa sappiamo di Frida Kahlo? Dove partiamo per te? Quanti anni avevi?
Amalia: Era il 1975, dovevo avere 32 anni circa. In quel momento, Rupert Garcia e Renee Xanez stavano lavorando con le sue immagini. Ero a Città del Messico dove erano organizzate alcune esposizioni in onore dell’International Year of the Women. Per la prima volta una mostra di donne artiste messicane, dove c’era il lavoro di Remedios Barros, Maria Izquierda – tutte donne di cui non conoscevo l’esistenza – e c’era anche Frida. Poi sono stata alla casa blu a Coyoacàn e ricordo di aver lasciato la casa andando dentro al giardino perché ero sopraffatta e non volevo che nessuno mi vedesse piangere. Ogni volta che volevamo entrare in un’altra stanza, dovevo uscire e sedermi nel piccolo patio dove Rivera aveva costruito un mini tempio atzeco. Mi accomodai ed ebbi l’enorme consapevolezza che lei, Frida, aveva vissuto la sua vita con quest’uomo e che la casa conservava ancora tutti i suoi artefatti. Per esempio, c’erano i diari manoscritti. C’erano tutti i gioielli, il suo letto, i busti e le ingessature. E c’era qualcosa di così rivoluzionario nell’essere alla presenza di questa donna straordinaria che aveva dominato e superato ostacoli legati alla deformità fisica, la sofferenza e la disabilità, che era sopravvissuta alle crisi sessuali di un amore non corrisposto. Ogni volta, lei si sollevava sopra tutto questo.
Questo è stato l’inizio della mia connessione con Frida. Ho creato un piccolo altare in suo onore e per il suo compleanno nel 1975, in una vetrina della Galerìa de la Raza in San Francisco. Nel 1976, quando ho realizzato il primo grande altare, lei era una delle figure. Nel 1977 ho creato un altare per lei e Diego alla Fifth Sun Exhibit presso University Museum a Berkley, California. Nel 1978, abbiamo lavorato collettivamente con Frida Kahlo attraverso la galleria. Insieme a Carmen Lomas Garza e Maria Pinedo abbiamo intervistato numerose donne sulla loro relazione con Frida e abbiamo iniziato a collaborare a un libro, che non siamo state mai in grado di terminare. Questo aveva aperto un’altra porta – decidemmo infatti che bisognava educare le giovani generazioni a partire dalla sua eredità. Abbiamo cominciato in posti tipo Stanford, San Jose State, UC Berkley. Andavamo quando ci invitavano e per condividere quello che conoscevamo su di lei. Questo progetto è confluito nell’esposizione Day of the Dead dedicata a Frida Kahlo. E questo è stato il primo momento, nel 1978, che il gruppo di artiste chicane ha creato opere d’arte su Frida e la sua vita. E la sera dell’opening venne Hayden Herrera. Conosceva il lavoro che stavamo facendo, o ne aveva sentito parlare. Ironicamente Hayden Herrera, che non è latina visitò questa esposizione. Suo marito gestiva un’importante rivista newyorkese all’epoca, e avevano un enorme accessibilità in Messico. Nella sua biografia su Frida, che era diventata la base del film con Salma Hayek, Herrera ha fatto molto affidamento al lavoro di Raquel Tibol. Ma Tibol intervistò Frida negli ultimi due anni della sua vita, quando era completamente sedata e lacerata da enormi dolori; alcuni hanno testimoniato che era delirante. Così ho sempre creduto che molte storie che circolavano su Frida erano fantasie di altre persone, variazioni di una esotica narrativa selvaggia. Questa non era la sua immagine autentica e reale.
Amalia Mesa-Bains, Day of the Death, 1978.
bell: In realtà sono venuta a conoscenza del lavoro di Frida Kahlo attraverso la mia fascinazione per l’arte di Diego Rivera. Dalla mia infanzia, volevo imparare sempre di più delle vite dei lavoratori agricoli e dei coltivatori, per la storia e l’esperienza del mio nonno paterno come mezzadro. Così, quando ho incontrato l’arte di Diego Rivera, nella mia tarda adolescenza, ne sono stata toccata, commossa. Qui c’era qualcuno che sentiva che i braccianti, i lavoratori e le altre persone invisibili erano degne di essere rappresentate; per me, le loro raffigurazioni sembravano divinizzare e portare alla luce la sacralità del loro umile lavoro. In questo modo Rivera mi ricordava di Sam Doyle, un artista della tradizione folk del Georgia Sea Islands, che dipingeva ritratti delle persone comuni. Ha creato una galleria pubblica nel suo cortile, e il suo lavoro è sulla trasfigurazione, per l’idea che dipingendo qualcuno si illuminano le sue qualità divine. Piuttosto che mostrare la ritrattistica come rappresentazione, il ritratto era percepito come la raffigurazione del divino stesso.
Ho imparato molto sulla vita di Diego Rivera, poi ho imparato su Frida Kahlo. Per lei il ritratto costituisce un viaggio profondo dentro sé stessa, dentro il concetto junghiano di inconscio collettivo che richiede il riconoscimento dell’ombra. Terapisti come James Hillman descrivono questo, lo spirito oscuro che risiede dentro tutti noi. E Frida Kahlo era impegnata in un tipo di archeologia dello spirito; questo è quello che emerge quando osserviamo i suoi autoritratti. Siamo capaci di mettere tutto il suo lavoro in uno spazio e attraversarlo, afferrare l’anima della sua opera prendere forma, nell’auto-riflessione e auto-invenzione della sua splendida icona.
Amalia: Si perché guardando i suoi dipinti e organizzandoli cronologicamente si ha una parallela successione degli eventi della sua vita. Ci sono momenti in cui si affida alla pittura per andare oltre ai limiti delle proprie esperienze, e sono delle trasfigurazioni. E ci sono fasi della sua vita in cui ci mostra i segni delle sue sofferenze; i suoi capelli sono avvolti intorno al collo e il fiocco è stretto. Poi ci sono altri momenti dove si circonda di figure familiari, di amore, casa e intimità – il suo cane di taglia piccola, la scimmia. Questi sono dipinti in cui lei è situata, ha con sé tutte le cose che le appartengono, ed è a casa.
bell: Ci sono critici che hanno tentato di posizionare Kahlo solamente dentro il dominio del realismo magico. Questa è un’ingiustizia alla profonda dimensione psicoanalitica del lavoro di Kahlo ed un tentativo di reinventarla – attraverso un tipo di imperialismo culturale occidentale – di situarla in un’altra costruzione del “primitivo”, piuttosto che onorare l’incredibile consapevolezza intellettuale e politicizzata che è stata messa in gioco nel suo lavoro, così come nella sua psiche.
Frida Kahlo, Moisés o Núcleo solar, 1945.
Amalia: Come il dipinto basato sul libro di Sigmund Freud, Moses and Monotheism, chiamato Birth of Moses. Ma è un minuscolo, dipinto piccolissimo che ha strutturato spazialmente in modo da ricordare delle ovaie, le tube di Falloppio, e l’utero; tutta l’iconografia è realmente una sorta di figura mitica e storica stratificata. Se non conosci Moses and Monotheism, non riesci a cogliere quello che Frida ha perseguito. E penso che questo sia più che una preoccupazione intellettuale. Frida è stata una delle prime e più potenti artiste a interrogare il corpo come luogo di turbolenze, disordini e trasformazioni; ha costantemente questionato lo spazio tra la vita e la morte. Ci sono elementi nelle sue pitture che letteralmente nessun’altro ha mai catturato. Lei rappresenta la sua nascita, e persino l’iconografia di epoca pre-colombiana, come stratificata da uno sguardo biologico, quasi come fosse stata osservata con gli occhi di un dottore, o esaminata attraverso un microscopio. Credo che questo le venga dal lavoro con il padre, che è stato fotografo, per molti anni.
bell: È un’artista a cui non è stata data la giusta importanza. È stata ridotta a una superficie, all’apparenza di un’icona, di un’immagine, che uno può guardare e dire “Oh, il realismo magico” oppure “”Oh, il primitivismo messicano”. Veramente poche persone l’hanno compresa come una donna che ha ricevuto un’educazione e una consapevolezza critica che non era solo allineate alle traiettorie delle più sofisticate teorie politiche correnti, ma che aveva familiarità con la teoria psicoanalitica. Lei era completamente in anticipo sui tempi! Molte donne di colore che sono artiste, scrittrici o altre lavoratrici culturali solo ora stanno scoprendo quanto siano preziosi gli strumenti psicoanalitici, perché quegli strumenti sono stati rifiutati e contrassegnati fuori limite. Così è importante parlare delle rimozioni e delle cancellazioni che accadono proprio in base a come sono inquadrate e viste nella cultura dominante. Torniamo alla questione della rappresentazione perché l’immagine di Frida Kahlo è stata “domesticata” attraverso parametri di classe, razza e preferenze sessuali. Le persone comprano le cartoline di Frida Kahlo, le spillette di Frida Kahlo…
Amalia: Orecchini, T-shirts, qualsiasi cosa.
bell: Da un lato, è probabilmente la donna di colore più ampiamente riconosciuta negli Stati Uniti, ma il modo in cui è rappresentata indebolisce gli obbiettivi artistici del suo lavoro.
Frida Khalo con un venditore di tessuti, Coyoacán, Città del Messico, 1946.
Amalia: Possiamo tornare alle estrazioni culturali. Le sue immagini sono state mercificate, commercializzate ed espropriate. Ma l’ironia di tutte le ironie è che alcuni intellettuali messicani ce l’hanno fatta pagare – a noi chicane, e chicane artiste – con la banalizzazione di Frida e ci hanno definite opportuniste per averla usata nei nostri lavori. Noi siamo insorte e abbiamo detto “Credete davvero, in questi Stati Uniti d’America, che un gruppetto di chicane possa commercializzare un’icona in questo modo? Abbiamo pubblicato i libri? Abbiamo stampato i poster? Stiamo vendendo set di cartoline e gadget al Museum of Modern Art di New York?” No. Questo è stato fatto dai ricchi e associato a donne bianche e a uomini che hanno usato la sua immagine per trarne profitto.
Raquel Tibol, che ha scritto uno dei libri più significativi su Frida, in realtà ha sfidato le chicane in un contesto pubblico approfittando di Frida. Questo mi ha mostrato quanto è grande il divario tra le intellettuali messicane e alcune chicane. E molte di queste donne hanno origini europee, anche se sono messicane per nazionalità. Penso che sia sembrato facile sfidarci e non mettere mai in discussione le femministe bianche sulla loro relazione con Frida.
Questo sembra connesso con le tue osservazioni su come Angela Davis sia stata marginalizzata e Winnie Mandela trasformata in un’assassina. Deve essere stato relativamente semplice per le persone sovraesporre Frida in modo così onnipresente da renderla quasi invisibile. Quello che è accaduto alla sua immagine ci dimostra come bisogna essere vigili circa la propria auto-rappresentazione perché lei è stata espropriata, derubata della sua complessità.
Il marxista Leon Trotsky con la sua seconda moglie Natalia Sedova, accolti da Frida Kahlo e dall’attivista Max Shachtman al loro arrivo a Tampico, in Messico, nel 1937.
bell: Cosa facciamo, però, con questa banalizzazione? Come possiamo distruggerla? Per esempio, Malcom X è una comparabile icona. Ad un certo punto è diventato il leader che tutti identificavano con la cultura popolare – the cool leader, the hip leader. Ma solo pochissime persone sembrano sapere qualcosa di Frida Kahlo come artista, poche persone capiscono quello che Malcom X stava facendo politicamente, specialmente alla fine della sua vita. Proprio come Frida Kahlo è stata congelata nel momento della sua relazione con Diego Rivera, Malcom X all’interno della nozione di Islam, e ciò che non si vede è la sua coscienza globale – la sua radicale coscienza politica di sinistra – che si sviluppa e fiorisce in profondità e pienamente. Non sò tu cosa abbia provato ma io inizialmente non ero entusiasta che tutti seguissero la moda di Frida Kahlo. Sentivo che la mia figura di mentore e guida privata, che mi aveva straordinariamente ispirata, adesso era “aperta al pubblico”. Io mi ero guadagnata la mia relazione con Frida Kahlo; avevo studiato la sua vita e la sua opera. Ho incontrato molte giovani, ingenue e naif, femministe bianche che la adoravano ma non avevano nessun interesse per quello che era il suo lavoro; non erano interessate a celebrarla, perché non ne capivano il valore e la complessità.
Per esempio, ricordo la mia prima women’s studies class a Stanford, quando si è creato un conflitto tra le studentesse mentre una delle donne bianche stava raccontando della sua cameriera nera, e di quanto l’amasse. Così ho sollevato la questione “ma lei ti ama? Cosa sai realmente di lei e cosa ti dice quando è in casa? Cosa hai fatto per guadagnarti il diritto di parlare di lei?” Certo, ho ricordato che quando mia madre rientrava a casa, la critica che ha faceva verso la gente bianca per cui aveva lavorato era feroce. E loro non lo avrebbero mai immaginato. Sarebbe tornata a casa e avrebbe fatto una critica di genere o avrebbe criticato l’idea della libertà femminile, del modello femminile di classe ricreativa, in un modo in cui i bianchi per i quali lavorava nemmeno vedevano, per il loro razzismo e classismo. Nell’imperialismo culturale, i bianchi ignari imparavano che non dovevano studiare Frida Kahlo per “rivendicarla”. Attraverso il tropo dell’imperialismo culturale, loro potevano imporne la prossimità, la vicinanza. Ma è una familiarità con l’oppressore, una familiarità con il colonizzatore, dove tu ti spingi vicino attraverso la violazione, con possesso, o invidia, radicati.
Amalia: Ho abbracciato Frida nel momento in cui stavo cercando di sostenere la mia individualità con il mio partner, sposato, che era un’altra persona creativa che aveva bisogno del suo spazio e della sua individualità. Ho anche attraversato la totale consapevolezza che non sarei mai stata capace di avere dei figli. E ricordo il senso di questa vicinanza con Frida, perché avevo intervistato molte delle persone che la conoscevano e mi avrebbero voluto vocalizzare le canzoni che lei aveva cantato. Loro erano ormai vecchie e la conoscevano come amica, così le storie che mi hanno raccontato non avevano niente a che fare con le storie contenute nei libri di Hayden Herrera e Raquel Tibol. Loro erano con lei nella sua casa, quando sistemava i fiori, quando cucinava per gli amici, conoscevano il suo scurrile senso dell’umorismo e le canzoni volgari che amava cantare per loro. Questa è la Frida che mi sono portata con me.
Proprio nel periodo in cui ho avuto la mia isterectomia, ho visitato il San Francisco Art Institute, perché Rivera aveva dipinto lì e lei era stata con lui mentre stava dipingendo. Lei stava rompendo con lui allora, e aveva avuto una mostra alla Julian Levy Gallery di New York. Ho trovato una vecchia copia del New Yorker con una sua immagine che aveva dipinto. Non riuscivo a controllarmi, ho portato la foto a casa e l’ho incorniciata. La notte l’ho posizionata vicino a me in ospedale. Quando mi sono svegliata dall’anestesia è stato così sconfortante. Ricordo che una delle infermiere filippine entrò in stanza e mi chiese di che Santa messicana si trattasse e io le risposi “Oh, questa è Santa Frida”. Lei rimase molto impressionata e mi disse che pensava fosse bellissima. Così da allora questa “deificazione” divenne per me un segreto e un punto di ironia.
Frida Kahlo e Chavela Vargas, Foto di Tina Modotti, 1950.
Una delle cose che ho imparato in tutti quegli anni di lavoro su Frida è che lei aveva tanti strati di storia con le persone. Questa comunità di donne – Marìa Felìx, Dolores del Rìo, Josephine Baker, Rosa Covarrubias – la conosceva e si prendeva cura di lei. Non credo che tutte loro avessero avuto una relazione, ma ognuna la amava in una forma o nell’altra. Frida era una donna con cui tutti vorrebbero stare perché si prendeva cura delle cose. C’era una famosa storia su di lei. Era a New York e Noguchi aveva un appartamento a Brooklyn, erano tutte lì una notte, l’intero gruppo, e stavano facendo un film amatoriale, girato in casa. E c’era una rosa – una rosa sul tavolo con cui giocare. Ognuno doveva fare qualcosa con la rosa, così ognuna aveva inventato qualcosa, tipo annusare la rosa e così via. Ma Frida chiese un piccolo pezzo di carta e un nastro, poi con una penna scrisse “F.W”. Poi bucò la carta, legando il nastro intorno alle sue labbra in modo che “FW” fosse nella sua parte posteriore, e così ha danzato con il suo “culo” dimenandosi intorno alla rosa. Quando qualcuna le ha chiesto “Well, what does that means?”, lei le ha guardate e ha detto “I’m fucking wonder”. Lei era una persona creativa e stimolante, ma se all’improvviso ti sentivi male o qualcosa non andava, era la prima a correre o a prepararti la minestra. Così Frida aveva tutti questi elementi, che non credo siano mai stati raccontati nei film o nei libri.
bell: Nel mio libro sull’arte, Art on My Mind: Visual Politics, ho esaminato la necessità di resistere alle rappresentazioni. Un’altra figura letteraria il cui destino è simile a Frida Kahlo è Zora Neale Hurston. Molte persone rivendicano queste donne di colore, che occupano posizionalità molteplici, semplificandole. Le riscattano in un modo che nega la loro complessità. È l’esploratore bianco che va dai nativi per trovare il loro primitivismo nell’oscurità dell’altro – Gauguin andava dalle persone di colore per dipingere – ma poi ne minimizza la loro cultura, riducendola. Margaret Mead andava in altri paesi, rappresentava sé stessa come amica delle persone di colore. Eppure, le ha chiamate scimmie nel suo giornale. Anche se i bianchi cercano di appropriarsi, utilizzare e celebrare l’arte dell’altro oscuro, come soggetti, spesso mantengono la gerarchia dell’imperialista culturale bianco. Entrambe Hurston e Kahlo sono cadute in questo gap, quando la loro complessità si è smarita nella reificazione della loro immagine.
Amalia: Il mondo bianco si impegna in un abbraccio, ma è come un “abbraccio della morte”. Un amore per la morte della cosa che vogliono.
Diego Rivera e Frida Kahlo, 1930.
bell: Per me questa è una questione ricorrente. Come possiamo rifiutare questo abbraccio e riscoprire questo valore perduto? Come donna di colore, io necessitavo di scoprire la relazione tra Diego Rivera e Frida Kahlo, visto il suo potere dentro questo legame, osservare il modo con cui hanno costruito la casa, permettendo la loro autonomia e individualità. Come giovane donna scrittrice di libri femministi, queste artiste di colore sono delle icone molto potenti. Diego Rivera mi ha insegnato a guardare e incorporare la bellezza della cultura working-class. Frida Kahlo mi ha mostrato che una donna può essere appassionata e strutturata intorno al proprio lavoro.
Ed è stato così significativo e trascinante che lei ha trovato un modo per creare arte, anche in mezzo a grandi sofferenze fisiche. Noi stiamo ancora vivendo in una cultura dove le donne di colore, molto di più delle donne bianche, sopportano un enorme senso di colpa e di egoismo quando mettono il loro lavoro – o il lavoro individuale – prima di tutto. Questo è specialmente vero se si tratta di lavoro artistico o intellettuale. Se mettiamo al primo posto un lavoro che ci permette di guadagnare soldi, la gente potrebbe capirlo. Ma se stai mettendo qualcosa di intangibile per primo, è difficile che le persone possano capire.
Questo potrebbe avere qualcosa a che fare con il perché così poche persone di colore scrivono di arte. Per me, questo scritto ha generato la minima ricompensa, sia finanziariamente che criticamente. In passato, tu ed io abbiamo parlato di Lucy Lippard, il cui lavoro noi apprezziamo molto. Al tempo stesso, riconosciamo come lei sia automaticamente più visibile rispetto alle persone di colore che scrivono di arte.
Amalia: É come se quando scriviamo delle nostre esperienze, o l’una dell’altra, partecipassimo a qualcosa che è egoistico e provinciale. Ma quando una scrittrice bianca come Lucy Lippard fa questo, lei è applaudita per uscire fuori dalla propria esperienza. Se le singole persone di colore sono esperte nelle proprie storie ed esperienze, non significa niente. “Oh, certo, qual è il problema?” Questo è così, impari.
Frida Kahlo, Diego e io (Diego nella mia testa), 1949.
bell: Quando torniamo a Frida Kahlo, questo è ancora più vero. Se noi raccogliessimo tutti gli scritti critici e biografici su Frida Kahlo, molti di questi sono stati scritti da femministe riformiste bianche. Questa è una delle ragioni per cui è straordinario avere un dialogo su Frida Kahlo con te; un dialogo cross-cultural raramente accade. Nessun altro è interessato a sapere cosa rappresenta Frida Kahlo per le donne di colore, con chi parla a quell’intimo livello esperienziale – non come un simbolo.
Durante la mia infanzia ho sofferto molto con l’asma, poi ho affrontato altri problemi di salute. Così essendo in afflizione, sono entrata in risonanza con Frida Kahlo, e ho lavorato attraverso il dolore. Per esempio, il mio ciclo mestruale era terribilmente doloroso. Dai 12 anni ho avuto periodi paralizzanti; sono stata realmente condizionata da questo. Dai fondamentalismi della Cristianità ho anche ereditato il senso che il corpo femminile è contaminato, sporco e peccaminoso. Poi il mio corpo femminile soffriva. Sentivo che il mio corpo si stava lasciando andare. Nello straordinario film The Virgin Suicides diretto da Sofia Coppola, una delle tre sorelle tenta di uccidersi. Ha 13 anni, finisce in ospedale e il dottore le dice “Lo sai, sei troppo piena di vita per stare qui. Non dovresti essere qui”. E lei rispose “Tu non hai idea di quanto sia difficile essere una ragazza”. Molte donne hanno avuto esperienza che la transizione dall’adolescenza verso il primo ciclo mestruale è un passaggio così traumatico che non riusciamo nemmeno a definirlo. Per molte di noi, è stata una transizione dalla libertà dei nostri corpi verso la sensazione di essere asservite al corpo. In altri termini poi, il corpo diventa quella “cosa” preda di uomini adulti. Presto i corpi femminili sperimentano il dolore, questa è una questione difficile di cui parlare. Se noi guardiamo per esempio, al modo in cui le persone hanno scritto su Van Gogh e la sua capacità di continuare a lavorare nel mezzo di sofferenze psicologiche spesso aggravate dalle sofferenze fisiche attraverso l’automutilazione, possiamo leggere analisi sofisticate. Noi sappiamo che Van Gogh adesso verrebbe descritto come tagliatore, o auto-mutilatore. Noi comprendiamo la mutilazione adesso, ma difficilmente in relazione alla produzione della sua arte. Per lui, c’è stata una fusione di religione, colpa e purificazione in quest’atto.
Vediamo questa idealizzazione del dolore, della sofferenza e il suo occultamento o repressione anche in Frida Kahlo. Vediamo anche che le donne di colore soffrono di molte malattie – come lupus o varie forme di cancro – ma nessuno si dedica al nostro benessere fisico. E quando le donne di colore soffrono fisicamente, la maggior parte deve comunque andare a lavorare; stiamo parlando di contadine, operaie, domestiche, e donne occupate in altri servizi industriali.
Quando penso di essere in una sofferenza così forte, da voler solo morire, come era quella di Frida Kahlo, poi ritorno al potere della sua immaginazione e come le abbia permesso di andare avanti, e questo dovrebbe essere vero per molte donne. Lei era distesa nel suo letto, faceva sogni terrificanti – visioni che appaiono quando il tuo corpo sta cercando la sua liberazione fisica – e poi le utilizzava come risorsa per la sua arte; c’è una meravigliosa creatività in questo. Non c’è modo di comprendere questo attraverso una mente colonizzata, che non ci consente sottigliezze, contraddizioni e complessità.
Amalia: Sì, sì, sì, sì, hai ragione.
bell: E certo, fondamentalmente ciò di cui abbiamo bisogno è un’immaginazione de-colonizzata che non sia razzista, che non abbia una prospettiva femminista riformista, e noiosa. Abbiamo bisogno di cogliere la complessità di Frida Kahlo nel campo del desiderio, nell’universo della sua arte.
Diego osserva Frida mentre dipinge, Detroit, 1932.
Amalia: Ti sei indirizzata verso questo nella tua trilogia dell’amore, e penso che un altro modo per praticare questa scelta sia testimoniare l’unione di Frida e Diego, il fatto che si rispettassero a vicenda. Molte persone invece, parlano delle questioni di potere nella loro relazione.
bell: E questo è davvero molto triste, perché lottiamo sempre intorno al potere, anche quando siamo profondamente, appassionatamente, disperatamente innamorati. Ho scritto molto sulla violenza e l’antiviolenza, ma in passato sono stata anche infuriata con un amante e ho risposto violentemente. Qualcuno, osservando questo dall’esterno, potrebbe dire “Bene, bell hooks è un’ipocrita. Lei non vive l’autenticità delle sue parole”, invece di riconoscere che tutti nelle nostre vite siamo dentro queste contraddizioni. Io non sono sempre controllata; non sono sempre corretta; non sono sempre gentile; ma posso individuare e assumermi la responsabilità di queste violazioni. Posso cambiare, farmi perdonare o recuperare. Queste cose accadono in una relazione, e le persone che guardano dal di fuori non possono tracciare il corso della riparazione, della riconciliazione, perché usualmente non possiamo vedere queste cose.
Diego Rivera, Secretaria de Educacion Publica, murales con Frida Kahlo che distribuisce le armi ai rivoluzionari, Città del Messico, 1922.
Amalia: Sì, questo non è dato come dominio pubblico. Non sono mai stata sincera sulle ragioni private per cui sono stata attratta da Kahlo. In una fase della mia vita ero sposata e combattuta nella decisione se avere o meno dei bambini. Poi ho scoperto che non potevo. E ho trovato una forte risonanza nella relazione tra Frida e Diego, con la mia relazione con Richard. È stato rassicurante vedere come due forti personalità con temperamenti artistici che si amano profondamente, hanno anche ambizioni, propensioni e ambivalenze che inevitabilmente li porteranno a un conflitto.
Diego Rivera e Frida Kahlo con un Judas, 1929.
Mi piace la tua parola “riparazione” perché è spesso oscurata nella relazione tra Diego e Frida. Quello che so dalla mia vita con Richard è che le persone che si amano appassionatamente possono ferirsi a vicenda. Questo potrebbe essere risolto, credendo a qualcosa di più grande delle abitudini e delle emozioni della persona, che è spesso al lavoro in una relazione. Per noi, questo qualcosa è stato l’amore condiviso per la bellezza del produrre cultura; questo ci ha tenuto uniti nonostante talvolta abbiamo fallito l’un l’altro, personalmente e privatamente.
Quando Diego era con lei nel Mexicanidad Movement, aveva creato la sua collezione pre-colombiana al Museo de Anhuacelli, lei stava recuperando gli ex-voto e le pale d’altare (retablo) e insieme scoprivano e liberavano gli artisti che avevano scolpito le forme di Judas, le figure di cartapesta che la famiglia Linares aveva creato. Al tempo stesso, stavano combattendo brutalmente l’uno con l’altra e Diego la tradì con sua sorella, la denigrò nelle sue altre relazioni, ma al tempo stesso, stavano costruendo questo materiale intellettuale e culturale che trasformerà la società messicana.
C’era qualcos’altro che li porterà a superare le rispettive meschinità e permettergli di riparare e far risorgere il loro amore.
Nickolas Muray Frida Kahlo e Diego Rivera a Tizapán, 1937 courtesy Nickolas Muray Photo Archives
La conversazione è tratta dal testo Homegrown: Engaged Cultural Criticism, costituito interamente dai dialoghi tra bell hooks e Amalia Mesa-Bains, South End Press, Cambridge, MA, 2006.
[traduzione Elvira Vannini]
Immagine di copertina: fotografia di Frida Kahlo pubblicata su Vogue US, nell’ottobre del 1937.
“Ciascuno dei nostri percorsi ha coinciso con il suo. Frida Kahlo è stata radicalizzata da un attivismo che riguardava la decolonizzazione, il suo interrogarsi sull’imperialismo e il suo impegno in vari movimenti politici per la giustizia sociale. E la sua politicizzazione inizia intorno alla questione di classe, non intorno alla questione di genere. Così penso sia ironico che sia stata “scelta” dalle femministe bianche per occupare un rispettabile posto nel loro pantheon femminista […] Voglio dire, prendono una donna artista di colore il cui essere politico è fondato sul pensiero marxista e socialista, che è in corrispondenza con Emma Goldman e altri radicali per tutta la sua vita, e poi la trasformano in una persona che ha a che fare con la ribellione stilistica!” [bell hooks]
bell hooks: Le icone (o immagini visuali) mainstream non sono certamente radicali o visionarie. Nel mondo delle lettere e della scrittura c’è stata un’espansione delle cosiddette “black female icone” da cui attingere. Molte di queste immagini però si dichiarano fuori dal mondo dell’arte – incluse quelle prodotte dai black artists – continuando a colonizzare il discorso (già colonizzato) del desiderio, che è molto differente dal discorso della libertà. Negli ultimi vent’anni un ampissimo spazio è stato dedicato ad analizzare e interrogare la rappresentazione, e sento con forza che oggi abbiamo bisogno di produrre rapidamente un nuovo campo visuale di rappresentazioni decolonizzate. Ora sto cercando di creare libri fotografici per bambini, questo mi consente di collaborare con illustratori che producono nuovi e differenti scenari. Scrivendo Happy to be Nappy e affermando “i nostri capelli sono come petali di fiori” abbiamo trovato un nuovo modo di parlare del corpo delle donne di colore. In contrasto con il libro Nappy Hair che invece diceva: “I tuoi capelli sono brutti ma tu puoi arrivare ad amarli”. Bene, questo è un vecchio messaggio superato, colonizzato, razzista e sessista. Volevo creare un senso gioioso e totalmente differente dell’adolescenza femminile delle ragazze di colore.
Quando parliamo di immaginari, rappresentazioni, la mia guida (o mentore) è un artista come Frida Kahlo, che mi ha ispirata dal momento in cui ho scoperto il suo lavoro. Ho ammirato le immagini e le icone che ha prodotto ma ho anche apprezzato la sua auto-invenzione (e auto-rappresentazione). Fino a quel momento, solo artisti maschi e bianchi, riconosciuti e di successo, avevano osato progettare i loro ritratti come degni di uno sguardo globale. Quello che Frida ha fatto, come donna di colore, è stata un’operazione radicale. Guardiamo alle forme e alle strategie che ha deciso di usare per creare la sua icona: Rembrandt dipingeva infiniti autoritratti, ma dentro il canone di una pittura dichiaratamente europea nelle sue fonti; Frida Kahlo usava strategie associate ad artisti popolari – dipingeva su stagno, creava di fianco e prendeva in prestito da immaginari folkloristici – così fondamentalmente ha sfidato il binarismo tra le Belle Arti e la cultura popolare.
Amalia Mesa-Bains: Veniva da una discendenza ebrea-ungherese da parte paterna, che ha represso col passare degli anni, ma se le sue attitudini attiviste vengono invece proprio dal padre, che aveva assunto una posizione particolarmente forte durante la seconda guerra mondiale nelle vicende totalitarie tedesche del regime nazista. Frida aveva già una relazione aperta precedentemente con il comunismo, quando molti intellettuali messicani si avvicinarono in quel periodo, e aveva anche tentato con forza di abbracciare le origini indigene materne. C’è stato un momento in cui la scelta di sopprimere la derivazione europea e affermare la sua “mexicanidad” ha creato dei problemi nel suo rapporto con Diego Rivera. Frida è stata una persona complicata e non facilmente compresa; una persona che ha vissuto molte contraddizioni, dalle quali trascendeva per le sue energie spirituali e intellettuali. E poi è stata inseguita dalle femministe bianche negli Stati Uniti che l’hanno sradicata e depoliticizzata. Hanno creato un’icona femminista senza comprenderne il ruolo nazionalista che ha giocato in Messico dentro il movimento rivoluzionario.
Diego Rivera e Frida Kahlo, New Workers School, NYC, 1933.
bell: Ciascuno dei nostri percorsi ha coinciso con il suo. É stata radicalizzata da un attivismo che riguardava la decolonizzazione, il suo interrogarsi sull’imperialismo e il suo impegno in vari movimenti politici per la giustizia sociale. E la sua politicizzazione inizia intorno alla questione di classe, non intorno alla questione di genere; era molto preoccupata per chi doveva imparare e chi no, per chi mangiava e chi no. Così penso sia ironico che sia stata “scelta” dalle femministe bianche per occupare un rispettabile posto nel loro pantheon femminista, perché le stesse femministe bianche non hanno generalmente a che fare con le questioni di classe. Voglio dire, prendono una donna artista di colore il cui essere politico è fondato sul pensiero marxista e socialista, che è in corrispondenza con Emma Goldman e altri radicali per tutta la sua vita, e poi la trasformano in una persona che ha a che fare con la ribellione stilistica! Hanno appiattito le sue curiosità e il suo intelletto in uno scandalo sessuale, sul fatto che sia stata o meno lesbica, o sul quando e sul perché si sia trovata in contrasto con il suo compagno.
L’ultima foto di Frida la mostra nella sua sedia a rotelle, protestando durante la manifestazione contro l’intervento militare degli Stati Uniti in Guatemala nel 1954. Aveva una gamba amputata, era in una sedia a rotelle, pallida e tesa, e questa è stata l’ultima cosa che è stata capace di fare. Così c’è sempre stata in lei una lotta tra i desideri di amore, continuità, casa e il suo immenso bisogno di dipingere quella realtà che qualcuno ha chiamato magica. Ricordo una citazione di Breton o un altro dei surrealisti che descriveva le sue pitture come “bombe avvolte in tessuto e legate con un nastro di seta”. Raccontarono che il suo lavoro era surrealista e magico. E lei avrebbe risposto: “No, era la realtà del Messico”. Se in vita, Frida Kahlo è stata coinvolta con i tentativi di svincolarsi dalle definizioni imposte, questo continua anche dopo la sua morte.
Gli incontri culturali che hanno formato le sue percezioni e la sua arte erano incontri con persone indigene – contadini, braccianti agricoli – ma la sua sensibilità veniva dai modi dell’alta società. Kahlo rigetta e rifiuta le fissazioni sulle maniere e i comportamenti da signora – solo la forte identificazione con i lavoratori nutriva la sua ribellione e resistenza – ma è stata immersa in questa sensibilità in quanto giovane donna.
Quando ha incontrato Diego Rivera riaffiorava, ancora una volta, questo scontro culturale. Avevano differenze politiche, non semplicemente romantiche. Le loro tensioni e i conflitti erano alimentati dalle questioni intorno a cui si erano entrambi posizionati politicamente; con chi stare; e, come tutti noi, dagli errori che avevano compiuto. Ma soprattutto, hanno tentato di correggere questi errori restavano legati come partner e come artisti.
Diego Rivera e Frida Kahlo sui ponteggi a Detroit nel 1933.
Amalia: E ricorda, lui era significativamente più vecchio di lei. Questo era il suo terzo matrimonio, aveva viaggiato molto, così voleva cose differenti da questa relazione rispetto a Frida. Per me, Frida ha anche incarnato un ponte tra il movimento chicano, cui ho partecipato durante gli anni ‘60 e ‘70 e il movimento della mexicanidad degli anni ‘30. Entrambi emersi da un grande conflitto civile, erano anche movimenti di trasformazione politica e culturale. Durante il patriottismo della rinascita messicana (mexicanidad), venuta dopo la rivoluzione, persone come Josè Vasconcellos, Ministro della Cultura, e altri, avevano concettualizzato la raza còsmica, negli anni Trenta. Erano impegnati in una vera, ampia e filosofica, nozione di identità, in quanto artisti sia come nazione che come individui. Così in alcune modalità fondamentali c’erano dei parallelismi tra i due movimenti.
Frida Kahlo, New Workers School, 1933.
bell: Bene, cominciamo dall’inizio. Cosa sappiamo di Frida Kahlo? Dove partiamo per te? Quanti anni avevi?
Amalia: Era il 1975, dovevo avere 32 anni circa. In quel momento, Rupert Garcia e Renee Xanez stavano lavorando con le sue immagini. Ero a Città del Messico dove erano organizzate alcune esposizioni in onore dell’International Year of the Women. Per la prima volta una mostra di donne artiste messicane, dove c’era il lavoro di Remedios Barros, Maria Izquierda – tutte donne di cui non conoscevo l’esistenza – e c’era anche Frida. Poi sono stata alla casa blu a Coyoacàn e ricordo di aver lasciato la casa andando dentro al giardino perché ero sopraffatta e non volevo che nessuno mi vedesse piangere. Ogni volta che volevamo entrare in un’altra stanza, dovevo uscire e sedermi nel piccolo patio dove Rivera aveva costruito un mini tempio atzeco. Mi accomodai ed ebbi l’enorme consapevolezza che lei, Frida, aveva vissuto la sua vita con quest’uomo e che la casa conservava ancora tutti i suoi artefatti. Per esempio, c’erano i diari manoscritti. C’erano tutti i gioielli, il suo letto, i busti e le ingessature. E c’era qualcosa di così rivoluzionario nell’essere alla presenza di questa donna straordinaria che aveva dominato e superato ostacoli legati alla deformità fisica, la sofferenza e la disabilità, che era sopravvissuta alle crisi sessuali di un amore non corrisposto. Ogni volta, lei si sollevava sopra tutto questo.
Questo è stato l’inizio della mia connessione con Frida. Ho creato un piccolo altare in suo onore e per il suo compleanno nel 1975, in una vetrina della Galerìa de la Raza in San Francisco. Nel 1976, quando ho realizzato il primo grande altare, lei era una delle figure. Nel 1977 ho creato un altare per lei e Diego alla Fifth Sun Exhibit presso University Museum a Berkley, California. Nel 1978, abbiamo lavorato collettivamente con Frida Kahlo attraverso la galleria. Insieme a Carmen Lomas Garza e Maria Pinedo abbiamo intervistato numerose donne sulla loro relazione con Frida e abbiamo iniziato a collaborare a un libro, che non siamo state mai in grado di terminare. Questo aveva aperto un’altra porta – decidemmo infatti che bisognava educare le giovani generazioni a partire dalla sua eredità. Abbiamo cominciato in posti tipo Stanford, San Jose State, UC Berkley. Andavamo quando ci invitavano e per condividere quello che conoscevamo su di lei. Questo progetto è confluito nell’esposizione Day of the Dead dedicata a Frida Kahlo. E questo è stato il primo momento, nel 1978, che il gruppo di artiste chicane ha creato opere d’arte su Frida e la sua vita. E la sera dell’opening venne Hayden Herrera. Conosceva il lavoro che stavamo facendo, o ne aveva sentito parlare. Ironicamente Hayden Herrera, che non è latina visitò questa esposizione. Suo marito gestiva un’importante rivista newyorkese all’epoca, e avevano un enorme accessibilità in Messico. Nella sua biografia su Frida, che era diventata la base del film con Salma Hayek, Herrera ha fatto molto affidamento al lavoro di Raquel Tibol. Ma Tibol intervistò Frida negli ultimi due anni della sua vita, quando era completamente sedata e lacerata da enormi dolori; alcuni hanno testimoniato che era delirante. Così ho sempre creduto che molte storie che circolavano su Frida erano fantasie di altre persone, variazioni di una esotica narrativa selvaggia. Questa non era la sua immagine autentica e reale.
Amalia Mesa-Bains, Day of the Death, 1978.
bell: In realtà sono venuta a conoscenza del lavoro di Frida Kahlo attraverso la mia fascinazione per l’arte di Diego Rivera. Dalla mia infanzia, volevo imparare sempre di più delle vite dei lavoratori agricoli e dei coltivatori, per la storia e l’esperienza del mio nonno paterno come mezzadro. Così, quando ho incontrato l’arte di Diego Rivera, nella mia tarda adolescenza, ne sono stata toccata, commossa. Qui c’era qualcuno che sentiva che i braccianti, i lavoratori e le altre persone invisibili erano degne di essere rappresentate; per me, le loro raffigurazioni sembravano divinizzare e portare alla luce la sacralità del loro umile lavoro. In questo modo Rivera mi ricordava di Sam Doyle, un artista della tradizione folk del Georgia Sea Islands, che dipingeva ritratti delle persone comuni. Ha creato una galleria pubblica nel suo cortile, e il suo lavoro è sulla trasfigurazione, per l’idea che dipingendo qualcuno si illuminano le sue qualità divine. Piuttosto che mostrare la ritrattistica come rappresentazione, il ritratto era percepito come la raffigurazione del divino stesso.
Ho imparato molto sulla vita di Diego Rivera, poi ho imparato su Frida Kahlo. Per lei il ritratto costituisce un viaggio profondo dentro sé stessa, dentro il concetto junghiano di inconscio collettivo che richiede il riconoscimento dell’ombra. Terapisti come James Hillman descrivono questo, lo spirito oscuro che risiede dentro tutti noi. E Frida Kahlo era impegnata in un tipo di archeologia dello spirito; questo è quello che emerge quando osserviamo i suoi autoritratti. Siamo capaci di mettere tutto il suo lavoro in uno spazio e attraversarlo, afferrare l’anima della sua opera prendere forma, nell’auto-riflessione e auto-invenzione della sua splendida icona.
Amalia: Si perché guardando i suoi dipinti e organizzandoli cronologicamente si ha una parallela successione degli eventi della sua vita. Ci sono momenti in cui si affida alla pittura per andare oltre ai limiti delle proprie esperienze, e sono delle trasfigurazioni. E ci sono fasi della sua vita in cui ci mostra i segni delle sue sofferenze; i suoi capelli sono avvolti intorno al collo e il fiocco è stretto. Poi ci sono altri momenti dove si circonda di figure familiari, di amore, casa e intimità – il suo cane di taglia piccola, la scimmia. Questi sono dipinti in cui lei è situata, ha con sé tutte le cose che le appartengono, ed è a casa.
bell: Ci sono critici che hanno tentato di posizionare Kahlo solamente dentro il dominio del realismo magico. Questa è un’ingiustizia alla profonda dimensione psicoanalitica del lavoro di Kahlo ed un tentativo di reinventarla – attraverso un tipo di imperialismo culturale occidentale – di situarla in un’altra costruzione del “primitivo”, piuttosto che onorare l’incredibile consapevolezza intellettuale e politicizzata che è stata messa in gioco nel suo lavoro, così come nella sua psiche.
Frida Kahlo, Moisés o Núcleo solar, 1945.
Amalia: Come il dipinto basato sul libro di Sigmund Freud, Moses and Monotheism, chiamato Birth of Moses. Ma è un minuscolo, dipinto piccolissimo che ha strutturato spazialmente in modo da ricordare delle ovaie, le tube di Falloppio, e l’utero; tutta l’iconografia è realmente una sorta di figura mitica e storica stratificata. Se non conosci Moses and Monotheism, non riesci a cogliere quello che Frida ha perseguito. E penso che questo sia più che una preoccupazione intellettuale. Frida è stata una delle prime e più potenti artiste a interrogare il corpo come luogo di turbolenze, disordini e trasformazioni; ha costantemente questionato lo spazio tra la vita e la morte. Ci sono elementi nelle sue pitture che letteralmente nessun’altro ha mai catturato. Lei rappresenta la sua nascita, e persino l’iconografia di epoca pre-colombiana, come stratificata da uno sguardo biologico, quasi come fosse stata osservata con gli occhi di un dottore, o esaminata attraverso un microscopio. Credo che questo le venga dal lavoro con il padre, che è stato fotografo, per molti anni.
bell: È un’artista a cui non è stata data la giusta importanza. È stata ridotta a una superficie, all’apparenza di un’icona, di un’immagine, che uno può guardare e dire “Oh, il realismo magico” oppure “”Oh, il primitivismo messicano”. Veramente poche persone l’hanno compresa come una donna che ha ricevuto un’educazione e una consapevolezza critica che non era solo allineate alle traiettorie delle più sofisticate teorie politiche correnti, ma che aveva familiarità con la teoria psicoanalitica. Lei era completamente in anticipo sui tempi! Molte donne di colore che sono artiste, scrittrici o altre lavoratrici culturali solo ora stanno scoprendo quanto siano preziosi gli strumenti psicoanalitici, perché quegli strumenti sono stati rifiutati e contrassegnati fuori limite. Così è importante parlare delle rimozioni e delle cancellazioni che accadono proprio in base a come sono inquadrate e viste nella cultura dominante. Torniamo alla questione della rappresentazione perché l’immagine di Frida Kahlo è stata “domesticata” attraverso parametri di classe, razza e preferenze sessuali. Le persone comprano le cartoline di Frida Kahlo, le spillette di Frida Kahlo…
Amalia: Orecchini, T-shirts, qualsiasi cosa.
bell: Da un lato, è probabilmente la donna di colore più ampiamente riconosciuta negli Stati Uniti, ma il modo in cui è rappresentata indebolisce gli obbiettivi artistici del suo lavoro.
Frida Khalo con un venditore di tessuti, Coyoacán, Città del Messico, 1946.
Amalia: Possiamo tornare alle estrazioni culturali. Le sue immagini sono state mercificate, commercializzate ed espropriate. Ma l’ironia di tutte le ironie è che alcuni intellettuali messicani ce l’hanno fatta pagare – a noi chicane, e chicane artiste – con la banalizzazione di Frida e ci hanno definite opportuniste per averla usata nei nostri lavori. Noi siamo insorte e abbiamo detto “Credete davvero, in questi Stati Uniti d’America, che un gruppetto di chicane possa commercializzare un’icona in questo modo? Abbiamo pubblicato i libri? Abbiamo stampato i poster? Stiamo vendendo set di cartoline e gadget al Museum of Modern Art di New York?” No. Questo è stato fatto dai ricchi e associato a donne bianche e a uomini che hanno usato la sua immagine per trarne profitto.
Raquel Tibol, che ha scritto uno dei libri più significativi su Frida, in realtà ha sfidato le chicane in un contesto pubblico approfittando di Frida. Questo mi ha mostrato quanto è grande il divario tra le intellettuali messicane e alcune chicane. E molte di queste donne hanno origini europee, anche se sono messicane per nazionalità. Penso che sia sembrato facile sfidarci e non mettere mai in discussione le femministe bianche sulla loro relazione con Frida.
Questo sembra connesso con le tue osservazioni su come Angela Davis sia stata marginalizzata e Winnie Mandela trasformata in un’assassina. Deve essere stato relativamente semplice per le persone sovraesporre Frida in modo così onnipresente da renderla quasi invisibile. Quello che è accaduto alla sua immagine ci dimostra come bisogna essere vigili circa la propria auto-rappresentazione perché lei è stata espropriata, derubata della sua complessità.
Il marxista Leon Trotsky con la sua seconda moglie Natalia Sedova, accolti da Frida Kahlo e dall’attivista Max Shachtman al loro arrivo a Tampico, in Messico, nel 1937.
bell: Cosa facciamo, però, con questa banalizzazione? Come possiamo distruggerla? Per esempio, Malcom X è una comparabile icona. Ad un certo punto è diventato il leader che tutti identificavano con la cultura popolare – the cool leader, the hip leader. Ma solo pochissime persone sembrano sapere qualcosa di Frida Kahlo come artista, poche persone capiscono quello che Malcom X stava facendo politicamente, specialmente alla fine della sua vita. Proprio come Frida Kahlo è stata congelata nel momento della sua relazione con Diego Rivera, Malcom X all’interno della nozione di Islam, e ciò che non si vede è la sua coscienza globale – la sua radicale coscienza politica di sinistra – che si sviluppa e fiorisce in profondità e pienamente. Non sò tu cosa abbia provato ma io inizialmente non ero entusiasta che tutti seguissero la moda di Frida Kahlo. Sentivo che la mia figura di mentore e guida privata, che mi aveva straordinariamente ispirata, adesso era “aperta al pubblico”. Io mi ero guadagnata la mia relazione con Frida Kahlo; avevo studiato la sua vita e la sua opera. Ho incontrato molte giovani, ingenue e naif, femministe bianche che la adoravano ma non avevano nessun interesse per quello che era il suo lavoro; non erano interessate a celebrarla, perché non ne capivano il valore e la complessità.
Per esempio, ricordo la mia prima women’s studies class a Stanford, quando si è creato un conflitto tra le studentesse mentre una delle donne bianche stava raccontando della sua cameriera nera, e di quanto l’amasse. Così ho sollevato la questione “ma lei ti ama? Cosa sai realmente di lei e cosa ti dice quando è in casa? Cosa hai fatto per guadagnarti il diritto di parlare di lei?” Certo, ho ricordato che quando mia madre rientrava a casa, la critica che ha faceva verso la gente bianca per cui aveva lavorato era feroce. E loro non lo avrebbero mai immaginato. Sarebbe tornata a casa e avrebbe fatto una critica di genere o avrebbe criticato l’idea della libertà femminile, del modello femminile di classe ricreativa, in un modo in cui i bianchi per i quali lavorava nemmeno vedevano, per il loro razzismo e classismo. Nell’imperialismo culturale, i bianchi ignari imparavano che non dovevano studiare Frida Kahlo per “rivendicarla”. Attraverso il tropo dell’imperialismo culturale, loro potevano imporne la prossimità, la vicinanza. Ma è una familiarità con l’oppressore, una familiarità con il colonizzatore, dove tu ti spingi vicino attraverso la violazione, con possesso, o invidia, radicati.
Amalia: Ho abbracciato Frida nel momento in cui stavo cercando di sostenere la mia individualità con il mio partner, sposato, che era un’altra persona creativa che aveva bisogno del suo spazio e della sua individualità. Ho anche attraversato la totale consapevolezza che non sarei mai stata capace di avere dei figli. E ricordo il senso di questa vicinanza con Frida, perché avevo intervistato molte delle persone che la conoscevano e mi avrebbero voluto vocalizzare le canzoni che lei aveva cantato. Loro erano ormai vecchie e la conoscevano come amica, così le storie che mi hanno raccontato non avevano niente a che fare con le storie contenute nei libri di Hayden Herrera e Raquel Tibol. Loro erano con lei nella sua casa, quando sistemava i fiori, quando cucinava per gli amici, conoscevano il suo scurrile senso dell’umorismo e le canzoni volgari che amava cantare per loro. Questa è la Frida che mi sono portata con me.
Proprio nel periodo in cui ho avuto la mia isterectomia, ho visitato il San Francisco Art Institute, perché Rivera aveva dipinto lì e lei era stata con lui mentre stava dipingendo. Lei stava rompendo con lui allora, e aveva avuto una mostra alla Julian Levy Gallery di New York. Ho trovato una vecchia copia del New Yorker con una sua immagine che aveva dipinto. Non riuscivo a controllarmi, ho portato la foto a casa e l’ho incorniciata. La notte l’ho posizionata vicino a me in ospedale. Quando mi sono svegliata dall’anestesia è stato così sconfortante. Ricordo che una delle infermiere filippine entrò in stanza e mi chiese di che Santa messicana si trattasse e io le risposi “Oh, questa è Santa Frida”. Lei rimase molto impressionata e mi disse che pensava fosse bellissima. Così da allora questa “deificazione” divenne per me un segreto e un punto di ironia.
Frida Kahlo e Chavela Vargas, Foto di Tina Modotti, 1950.
Una delle cose che ho imparato in tutti quegli anni di lavoro su Frida è che lei aveva tanti strati di storia con le persone. Questa comunità di donne – Marìa Felìx, Dolores del Rìo, Josephine Baker, Rosa Covarrubias – la conosceva e si prendeva cura di lei. Non credo che tutte loro avessero avuto una relazione, ma ognuna la amava in una forma o nell’altra. Frida era una donna con cui tutti vorrebbero stare perché si prendeva cura delle cose. C’era una famosa storia su di lei. Era a New York e Noguchi aveva un appartamento a Brooklyn, erano tutte lì una notte, l’intero gruppo, e stavano facendo un film amatoriale, girato in casa. E c’era una rosa – una rosa sul tavolo con cui giocare. Ognuno doveva fare qualcosa con la rosa, così ognuna aveva inventato qualcosa, tipo annusare la rosa e così via. Ma Frida chiese un piccolo pezzo di carta e un nastro, poi con una penna scrisse “F.W”. Poi bucò la carta, legando il nastro intorno alle sue labbra in modo che “FW” fosse nella sua parte posteriore, e così ha danzato con il suo “culo” dimenandosi intorno alla rosa. Quando qualcuna le ha chiesto “Well, what does that means?”, lei le ha guardate e ha detto “I’m fucking wonder”. Lei era una persona creativa e stimolante, ma se all’improvviso ti sentivi male o qualcosa non andava, era la prima a correre o a prepararti la minestra. Così Frida aveva tutti questi elementi, che non credo siano mai stati raccontati nei film o nei libri.
bell: Nel mio libro sull’arte, Art on My Mind: Visual Politics, ho esaminato la necessità di resistere alle rappresentazioni. Un’altra figura letteraria il cui destino è simile a Frida Kahlo è Zora Neale Hurston. Molte persone rivendicano queste donne di colore, che occupano posizionalità molteplici, semplificandole. Le riscattano in un modo che nega la loro complessità. È l’esploratore bianco che va dai nativi per trovare il loro primitivismo nell’oscurità dell’altro – Gauguin andava dalle persone di colore per dipingere – ma poi ne minimizza la loro cultura, riducendola. Margaret Mead andava in altri paesi, rappresentava sé stessa come amica delle persone di colore. Eppure, le ha chiamate scimmie nel suo giornale. Anche se i bianchi cercano di appropriarsi, utilizzare e celebrare l’arte dell’altro oscuro, come soggetti, spesso mantengono la gerarchia dell’imperialista culturale bianco. Entrambe Hurston e Kahlo sono cadute in questo gap, quando la loro complessità si è smarita nella reificazione della loro immagine.
Amalia: Il mondo bianco si impegna in un abbraccio, ma è come un “abbraccio della morte”. Un amore per la morte della cosa che vogliono.
Diego Rivera e Frida Kahlo, 1930.
bell: Per me questa è una questione ricorrente. Come possiamo rifiutare questo abbraccio e riscoprire questo valore perduto? Come donna di colore, io necessitavo di scoprire la relazione tra Diego Rivera e Frida Kahlo, visto il suo potere dentro questo legame, osservare il modo con cui hanno costruito la casa, permettendo la loro autonomia e individualità. Come giovane donna scrittrice di libri femministi, queste artiste di colore sono delle icone molto potenti. Diego Rivera mi ha insegnato a guardare e incorporare la bellezza della cultura working-class. Frida Kahlo mi ha mostrato che una donna può essere appassionata e strutturata intorno al proprio lavoro.
Ed è stato così significativo e trascinante che lei ha trovato un modo per creare arte, anche in mezzo a grandi sofferenze fisiche. Noi stiamo ancora vivendo in una cultura dove le donne di colore, molto di più delle donne bianche, sopportano un enorme senso di colpa e di egoismo quando mettono il loro lavoro – o il lavoro individuale – prima di tutto. Questo è specialmente vero se si tratta di lavoro artistico o intellettuale. Se mettiamo al primo posto un lavoro che ci permette di guadagnare soldi, la gente potrebbe capirlo. Ma se stai mettendo qualcosa di intangibile per primo, è difficile che le persone possano capire.
Questo potrebbe avere qualcosa a che fare con il perché così poche persone di colore scrivono di arte. Per me, questo scritto ha generato la minima ricompensa, sia finanziariamente che criticamente. In passato, tu ed io abbiamo parlato di Lucy Lippard, il cui lavoro noi apprezziamo molto. Al tempo stesso, riconosciamo come lei sia automaticamente più visibile rispetto alle persone di colore che scrivono di arte.
Amalia: É come se quando scriviamo delle nostre esperienze, o l’una dell’altra, partecipassimo a qualcosa che è egoistico e provinciale. Ma quando una scrittrice bianca come Lucy Lippard fa questo, lei è applaudita per uscire fuori dalla propria esperienza. Se le singole persone di colore sono esperte nelle proprie storie ed esperienze, non significa niente. “Oh, certo, qual è il problema?” Questo è così, impari.
Frida Kahlo, Diego e io (Diego nella mia testa), 1949.
bell: Quando torniamo a Frida Kahlo, questo è ancora più vero. Se noi raccogliessimo tutti gli scritti critici e biografici su Frida Kahlo, molti di questi sono stati scritti da femministe riformiste bianche. Questa è una delle ragioni per cui è straordinario avere un dialogo su Frida Kahlo con te; un dialogo cross-cultural raramente accade. Nessun altro è interessato a sapere cosa rappresenta Frida Kahlo per le donne di colore, con chi parla a quell’intimo livello esperienziale – non come un simbolo.
Durante la mia infanzia ho sofferto molto con l’asma, poi ho affrontato altri problemi di salute. Così essendo in afflizione, sono entrata in risonanza con Frida Kahlo, e ho lavorato attraverso il dolore. Per esempio, il mio ciclo mestruale era terribilmente doloroso. Dai 12 anni ho avuto periodi paralizzanti; sono stata realmente condizionata da questo. Dai fondamentalismi della Cristianità ho anche ereditato il senso che il corpo femminile è contaminato, sporco e peccaminoso. Poi il mio corpo femminile soffriva. Sentivo che il mio corpo si stava lasciando andare. Nello straordinario film The Virgin Suicides diretto da Sofia Coppola, una delle tre sorelle tenta di uccidersi. Ha 13 anni, finisce in ospedale e il dottore le dice “Lo sai, sei troppo piena di vita per stare qui. Non dovresti essere qui”. E lei rispose “Tu non hai idea di quanto sia difficile essere una ragazza”. Molte donne hanno avuto esperienza che la transizione dall’adolescenza verso il primo ciclo mestruale è un passaggio così traumatico che non riusciamo nemmeno a definirlo. Per molte di noi, è stata una transizione dalla libertà dei nostri corpi verso la sensazione di essere asservite al corpo. In altri termini poi, il corpo diventa quella “cosa” preda di uomini adulti. Presto i corpi femminili sperimentano il dolore, questa è una questione difficile di cui parlare. Se noi guardiamo per esempio, al modo in cui le persone hanno scritto su Van Gogh e la sua capacità di continuare a lavorare nel mezzo di sofferenze psicologiche spesso aggravate dalle sofferenze fisiche attraverso l’automutilazione, possiamo leggere analisi sofisticate. Noi sappiamo che Van Gogh adesso verrebbe descritto come tagliatore, o auto-mutilatore. Noi comprendiamo la mutilazione adesso, ma difficilmente in relazione alla produzione della sua arte. Per lui, c’è stata una fusione di religione, colpa e purificazione in quest’atto.
Vediamo questa idealizzazione del dolore, della sofferenza e il suo occultamento o repressione anche in Frida Kahlo. Vediamo anche che le donne di colore soffrono di molte malattie – come lupus o varie forme di cancro – ma nessuno si dedica al nostro benessere fisico. E quando le donne di colore soffrono fisicamente, la maggior parte deve comunque andare a lavorare; stiamo parlando di contadine, operaie, domestiche, e donne occupate in altri servizi industriali.
Quando penso di essere in una sofferenza così forte, da voler solo morire, come era quella di Frida Kahlo, poi ritorno al potere della sua immaginazione e come le abbia permesso di andare avanti, e questo dovrebbe essere vero per molte donne. Lei era distesa nel suo letto, faceva sogni terrificanti – visioni che appaiono quando il tuo corpo sta cercando la sua liberazione fisica – e poi le utilizzava come risorsa per la sua arte; c’è una meravigliosa creatività in questo. Non c’è modo di comprendere questo attraverso una mente colonizzata, che non ci consente sottigliezze, contraddizioni e complessità.
Amalia: Sì, sì, sì, sì, hai ragione.
bell: E certo, fondamentalmente ciò di cui abbiamo bisogno è un’immaginazione de-colonizzata che non sia razzista, che non abbia una prospettiva femminista riformista, e noiosa. Abbiamo bisogno di cogliere la complessità di Frida Kahlo nel campo del desiderio, nell’universo della sua arte.
Diego osserva Frida mentre dipinge, Detroit, 1932.
Amalia: Ti sei indirizzata verso questo nella tua trilogia dell’amore, e penso che un altro modo per praticare questa scelta sia testimoniare l’unione di Frida e Diego, il fatto che si rispettassero a vicenda. Molte persone invece, parlano delle questioni di potere nella loro relazione.
bell: E questo è davvero molto triste, perché lottiamo sempre intorno al potere, anche quando siamo profondamente, appassionatamente, disperatamente innamorati. Ho scritto molto sulla violenza e l’antiviolenza, ma in passato sono stata anche infuriata con un amante e ho risposto violentemente. Qualcuno, osservando questo dall’esterno, potrebbe dire “Bene, bell hooks è un’ipocrita. Lei non vive l’autenticità delle sue parole”, invece di riconoscere che tutti nelle nostre vite siamo dentro queste contraddizioni. Io non sono sempre controllata; non sono sempre corretta; non sono sempre gentile; ma posso individuare e assumermi la responsabilità di queste violazioni. Posso cambiare, farmi perdonare o recuperare. Queste cose accadono in una relazione, e le persone che guardano dal di fuori non possono tracciare il corso della riparazione, della riconciliazione, perché usualmente non possiamo vedere queste cose.
Diego Rivera, Secretaria de Educacion Publica, murales con Frida Kahlo che distribuisce le armi ai rivoluzionari, Città del Messico, 1922.
Amalia: Sì, questo non è dato come dominio pubblico. Non sono mai stata sincera sulle ragioni private per cui sono stata attratta da Kahlo. In una fase della mia vita ero sposata e combattuta nella decisione se avere o meno dei bambini. Poi ho scoperto che non potevo. E ho trovato una forte risonanza nella relazione tra Frida e Diego, con la mia relazione con Richard. È stato rassicurante vedere come due forti personalità con temperamenti artistici che si amano profondamente, hanno anche ambizioni, propensioni e ambivalenze che inevitabilmente li porteranno a un conflitto.
Diego Rivera e Frida Kahlo con un Judas, 1929.
Mi piace la tua parola “riparazione” perché è spesso oscurata nella relazione tra Diego e Frida. Quello che so dalla mia vita con Richard è che le persone che si amano appassionatamente possono ferirsi a vicenda. Questo potrebbe essere risolto, credendo a qualcosa di più grande delle abitudini e delle emozioni della persona, che è spesso al lavoro in una relazione. Per noi, questo qualcosa è stato l’amore condiviso per la bellezza del produrre cultura; questo ci ha tenuto uniti nonostante talvolta abbiamo fallito l’un l’altro, personalmente e privatamente.
Quando Diego era con lei nel Mexicanidad Movement, aveva creato la sua collezione pre-colombiana al Museo de Anhuacelli, lei stava recuperando gli ex-voto e le pale d’altare (retablo) e insieme scoprivano e liberavano gli artisti che avevano scolpito le forme di Judas, le figure di cartapesta che la famiglia Linares aveva creato. Al tempo stesso, stavano combattendo brutalmente l’uno con l’altra e Diego la tradì con sua sorella, la denigrò nelle sue altre relazioni, ma al tempo stesso, stavano costruendo questo materiale intellettuale e culturale che trasformerà la società messicana.
C’era qualcos’altro che li porterà a superare le rispettive meschinità e permettergli di riparare e far risorgere il loro amore.
Nickolas Muray
Frida Kahlo e Diego Rivera a Tizapán, 1937
courtesy Nickolas Muray Photo Archives
La conversazione è tratta dal testo Homegrown: Engaged Cultural Criticism, costituito interamente dai dialoghi tra bell hooks e Amalia Mesa-Bains, South End Press, Cambridge, MA, 2006.
[traduzione Elvira Vannini]
Immagine di copertina: fotografia di Frida Kahlo pubblicata su Vogue US, nell’ottobre del 1937.